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USA, la nuova guerra di Obama

di Michele Paris - 29/08/2013


 

 

 

 

 

 

 

 

Alla vigilia dell’inaugurazione di una nuova campagna militare in Medio Oriente, l’amministrazione Obama sta cercando in tutti i modi di creare una parvenza di legittimità attorno all’imminente attacco criminale contro la Siria, così da aggirare sia gli ostacoli previsti dal sistema legale statunitense e dal diritto internazionale sia la vastissima ostilità diffusa tra la popolazione americana per una nuova guerra imperialista.
A conferma della natura illegale dell’azione programmata dalle forze armate USA contro il regime di Damasco, la Casa Bianca si muoverà nuovamente nel sostanziale disprezzo delle stesse regole democratiche del proprio paese. Obama e i suoi uomini hanno infatti lasciato intendere con estrema chiarezza come il presidente non intenda chiedere alcuna autorizzazione preventiva al Congresso per scatenare una nuova guerra.
Ciò era peraltro già accaduto in occasione del conflitto in Libia nel 2011, quando il governo americano aveva ritenuto di potere agire a sostegno dei “ribelli” anti-Gheddafi senza un voto di Camera e Senato perché l’intervento militare era stato definito di “portata limitata”. Nel caso della Siria, invece, l’amministrazione Obama sembra essere intenzionata a fare appello ad una fantomatica minaccia alla “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti, emersa dopo il presunto attacco con armi chimiche del 21 agosto scorso nei pressi di Damasco.
Secondo la cosiddetta “War Powers Resolution” del 1973, il presidente ha la facoltà di autorizzare l’impiego della forza militare all’estero solo in caso di una “emergenza nazionale” - chiaramente inesistente in relazione alla Siria - anche se il Congresso è chiamato ad esprimersi entro 60 giorni. Alla Camera e al Senato, in ogni caso, non esiste alcuna maggioranza trasversale che mostri di voler difendere le prerogative dell’organo legislativo d’oltreoceano, né tantomeno che chieda un dibattito pubblico sul coinvolgimento di Washington o la presentazione di prove concrete circa la responsabilità del regime di Bashar al-Assad nei fatti della scorsa settimana.
Solo alcune voci isolate, soprattutto tra i repubblicani più conservatori, stanno chiedendo in questi giorni alla Casa Bianca un voto del Congresso prima di far scattare le operazioni in Siria. Tra gli altri, una ventina di parlamentari ha indirizzato al presidente una lettera nella quale viene fatto notare come un attacco contro la Siria senza l’autorizzazione del Congresso risulterebbe al di fuori della legalità.

Lo speaker della Camera, John Boehner, si è tuttavia limitato a chiedere “consultazioni” tra i membri del governo e del Congresso, così da definire gli obiettivi dell’azione da intraprendere. Per venire incontro a queste richieste alquanto modeste, sono stati organizzati alcuni incontri tra esponenti del gabinetto Obama e i leader dei due partiti, in modo da dare l’impressione di un certo coinvolgimento del Congresso in un’avventura bellica che avrà con ogni probabilità conseguenze drammatiche.
Lo stesso Boehner, ad esempio, ha incontrato il capo di gabinetto di Obama, Denis McDonough, mentre il leader di minoranza al Senato, il repubblicano Mitch McConnell, il numero uno dei democratici, Harry Reid, e la ex speaker della Camera, Nancy Pelosi, sono stati informati dei piani del Pentagono nel fine settimana. Il Segretario alla Difesa, John Kerry, ha infine rassicurato i membri più importanti delle commissioni Esteri e per le Forze Armate della Camera circa la legittimità dell’azione militare.
In questa campagna messa in atto appositamente per confondere l’opinione pubblica, un ruolo fondamentale lo stanno svolgendo come al solito i media ufficiali. La NBC ha così riportato nella serata di martedì che i primi missili contro obiettivi in territorio siriano potrebbero essere lanciati già nella giornata di giovedì e che i bombardamenti potrebbero proseguire per tre giorni, salvo poi valutare ulteriori incursioni per colpire obiettivi eventualmente falliti durante la prima fase delle operazioni.
Simili rivelazioni, assieme alle dichiarazioni di vari esponenti dell’amministrazione Obama, hanno lo scopo di occultare le gravissime implicazioni della nuova guerra che sta per esplodere nel mondo arabo, così come le reali motivazioni dell’aggressione contro Damasco. In particolare, come ha ripetuto martedì il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, la risposta militare americana viene presentata come la necessaria conseguenza delle azioni di Assad e dell’uso di armi chimiche, visto che gli USA non avrebbero alcuna intenzione di favorire un cambio di regime a Damasco.
I tentativi di minimizzare la portata dell’intervento delle forze armate statunitensi da parte dell’amministrazione Obama sono dunque da prendere quanto meno con le molle. Innanzitutto, gli USA e il loro alleati in Europa e in Medio Oriente stanno cercando da due anni di costruire un pretesto che possa giustificare un intervento diretto per invertire le sorti del conflitto in Siria.
Inoltre, come ha dimostrato la guerra in Libia, l’utilizzo presumibilmente massiccio di missili e il possibile ricorso ad incursioni aeree causeranno un numero altissimo di vittime civili in Siria, per non parlare infine del possibile coinvolgimento nel conflitto di paesi come Iran o Russia.
La pretesa di essere sul punto di intraprendere una campagna militare di pochi giorni e di basso profilo appare perciò come una menzogna deliberata per superare la forte opposizione popolare, dal momento che l’assalto preparato dal Pentagono proseguirà fino a che non verranno piegate le difese del regime, così da consentire ai “ribelli” - tra i quali prevalgono le forze integraliste più o meno legate al terrorismo internazionale - di invertire gli equilibri sul campo finora favorevoli ad Assad.
Ad insistere sulla necessità di rispondere ad un imperativo morale e di non lasciare impunito un attacco con armi chimiche la cui responsabilità è ancora tutta da dimostrare era stato lo stesso Kerry nella giornata di lunedì, quando è stato protagonista di un intervento pubblico che ha ricordato tragicamente la vergognosa performance del febbraio 2003 dell’allora segretario di Stato dell’amministrazione Bush, Colin Powell, alla vigilia dell’invasione dell’Iraq.
L’ex senatore democratico ha definito “la strage indiscriminata di civili” con armi chimiche nella località di Ghouta un “abominio morale”, motivando la frettolosa assegnazione della responsabilità al regime di Assad in base ad una presunta valutazione dei “fatti” ma anche al “buon senso”. In realtà, Kerry non è stato in grado di presentare una sola prova concreta delle proprie accuse e, oltretutto, il “buon senso” nella vicenda siriana porterebbe piuttosto a considerare gli stessi “ribelli” come i possibili autori del più recente attacco con armi chimiche.
Ad ipotizzare simili responsabilità di questi ultimi erano stati anche i membri di una speciale commissione ONU di indagine sulla Siria qualche mese fa nell’ambito di altri due episodi nei quali era stato segnalato l’impiego di questo genere di armi proibite. Da tempo, inoltre, le forze speciali USA e la CIA stanno addestrando formazioni “ribelli”, alle quali avrebbero potuto fornire armi chimiche per condurre un attacco da attribuire al regime, mentre il ministro degli Esteri di Damasco, Walid al-Moallem, ha parlato più volte di un’ondata di guerriglieri stranieri intenzionati a lanciare un assalto contro Damasco “su quattro diversi fronti”.
La propaganda statunitense, dunque, serve in definitiva ad impedire che si faccia chiarezza sui fatti della scorsa settimana, come dimostrano i tentativi di boicottare la missione ONU attualmente al lavoro in Siria per raccogliere prove sull’uso di armi chimiche a Ghouta.
Dopo che il governo di Damasco aveva dato il via libera all’indagine degli esperti delle Nazioni Unite, infatti, l’amministrazione Obama non solo ha definito tardiva e inutile la missione ma, come ha dimostrato martedì il giornalista investigativo Gareth Porter sul sito web dell’agenzia di stampa IPS News, ha addirittura fatto pressioni sul Segretario Generale, Ban Ki-Moon, per interromperla definitivamente.
Secondo numerosi esperti contattati da Porter, la tesi sostenuta dagli USA che le prove dell’uso di armi chimiche non sarebbero più rilevabili dopo alcuni giorni è insostenibile, visto che tracce di questo genere possono essere raccolte anche dopo svariati mesi. L’obiettivo degli americani appare perciò quello di evitare che si faccia luce su quanto avvenuto in Siria e di propagandare la propria versione dei fatti come verità incontrovertibile.
Non a caso, infatti, la Casa Bianca e il Pentagono sarebbero intenzionati ad iniziare la loro campagna di aggressione contro la Siria - ovviamente senza alcun mandato ONU nonostante la Gran Bretagna abbia presentato mercoledì una risoluzione al Palazzo di Vetro per autorizzare qualsiasi genere di misura volta a “difendere la popolazione civile” - prima che gli ispettori riferiscano al Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite i risultati della propria indagine, considerata di fatto dagli Stati Uniti come un impedimento ai loro piani di guerra.
Tutto ciò che l’amministrazione Obama presenterà all’opinione pubblica per giustificare l’attacco alla Siria dovrebbero essere soltanto parziali rapporti di intelligence che, secondo i media d’oltreoceano, ricostruirebbero dettagliatamente i fatti del 21 agosto, assegnandone la responsabilità al regime di Assad.
Questa strategia ricorda in maniera inquietante quella messa in atto dall’amministrazione Bush nel 2003, quando rapporti dei servizi segreti a stelle e strisce sulle inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam Hussein vennero fabbricati ad arte per legittimare un’azione unilaterale del tutto illegale che portò ad un vero e proprio “abominio morale”, vale a dire la devastazione dell’Iraq e il massacro di centinaia di migliaia di civili anche in seguito all’uso da parte degli americani di fosforo bianco nella città di Fallujah.
Su queste premesse e con questi metodi, dunque, gli Stati Uniti del presidente democratico premio Nobel per la pace si apprestano ad aprire un nuovo fronte di guerra in Medio Oriente, celando dietro alla consueta retorica della difesa della democrazia e dei diritti umani un’operazione che rientra in pieno nella strategia a lungo termine di Washington di assicurarsi con la forza delle armi una posizione dominante in questa area cruciale del pianeta.