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Riflessione sulle parole di Papa Francesco: come creare occupazione utile e ridare dignità al lavoro

di Luca Salvi e Maurizio Pallante - 08/05/2013


 

 


Papa Francesco ha affermato che non è una società giusta quella che non dà lavoro” e che “la dignità deriva non dal potere o dal denaro ma dal lavoro.

Il tema del lavoro, o meglio della sua mancanza, preoccupa giustamente tutti, dal Pontefice ai politici ai cittadini, e non potrebbe essere altrimenti, perchè in una società fondata sulla crescita e sul denaro la mancanza di lavoro, e quindi di reddito, rappresenta un drammatico problema individuale e sociale. In una società fondata sulla crescita, senza denaro non si vive e per il denaro si può uccidere e si può morire. Chi perde il lavoro o vede fallire la sua azienda arriva, nei casi estremi, a togliersi la vita, che gli appare senza prospettive e senza senso. Per il denaro si ruba, si truffa, si rapisce, si schiavizza, si spaccia, si contrabbanda. Armi, droga, addirittura esseri umani, trafficati come merci. Il denaro, da mezzo diventa fine e la persona da fine diventa mezzo, strumento, ingranaggio della macchina della crescita, finendone schiacciata, a volte non solo in senso metaforico.

Basti pensare a quanto è accaduto di recente in Bangladesh, dove centinaia di operai-schiavi sono finiti schiacciati sotto le macerie di una fatiscente fabbrica-lager dove cucivano vestiti per grandi aziende multinazionali di abbigliamento, fra cui anche una nota marca italiana. La fabbrica dava chiari segni di cedimento ed era già stata evacuata ma il padrone ha deciso che gli operai dovevano rientrare a lavorare. Perchè il profitto viene prima della vita umana.

Il profitto viene prima dell’ambiente: devastiamo, scaviamo, inquiniamo, sfruttiamo le risorse della Terra in maniera insostenibile solo per fare sempre più soldi, sempre più in fretta. Poi la Natura ci presenta il conto, con i danni e le calamità conseguenti alla gestione dissennata del territorio e al riscaldamento globale (frane, alluvioni, uragani). Per non parlare dei disastri ecologici quali Chernobyl, Fukushima o l’incidente alla piattaforma petrolifera della BP al largo del Golfo della Florida nel 2010, disastri che non hanno nulla di naturale. La più grande calamità naturale, in un certo senso, è l’assenza del senso del limite da parte dell’uomo, che si sta letteralmente mangiando la terra sotto i piedi. Tutto questo per fare soldi, sempre più soldi, che, oltretutto, finiscono per concentrarsi nelle tasche di sempre meno persone con sempre meno scrupoli.  Fino a quando non cambieremo questa follia, non si potrà uscire dalla grave crisi economica, sociale, politica e ambientale che affligge il mondo da oltre 5 anni. Stiamo vivendo tempi di una crisi che è prima di tutto etica, di senso e di sistema.

Ecco perchè, anche quando si parla di lavoro, bisogna uscire dalla logica del lavoro salariato e basta. Non è il lavoro salariato in sè che dà la dignità, non è il portare a casa uno stipendio più o meno ricco. Quello che davvero può dare dignità e senso all’esistenza è il lavoro UTILE, cioè finalizzato a soddisfare i bisogni primari, oggettivi, ad aumentare il benessere sociale, a preservare l’ecosistema, a creare qualcosa di bello e di utile, da contemplare e da lasciare a chi verrà dopo di noi. Dal lavoro utile deriva poi, come conseguenza e non come obiettivo primario, una giusta mercede. Così inteso, davvero il lavoro nobilita l’uomo. Ma, riallacciandoci alle parole di Papa Francesco, se la dignità deriva dal lavoro, l’autoproduzione dei beni e il lavoro fornito sotto forma di volontariato e di dono non hanno forse una dignità ancora maggiore?

Oggi manca il lavoro ma non mancano le cose da fare. Se la grande emergenza di oggi è la crisi economica e la mancanza di lavoro e quindi di futuro per i giovani e i meno giovani, la soluzione esiste, è alla nostra portata. Si tratta solo di uscire dalla logica assurda della crescita e dalla dittatura della finanza e del PIL. Poiché siamo arrivati al capolinea della società della crescita, che non è più in grado di ripartire e di creare posti di lavoro, per uscire da questo vicolo cieco non resta che percorrere la strada della decrescita. Che non è una decrescita tout court ma una decrescita selettiva, guidata e ragionata. Come non ci stanchiamo di ripetere, quasi come voci che gridano nel deserto, occorre “spostare la priorità dalla crescita del PIL alla crescita dell’occupazione in lavori utili”.

Questa è la proposta del Movimento per la Decrescita Felice, che andrebbe predicata nelle Chiese e nelle piazze e che andrebbe sostenuta e tradotta in iniziative politiche e in concrete proposte di legge! Altro che grandi opere: per creare milioni di posti di lavoro utili occorre lanciare una sorta di piano Marshall per la ristrutturazione energetica di tutti gli edifici pubblici e privati e per la messa in sicurezza del territorio, il nostro grande patrimonio naturale, culturale ed artistico. Puntare sulla microgenerazione diffusa di energia e sul recupero totale dei materiali destinati alla discarica o all’incenerimento. Rilanciare il settore primario, l’agricoltura biologica, sostenibile, di qualità. Valorizzare le tipicità del nostro territorio contro l’omologazione imposta dalla globalizzazione.

I soldi non sono un problema, se si trovano per le grandi opere si possono trovare anche per creare una nuova economia della decrescita, i cui investimenti si ripagano oltretutto da sé con il risparmio e l’uso intelligente delle risorse. Senza contare che solo un’economia “leggera”, mirante alla riduzione della nostra impronta ecologica, è una economia capace di futuro. E’ questione di volontà politica, servono nuove priorità. Perché non solo “non è una società giusta quella che non dà lavoro”, ma non è una società giusta e sostenibile quella che non è capace di creare occupazione utile!