Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Organizzazioni… non governative?

Organizzazioni… non governative?

di Enrico Piovesana - 27/07/2006

Alcune Ong italiane hanno cambiato idea sull’Afghanistan? Se sì, perché?
Meno di tre settimane fa PeaceReporter ha intervistato direttori e presidenti delle Ong italiane che operano o hanno operato in Afghanistan: Intersos, Alisei, Aispo, Cesvi, Coopi, Msf e Terres des Hommes. Ne emergevano posizioni di dura critica alla missione militare Isaf in Afghanistan, che in certi casi comprendevano la richiesta di ritiro delle nostre truppe.
Ma negli ultimi giorni, molte di quelle stesse Ong – riunitesi nel frattempo in un coordinamento chiamato “Cooperazione in contesti di guerra” e comprendente Intersos, Coopi, Cesvi, Alisei, Aispo, Cosv e Gvc – hanno concordato e pubblicamente espresso una posizione comune ufficiale nettamente favorevole alla prosecuzione della partecipazione italiana alla missione Isaf.
 
Perché quelle Ong sostengono la missione. Giulio Marcon, autore di “Le ambiguità degli aiuti umanitari” e presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà (Ics), ha dato a PeaceReporter la sua interpretazione di questo repentino cambiamento.
“Ci sono quattro ragioni che possono ben spiegare la posizione di certe Ong. La principale è economica: un atteggiamento troppo critico nei confronti delle scelte del governo è sconsigliabile se poi si vuole avere accesso ai fondi pubblici di Cooperazione Italiana. La seconda è politica: la necessità di non mettere in pericolo i rapporti con partiti e gruppi politici. La terza è pratica: la necessità di non compromettere i rapporti con i militari costruiti sul campo. La quarta è l’opportunità di offrire la propria consulenza all’organismo parlamentare che dovrebbe monitorare la missione”.
 
Intersos risponde: “Accuse false e vergognose”. “Falsità vergognose”, ha commentato quello che è un po’ il capofila delle sette Ong “Cooperazione in contesti di guerra”, ovvero Nino Sergi, segretario generale di Intersos. Il quale nei giorni scorsi, riprendendo le posizioni espresse in un comunicato stampa del coordinamento, ha scritto a nome “delle altre organizzazioni dell'Associazione Ong Italiane attive in Afghanistan” una lettera aperta ai nove senatori “dissidenti” in cui definisce “necessaria” la presenza militare straniera in Afghanistan e invita i senatori a chiedere non il ritiro delle truppe, bensì la garanzia che la missione Isaf “rimanga nel solco del mandato ricevuto” e non si trasformi in una missione di guerra.
“Le affermazioni di Marcon sono umilianti per lui che le fa”, ha detto Sergi a PeaceReporter, che poi ha spiegato che “le Ong non hanno cambiato idea: noi rimaniamo contrari alla guerra per principio ma pensiamo che la missione Isaf sia necessaria e debba continuare nel rispetto, però, della sua natura di missione di pace. Ma questo lo valuteremo tra sei mesi, dopo la verifica prevista dalla mozione parlamentare”.
 
Altri sei mesi per capire quello che è già chiaro. Ma non pensa – abbiamo chiesto a Sergi – che sia inutile aspettare sei mesi per certificare quello che è già chiaro oggi, ovvero che la missione Isaf è definitivamente cambiata diventando una missione di guerra? Sono mesi ormai che migliaia di truppe Isaf britanniche e canadesi combattono a fianco delle forze Usa di Enduring Freedom bombardando i villaggi del sud dell’Afghanistan. Agli occhi degli afgani, ogni distinzione tra Isaf e Enduring Freedom, se mai c’è stata, risulta ormai impossibile. E il fatto che le nostre truppe non partecipino direttamente alle operazioni di guerra non cambia la realtà: l’Italia partecipa a una missione bellica, anche se sta in panchina a guardare.
“Questo è vero, ma non possiamo essere noi a decidere, a giudicare. E’ il Governo, il Parlamento che deve decidere. E la mozione che accompagna il decreto di rifinanziamento prevede gli strumenti perché le istituzioni sappiano valutare e decidere. Strumenti che, tanto per rispondere alle accuse di Marcon, non prevedono assolutamente la partecipazione di noi Ong”.
 
Terres des Hommes: “Quelle Ong puntano solo ai soldi”. “Sergi deve smetterla di parlare a nome delle Ong italiane. Né lui né il coordinamento delle sette Ong che si è appena creato rappresentano la posizione delle Ong italiane”, dichiara a PeaceReporter Raffaele Salinari, presidente di Terres des Hommes. “Noi, come altre Ong italiane, non siamo entrati in quel coordinamento perché giudichiamo gravissimo che delle organizzazioni umanitarie che si dicono pacifiste sostengano una missione militare solo per tornaconto economico. Chiaro: se dipendi dai finanziamenti del governo non puoi metterti contro di esso. Quelle Ong diventano tutte filo-governative se sentono l’odore dei soldi. A farglieli avere ci penserà Sergio Marelli, della Margherita: presidente dell’Associazione Ong Italiane e portavoce del coordinamento delle sette Ong “Cooperazione in contesti di guerra”. Noi non cambiamo idea: continuiamo a pensare che gli interventi militari non sono mai la soluzione dei problemi, ma sempre solo la loro causa. I problemi che vive oggi l’Afghanistan sono iniziati con l’invasione e l’occupazione militare straniera. Per questo continuiamo a chiedere il ritiro delle nostre truppe dalla guerra in Afghanistan, non subito se questo significa far cadere il governo Prodi, ma assolutamente entro sei mesi: entro dicembre il governo deve presentare una exit strategy dall’Afghanistan così come ha fatto con l’Iraq”.
 
Msf Italia: “Non siamo né a favore né contro la missione”. L’altra Ong che, come Terres des Hommes, non è entrata nel coordinamento pro-missione, ovvero Medici Senza Frontiere, spiega a PeaceReporter di non aver cambiato idea. “Noi siamo rimasti fuori dal coordinamento perché siamo coerenti con la nostra posizione – dichiara Stefano Savi, direttore generale di Msf Italia – di non intervento nel dibattito politico. Non vogliamo schierarci né con chi chiede il ritiro delle truppe, né con chi sostiene apertamente la missione. Noi ci limitiamo a denunciare le conseguenze negative di certe scelte politiche sul nostro lavoro umanitario, gravemente compromesso dalla presenza di forze militari che operano con un mandato poco chiaro”.