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Il Volto di Qana (X)

di Miguel Martinez - 25/07/2006

 

Sul suo blog, sempre interessante, Andrea Franzoni segnala l' editoriale di un certo Antimo Mirandola, pubblicato sul sito "Ebraismo e dintorni".

Sotto il titolo, "mai più pace con quelle bestie", Mirandola parla delle persone che abitano a nord di Israele come di "bestie libanesi", "bestie immonde", "lupi", mentre il pacioso mondo dei politici di centrosinistra viene descritto come "la squadraccia che sta al governo", che fa "dichiarazione degne di una postfazione del Mein Kampf."

"Basta parlare di pace con i redivivi nazisti e facciamo pagare carissimo a loro ogni dito alzato [...] Sappiano che ogni loro velleità gli costerà un prezzo insostenibile andando dritti al cuore del problema distruggendo, una volta per tutte, ogni arma, compresi i tric trac, in mano ai nemici d’Israele, che siano a Beirut, a Damasco o a Teheran."
Mirandola si augura che alla fine della strage "nessun padre circonciso debba lasciare la sua famiglia per andare in guerra": evidentemente non sa che anche i musulmani sono circoncisi, ma nemmeno i bianchi che sterminarono i tasmani hanno mai saputo saputo molto delle loro vittime.

Il cardinale Sodano, che ha osato dire che "il diritto alla difesa non esime dal rispetto delle norme del diritto internazionale, soprattutto per quel che riguarda la salvaguardia delle popolazioni civili” viene accusato da Mirandola di "oscenità degne di un camorrista", di essere uno "scribacchino che fa accapponare la pelle", un "ciarlatano della peggiore specie" un "pataccaro", "degno discendente della macelleria dell’Inquisizione".

Franzoni non commenta però la frase di Mirandola che personalmente trovo più interessante, perché ci permette di cogliere il senso di tutto ciò:

"di nuovo siamo ad assistere alla profanazione di Eretz Israel da parte di Amalek."
Amalek è il nome di una tribù semitica, che ricorre alcune volte nel cosiddetto Antico Testamento, che avrebbe resistito all'ingresso degli israeliti, al seguito di Mosè, in Canaan. A loro, il libro del Deuteronomio (25:19) dedica un preciso comandamento:
"Quando dunque il Signore tuo Dio ti avrà assicurato tranquillità, liberandoti da tutti i tuoi nemici all'intorno nel paese che il Signore tuo Dio sta per darti in eredità, cancellerai la memoria di Amalek sotto al cielo: non dimenticare!"
In seguito (1 Sam. 15:3), Samuele incarica Saul di eseguire lo sterminio totale di Amalek, bestiame compreso, da offrire in olocausto a Dio. Come Schindler, Saul risparmia alcuni prigionieri e soprattutto il meglio del bestiame, e per questa disobbedienza alla volontà divina, perde il trono.

Lo studio scientifico della Bibbia ha dimostrato che queste sono storie tardive, prive di base storica, e che hanno funzioni di definizione tribale e genealogica, con paralleli in tutto il mondo semitico e anche tra le popolazioni di lingua kushitica. Non a caso, il comandamento genocida appare a fianco a versetti come questo (25:11-12), chiaramente legato a peculiari usanze antropologiche che non hanno molto senso oggi:

Se alcuni verranno a contesa fra di loro e la moglie dell'uno si avvicinerà per liberare il marito dalle mani di chi lo percuote e stenderà la mano per afferrare costui nelle parti vergognose, tu le taglierai la mano e l'occhio tuo non dovrà averne compassione.
Ma il testo rimane, e passa attraverso innumerevoli mutazioni. Per i padri del deserto, Amalek - assieme ad altre nazioni nemiche - simboleggiava i peccati capitali da estirpare, e anche il giudaismo classico gli ha attribuito vari significati simbolici. Chi usa la metafora di Amalek per uccidere non sono gli ebrei, ma i puritani, che la adoperano per giustificare lo sterminio dei nativi americani.

Quello che è affascinante è la diffusione dell'amalecismo come spiegazione degli eventi correnti, ai tempi dell'immaginario mediatico, dove fumetti, titoli strappalacrime e immagini sostituiscono ogni ragionamento.

L'amalecismo è la credenza che i fatti si possano spiegare con l'esistenza di gruppi umani totalmente malvagi, per natura e senza motivo, che vanno sterminati prima che sterminino noi. Anche la metafora dello sterminio è moderno: il dominatore moderno sogna l'annientamento dal cielo e l'olocausto nucleare.

Sempre commentando su "Ebraismo e dintorni", un noto militante sionista scrive

«Mi odierete ma vi dico: sono felice! Finalmente, finalmente c'è la guerra. Adesso abbiamo un'opportunità per vincerla, un opportunità di distruggere Amalek, le sette nazioni, di adempiere le mitzvot, di essere ebrei non solo individualmente, ma come nazione. Mi dico, dunque, D-o mio, quanto Sei grande, quanto Sei onnipotente, quanto le Tue vie siano effettivamente e palesamente impossibili per noi da comprendere! [...] D-o mio, quanto Sei grande, quanto Sei onnipotente, quanto le Tue vie sono effettivamente e palesamente impossibili per noi da comprendere! Buona guerra, Israele!».
Il concetto è interessante, perché unisce l'antica mitzvà (comandamento religioso) che impone lo sterminio delle "sette nazioni" con uno slogan modernissimo, "buona guerra" lanciato da Paolo Guzzanti:
"Buona guerra, Israele. Hai tutte le ragioni per spazzare via con l¹uso legittimo delle armi i nemici che sono anche i nemici di un¹Europa impantanata nelle sue stesse menzogne e già posseduta dalla penetrazione islamica. Ormai siamo sempre di più ad avere il coraggio di dire buona guerra Israele.

Gli uomini onesti oggi non si nascondono dietro il relativismo etico, ma dicono con animo limpido: buona guerra, Israele, vinci anche per questa Europa che ha paura della propria storia e che ha perso l¹identità nell¹inclinazione al suicidio e agli affari."

Tutto questo ci mostra come l'amalecismo non sia un'eredità di antichi testi, qualcosa di "arcaico" o di "medievale".

Siamo abituati a confondere illuminismo e modernità in un unico calderone.

Invece, l'amalecismo è la forma che assume oggi la negazione radicale dell'universalismo e dell'illuminismo, ma è assolutamente moderno. Lo sterminatore può godere della benedizione di Dio, ma soprattutto gode della certezza di dominare il cielo e la terra con la propria tecnologia.

Nel 1898, un avo spirituale di Guzzanti e di Mirandola, lo statista tedesco Heinrich von Treitschke, scrisse:

"Il diritto internazionale diventa solo parole, se si vuole applicarlo anche ai popoli barbarici. Per punire una tribù di negri bisogna bruciare i villaggi, e senza esempi di questo genere non si può ottenere nulla. Se il Reich tedesco in questi casi applicasse il diritto internazionale, non mostrerebbe umanità o giustizia ma solo vergognosa debolezza." [1]
L'amalecismo pervade ogni ambiente. Massimo Introvigne è un ricchissimo avvocato torinese, dirigente del movimento di destra Alleanza Cattolica ("consorella" della bizzarra setta millenarista brasiliana denominata Tradizione, Famiglia e Proprietà), protagonista di strane iniziative nel mondo esoterico, che si vanta di collaborare con i servizi segreti israeliani e con l'FBI. Ma è anche un tuttologo televisivo, nonché columnist del Giornale di Paolo Berlusconi. In quest'ultima veste, il nostro scrive:
"Come Catone imparò a sue spese, continuare a ripetere delenda Carthago non rende popolari. Ma Catone aveva ragione. Finché la Cartagine rappresentata dai regimi siriano e iraniano non sarà distrutta, Roma - cioè l'Occidente - non sarà al sicuro."
Si tratta di un riferimento al famoso detto, "Cartagine dev'essere distrutta", con cui Marco Porzio Catone concludeva ogni suo discorso.

In secoli recenti, questa frase è diventata il motto degli antisemiti, cioè di coloro che sostenevano che il mondo fosse diviso in due: da una parte, gli ariani, dall'animo laico, individualista e creativo, dall'altra i semiti, capaci solo di obbedire a un tetro dio che ordinava loro di istituire regimi teocratici, incapaci di ogni progresso.

Per questo, i cuori degli antisemiti dell'Ottocento vibravano di gioia a leggere della popolazione della semitica Cartagine ridotta in schiavitù, del suo porto distrutto, degli edifici rasi tutti al suolo e poi seminati - almeno secondo resoconti tardivi - con il sale, in modo che nulla potesse mai più crescervi.

Qualcuno si è divertito ad azzardare una stima di quanto sarebbe costato seminare Cartagine con il sale. Qualunque cosa si possa pensare di tali calcoli, si tratta comunque di cifre enormi, paragonabili ai costi della strage di Dresda, della bomba atomica su Hiroshima, della devastazione del Vietnam o dell'annientamento di Falluja. O della devastazione del Libano.




[1] citato in Sven Lindqvist, Sterminate quelle bestie, TEA, Milano 2003, p. 193.

 

postato da kelebek alle 05:54 | link | commenti (4)


lunedì, 24 luglio 2006

Il Volto di Qana (IX)

Qualche frammento tratto da Terra di Nessuno (Ponte alle Grazie, Milano, 2005, pp. 32-34), di Sven Lindqvist.

Lindqvist qui parla di un romanzo tanto vecchio quanto attuale, citandone anche alcuni brani.

Credo che la dica tutta sull'orrore ovvio dei nostri tempi.
Il libro di Ernest Favenc, The Secret of the Australian Desert (1896) [...] racconta di tre amici che si sono spinti nel deserto per cercare la "montagna scintillante" e per scoprire che cosa ci sia dietro "questa storia che circola fra i neri. Il punto è, gli indigeni si mostreranno bendisposti oppure opporranno resistenza?"

"In ogni caso sarebbe più saggio considerarli dei nemici".

"Decisamente".

[...]

I bianchi fanno giusto in tempo a uscire prima che un'opportuna scossa di terremoto riempia la grotta di fango bollente che seppellisce i neri, tanto i vivi quanto i morti."

[...]

"Presto" Non deve sfuggirne neanche uno!" gridò Morton.

I cavalieri si fermano accanto a un selvaggio ferito e Morton scivola giù dalla sella. Charlie volge il capo altrove, sapendo ciò che sta per accadere.

"Nessuna pietà per i cannibali!" Sentì il revolver che sparava. "Forse è meglio così, per quanto triste possa sembrare" dice Morton. "Quei sei demoni non sarebbero mai riusciti a dominare il loro piacere di uccidere".