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USA: giornalisti spiati

di Michele Paris - 15/05/2013


    


Il sistematico disprezzo per i più basilari principi costituzionali da parte dell’amministrazione Obama è stato confermato in questi giorni dalla diffusione della notizia che il Dipartimento di Giustizia americano ha intercettato e monitorato segretamente e illegalmente per un periodo di due mesi le conversazioni telefoniche di redattori e giornalisti della Associated Press, la più importante agenzia di stampa del paese.

A rendere pubblico l’ennesimo abuso del governo di Washington è stata una lettera inviata dal presidente della stessa agenzia, Gary Pruitt, al ministro della Giustizia, Eric Holder, nella quale lamenta una “intrusione massiccia e senza precedenti” nella propria attività di raccolta delle notizie.

Secondo quanto riferito dalla Associated Press, venerdì scorso il Dipartimento di Giustizia ha informato i vertici dell’agenzia di stampa che oltre venti linee telefoniche dei propri uffici, ma anche delle abitazioni e i cellulari di alcuni giornalisti, erano state sottoposte ad intercettazione tra il mese aprile e maggio del 2012 in maniera del tutto segreta e senza rispetto per le norme legali previste.

I reporter interessati sarebbero un centinaio e gli uffici monitorati dagli investigatori federali quelli della sede centrale di New York e delle redazioni di Washington e Hartford, nel Connecticut, nonché la postazione riservata all’agenzia nella sala stampa della Camera dei Rappresentanti al Congresso.

Anche se il Dipartimento di Giustizia non ha specificato il motivo della propria operazione illegale, la Associated Press e gli altri media d’oltreoceano hanno facilmente collegato i fatti alla pubblicazione, avvenuta il 7 maggio del 2012, della notizia dello smantellamento da parte della CIA di un complotto terroristico ideato da un affiliato ad Al-Qaeda in Yemen per fare esplodere un aereo di linea diretto negli Stati Uniti.

L’agenzia di stampa, in realtà, aveva inizialmente evitato di pubblicare la notizia dietro richiesta della Casa Bianca e della CIA, poiché l’operazione dell’intelligenze americana era ancora in corso. Una volta conclusasi, grazie al coinvolgimento di un doppio agente della CIA, la Associated Press decise di procedere alla pubblicazione della rivelazione con un giorno di anticipo rispetto a quanto chiesto dall’amministrazione Obama, la quale voleva invece attendere che venisse emesso un comunicato ufficiale da parte delle autorità governative.

Perciò, il Dipartimento di Giustizia ha subito aperto un’indagine per individuare la fonte della rivelazione, coerentemente con la politica messa in atto dall’attuale inquilino della Casa Bianca, volta a punire i responsabili di qualsiasi fuga di notizie all’interno del governo federale e a scoraggiare eventuali futuri comportamenti di questo genere.

L’atteggiamento vendicativo dell’amministrazione Obama è confermato dal numero di procedimenti legali aperti fin dal 2009 ai danni dei cosiddetti “whistleblowers”, cioè dipendenti federali che decidono di fornire informazioni riservate alla stampa, spesso riguardanti crimini o malefatte del governo. I sei procedimenti finora avviati - il più celebre dei quali è quello contro l’ex analista dell’esercito, Bradley Manning, tenuto in carcere per oltre mille giorni senza condanna e attualmente sotto corte marziale per avere passato documenti riservati a WikiLeaks - risultano infatti essere il doppio di quelli intentati da tutte le precedenti amministrazioni combinate.

Il metodo utilizzato contro la Associated Press segna inoltre un’escalation dell’aggressività del governo americano, il quale ha in questo caso deciso deliberatamente di bypassare la “normale” pratica utilizzata per entrare in possesso di materiale informativo appartenente ad un organo di stampa.

Solitamente, infatti, le autorità federali notificano anticipatamente ad una testata la necessità di ottenere registrazioni telefoniche o e-mail per motivi quasi sempre legati alle necessità dell’anti-terrorismo, così che su tale richiesta possano svolgersi negoziati tra le due parti oppure per consentire un ricorso in tribunale.

Come hanno ipotizzato alcuni giornali americani nei giorni scorsi, appare estremamente probabile che questo metodo arbitrario di intercettazione delle comunicazioni dei media da parte del governo venga utilizzato in maniera più o meno diffusa. Il New York Times, ad esempio, ha provato a chiedere senza successo al Dipartimento di Giustizia se a essere finiti sotto il controllo federale siano anche i propri uffici, dal momento che un’indagine dovrebbe essere in corso sulle rivelazioni contenute in un articolo e in un libro del reporter David Sanger su un’operazione dell’intelligence americana e israeliana per sabotare le centrifughe nucleari dell’Iran.

In seguito alla diffusione della notizia relativa alla Associated Press, in ogni caso, il Dipartimento di Giustizia è stato costretto ad ammettere l’appropriazione delle comunicazioni telefoniche dell’agenzia, rilasciando, come di consueto per l’amministrazione Obama, una dichiarazione dai risvolti orwelliani.

Parlando di una palese e gravissima violazione della legge e dei diritti garantiti dal Primo e dal Quarto Emendamento alla Costituzione (liberta di parola; difesa da perquisizioni e confische ingiustificate), il Dipartimento guidato da Eric Holder ha cioè difeso il proprio operato, affermando che, “poiché abbiamo a cuore la libertà della stampa, siamo attenti a cercare sempre di trovare il giusto compromesso tra il libero flusso delle informazioni e la corretta ed efficace amministrazione della giustizia”.

La notizia delle intercettazioni ai danni della Associated Press non deve comunque sorprendere, visto il controllo sistematico delle comunicazioni elettroniche virtualmente di tutti i cittadini americani messo in atto dal governo americano con l’espansione delle prerogative attribuite all’esecutivo nell’ambito della “guerra al terrore”.

Sulla questione dell’ostacolo alla pubblicazione di notizie riservate, invece, gli stessi media più importanti negli Stati Uniti spesso sono tutt’altro che vittime innocenti, come dimostrano i rapporti da molti di essi regolarmente intrattenuti con la Casa Bianca ed altre agenzie governative per trattare l’eventuale pubblicazione di materiale sensibile.

La stessa Associated Press che denuncia il Dipartimento di Giustizia per l’inopportuna intromissione nella propria attività, come anticipato in precedenza aveva in realtà accettato la “richiesta” del governo e della CIA di ritardare la pubblicazione delle notizie in suo possesso sul presunto attentato progettato in Yemen, negando la tempestiva diffusione di informazioni di estrema rilevanza.

Ancora più sconcertante è poi l’atteggiamento tenuto dal New York Times, teoricamente il baluardo del pensiero liberal americano. Per sua stessa ammissione, il quotidiano newyorchese aveva ad esempio preso accordi con l’amministrazione Obama circa i documenti riservati ottenuti da WikiLeaks da pubblicare od occultare, ufficialmente per proteggere agenti dell’intelligence e funzionari di un governo i cui crimini stavano per essere resi pubblici.

In quell’occasione, l’allora direttore Bill Keller, giunse ad affermare, in un editoriale scritto per giustificare l’inaccettabile comportamento del suo giornale, che “la libertà di stampa comporta la libertà di NON pubblicare determinate informazioni”, ovviamente quando ciò venga richiesto dal governo.

Qualche anno prima, d’altra parte, lo stesso Keller aveva già dimostrato come il New York Times si era ormai avviato verso la sua trasformazione in poco più che un organo della propaganda del governo, proprio in concomitanza con l’adozione da parte di quest’ultimo di metodi sempre più autoritari e anti-democratici.

Nel 2004, infatti, il New York Times aveva deciso di non pubblicare le informazioni in proprio possesso sull’esistenza di un programma segreto e illegale di intercettazione delle comunicazioni telefoniche ed elettroniche di qualsiasi cittadino americano. Il programma era condotto senza alcuna garanzia legale dall’Agenzia per la Sicurezza Nazionale (NSA) ed era stato autorizzato da un ordine esecutivo emanato dall’amministrazione Bush.

Pur consapevole della grave minaccia ai diritti democratici rappresentato dal programma, il Times si piegò alle richieste della Casa Bianca, evitando di pubblicare la notizia alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2004, consentendo con ogni probabilità la rielezione del presidente repubblicano. La notizia delle intercettazioni sarebbe infine uscita solo nel dicembre dell’anno successivo, quando l’amministrazione Bush, di fatto protetta dal principale giornale di orientamento “progressista” degli Stati Uniti, stava per chiedere ad un tribunale di bloccarne definitivamente la pubblicazione.