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Il banchiere di Dio e i suoi affari “pericolosi”

di Maria R. Calderoni - 24/07/2006

   
Assassinato il finanziere Roveraro rapito due settimane fa in pieno centro a Milano. Il corpo ritrovato a Parma

Delitto e finanza. Delitto e merchant bank, dintorni Piazza Affari. L’uomo dell’Alta Finanza che aveva avuto i suoi anni ruggenti nel quadrllatero monetario più importante d’Italia, la City milanese, è stato trovato cadavere in fondo a un terrapieno, lungo l’autostrada A15, tra Solignano e Citerna Taro, trenta km da Parma. Nascosto in un casolare abbandonato, tagliato a pezzi dall’addome in giù, sfigurato dagli animali e divorato dal caldo. Accanto niente, solo un sacco nero della spazzaura. Abbandonato nella sua morte efferata sotto questo sole. E’ stato trovato così, a sedici giorni dalla sua scomparsa, Gianmario Roveraro, anni 70, sequestrato il 5 luglio scorso nel cuore del capoluogo lombardo, e poi svanito nel nulla.

Era uscito quel giorno per recarsi a un appuntamento presso la sede dell’Opus Dei, in via Alberto da Giussano 26 a Milano, e nessuno lo aveva più visto. Solo una breve telefonata alla moglie, e il giorno dopo un fax a un collaboratore per chiedere di rendergli disponibile un milione di euro: una cifra, si dice, non «sorprendente nel suo ambiente», ma sorprendente per la modalità, quella richiesta via fax. Scattano le indagini, ieri il macabro rtitrovamento. Orrendamente ammazzato lungo la scia dei soldi. L’assassino è già in carcere. Si chiama Filippo Botteri, di Parma, professione consulente finanziario, uno dell’ambiente: ha ucciso il banchiere con tanta ferocia perché lo riteneva responsabile di un grosso “affare” mancato. Un affare immobiliare da 2,5 milioni dal quale doveva guadagnare almeno quattro volte tanto. Ma Ganmario Roveraro si era “sfilato”, l’affare era sfumato e lui aveva perso tutto. Per “rifarsi” aveva allora deciso di rapire il banchiere, chiedendo un riscatto di un milione di euro, ma il rapimento era finito nel sangue (in manette sono già anche i due complici-carcerieri, Emilio Toscani e Mario Baldi, due balordi del luogo, li ha definiti il gip).

Sotto questo sole è rimasto un cadavere decomposto e straziato. Una fine spaventosa e impensabile per un uomo come lui. Fino a dieci anni fa, Roveraro è uno dei grandi protagonisti della finanza, sia in guanti bianchi che in guanti gialli, considerato l’anti-Cuccia italiano, un talento del grande giro finanziario che ha le mani in pasta in tante e varie sigle che contano. A Milano, da Albenga dove è nato nel 1936, arriva appena laureato, l’esordio è nel gruppo La Centrale e ha per maestro il guru di Piazza Affari, Isidoro Albertini. Subito dopo c’è la Sade; poi è a capo della Sige, la merchant dell’Imi che insidia il monopolio della Mediobanca di Cuccia; nell’86 è all’opera con Raul Gardini per la scalata alla Montedison e in seguito con Benetton per l’approdo in Borsa. E’ nel grande giro, lascia l’Imi, e nei sei mesi di ritiro gli arrivano, si racconta, oltre trenta proposte, tanto le sue quotazioni sono alte. Ma lui riparte in proprio, fonda una banca tutta sua, la Akros, una merchant bank “a coriandoli”, come si dice in gergo, cioè che rastrella azionisti. I quali in breve diventeranno oltre 200, da Fiat Iri e Cir a Ferrero, Parmalat, Commercial Union, Banca Popolare di Milano e ancora ancora. Gianmario Roveraro, il «finanziere bianco», il campione riconosciuto della finanza cattolica. Quella legata all’Opus Dei, la Prelatura del Vaticano di cui è fervente adepto (in qualità di suprannumerario, cioè membro sposato), e anche abile collaboratore nel ramo business (l’Opus è un colosso con 85 mila soci e ramificazioni in tutto il mondo, Portogallo, Inghilterra, Francia, Irlanda, Stati Uniti, Messico, Australia, Filippine, India, Paesi Baltici, ed anche ex blocco sovietico).

Dall’alta finanza al mattone, è quasi un obbligo; l’Akros segue l’onda lunga degli anni 90, l’hotel Continental di via Manzoni a Milano è uno dei suoi buoni affari dell’epoca. Ma anche i grandi banchieri fanno scivoloni, il suo è un investimento di 250 miliardi di lire che gliene fa perdere 290 (sempre di miliardi di lire, numeri così). L’Akros si squaglia, è ceduta a Bipop e poi a Bpm (sigle così), ma lui è sempre in pista, nel ramo mattone; e quando i suoi assassini lo portano via in pieno centro lui è quello, il presidente della Yard srl, servizi immobiliardi sulla grande piazza di Milano.

Dentro queste sigle altisonanti e oscure, altisonanti e pericolose - vengono incontro gli spettri di Sindona, Calvi, Gardini, ma anche il volto reale dell’ultimo Tanzi, la Parmalat in bancarotta - ha speso tutta la sua vita. Le stesse siglie che lo hanno ucciso.

Cattolico ortodosso, di stretta e ostentata osservanza, ma soprattutto banchiere. «La finanza non è cattolica, nè laica o massonica, è semplicemente finanza», gli piaceva dire. Era un fedele uomo dell’Opus Dei, ma non contendeva ai Templari nessun Santo Graal, sventurato ex grande banchiere. Lui che era stato anche un ex grande atleta, il ragazzo snello e altissimo che il 7 ottobre 1957 aveva toccato il record, volando oltre il muro dei 2 metri. Indossando misteriose scarpette “russe”. Ma il traguardo dei 2,07 alle Olimpiadi successive non lo aveva raggiunto. Fermato all’ultimo giro, come quel pomeriggio di quindici giorni fa, a Milano.

Sigle pericolose.