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Ambasciatore Usa: “Rivoluzioni colorate? Non è quello che pensate…”

di RoMa - 25/07/2006



Gli Stati Uniti non esportano le ‘rivoluzioni colorate’ o la democrazia. È questo il commento dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Tadjikistan, Richard Hoagland, in occasione di un incontro con i giornalisti a Dushanbe, la capitale dello Stato mediorientale.
“Non possiamo esportare la democrazia, noi non possiamo direttamente obbligare altri Stati sovrani a adottare il nostro punto di vista perché non s’impianta la democrazia con la forza” ha ribadito il diplomatico Usa.
Queste ‘rivoluzioni colorate’, come vengono definite dalla stampa internazionale per via dei loro simboli, sono dovute a condizioni interne, come miseria cronica, debolezza economica, corruzione onnipresente nei ranghi alti del potere, elezioni non trasparenti e spesso pilotate, che secondo Hoagland sono l’unico fattore che crea il movimento delle masse, negando ovviamente una strumentalizzazione Usa di questi fattori per fini terzi.
Secondo l’ambasciatore, l’unico interesse degli Stati Uniti è quello di “seguire attentamente tutto quello che aiuta la democrazia e i diritti dell’Uomo”. Gli Usa, inoltre, ritengono che i sistemi politici democratici e l’economia di mercato contribuiscano alla stabilità e lo sviluppo, e per questo “fanno il possibile per far sì che il loro punto di vista sia conosciuto a tutti i livelli”, ma ovviamente senza incitare nessuno.
Le dichiarazioni dell’ambasciatore sono attinenti ai recenti provvedimenti presi da alcuni Stati confinanti con il Tadjikistan, come l’Uzbekistan, che hanno deciso di bandire diverse organizzazioni non governative perché accusate di tramare ribaltamenti di potere fomentando vere e proprie sommosse popolari, spesso violente.
Le affermazioni di Hoagland, però, non smentiscono per niente l’accusa di strumentalizzazione e di istigazione delle folle che va inoltre molto oltre al sostegno della democrazia e del libero mercato.
Le “rivoluzioni colorate”, infatti, indubbiamente promosse e finanziate dalle Ong, a loro volta sostenute finanziariamente dall’amministrazione americana, sono un acuto metodo per prendere il controllo dall’interno di Paesi che rientrano nelle strategie di dominio globale degli Usa. Diritti umani, democrazia, e quant’altro sono solo belle parole che servono ad illudere i popoli in questione, che si mobilitano e ribaltano un potere, che può essere talvolta anche marcio, per istituirne un altro totalmente suddito alla visione imperialista degli Stati Uniti ed, il più delle volte, peggio del precedente. I veri obiettivi dei democratizzatori a stelle e strisce non hanno niente a che vedere con il benessere della popolazione, la libertà, la coesione sociale, la stabilità del Paese o quant’altro, ma hanno a che fare con la colonizzazione politica ed economica, il dominio geopolitico, lo sfruttamento e la strumentalizzazione nell’ottica di perseguire in seguito ulteriori scopi imperialistici.
Questa è la vera politica degli Usa: la strategia politicamente corretta della democrazia export. Un fenomeno ormai evidente a tutti, ma ipocritamente negato dai suoi promotori con beffarde sortite.