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L’impero colpisce ancora: l’Iran nelle mire statunitensi

di Ervand Abrahamian - 27/07/2006



(Brano tratto da Inventare l'asse del male. La verità su Iran, Siria e Corea del Nord)

Per l’iraniano medio, il discorso dell’Asse del Male è giunto come un fulmine a ciel sereno. Nel corso dei cinque anni precedenti, le relazioni tra Iran e America erano migliorate gradualmente ma considerevolmente. Nel 1998, subito dopo la sua elezione, il presidente Khatami aveva porto un ramoscello d’olivo comparendo alla CNN sottolineando l’esigenza di un “dialogo tra civiltà”.1 Elogiò la “grande civiltà americana” costruita sulla Plymouth Rock e sugli ideali dei pellegrini puritani, e lasciò intendere che la crisi degli ostaggi era stata “eccessiva”, “un fatto spiacevole” e una sfortunata “tragedia”. L’amministrazione Clinton ricambiò. Smise di etichettare l’Iran come stato “canaglia” e “paria”. Descrisse il colpo di stato del 1953 come un “inconveniente” per l’Iran, e per la prima volta ammise che gli Stati Uniti avevano “orchestrato la caduta del popolare primo ministro dell’Iran, Mohammad Mossadeq”.2 Oltre a ciò allentò le severissime sanzioni economiche imposte nel 1979 sui prodotti iraniani: pistacchi, caviale e tappeti erano di nuovo accettati negli Stati Uniti, mentre si poteva ricominciare a esportare in Iran grano, medicine e componenti aeronautici americani. Inoltre, diversi fra gli ex massimi responsabili della politica estera, come Zbigniew Brzezinski, Brent Scowcroft e Richard Murphy, si dichiararono favorevoli a cessare il “duplice contenimento” – una politica imposta contro l’Iran e anche l’Iraq.

Dopo gli attacchi dell’11 settembre, l’Iran non perse tempo a dichiarare i “terroristi talebani” responsabili della tragedia e permise ai cittadini di organizzare veglie notturne per le strade in solidarietà con l’America. Jack Straw, il ministro degli esteri britannico, si precipitò a Teheran per quella che lui stesso ha definito una “visita storica”. Ha ringraziato l’Iran per il suo aiuto con l’Afghanistan e ha
dichiarato che “l’Iran era schierato con la Gran Bretagna per contrastare il terrorismo di ogni tipo”.3 Colin Powell, il segretario di stato americano, ha stretto la mano del ministro degli esteri iraniano e ha dichiarato alla stampa che Teheran sarebbe stata inserita nella coalizione della lotta al terrorismo. I leader iraniani, in compenso, hanno annunciato che sarebbero stati disponibili a riprendere le
relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti – relazioni interrotte dalla crisi degli ostaggi del 1979. Quando gli Stati Uniti hanno invaso l’Afghanistan, l’Iran si è offerto di salvare piloti bloccati nella sabbia, ha aperto i propri porti per il transito degli aiuti umanitari e ha incitato l’Alleanza del Nord antitalebana, cui aveva fornito le armi, a collaborare completamente con gli americani. Per di più, l’Iran è stato determinante a Ginevra come intermediario in un accordo con il quale Hamid Karzai, il prediletto degli americani, è stato nominato presidente dell’Afghanistan. Un confidente di Khatami riferì ai giornalisti che “l’Afghanistan ha rappresentato per le due nazioni un’opportunità perfetta per migliorare le relazioni”.4 I diplomatici americani hanno ammesso al Congresso che gli iraniani erano stati “estremamente utili nell’elezione di Karzai come presidente. A Ginevra avevano persino camminato sottobraccio con i negoziatori americani”.5

Il discorso sull’Asse del Male – insieme a quello successivo sullo Stato dell’Unione – sono stati come una bomba a frammentazione. Hanno messo assieme l’Iran all’Iraq e alla Corea del Nord come stati pericolosi che perseguono armi di distruzione di massa. Hanno descritto l’Iran come “oppresso da una minoranza non eletta” e come un “grande esportatore” di terrorismo. Hanno ritratto la campagna afgana come “solo l’inizio della guerra contro il terrore” – lasciando intendere chiaramente che le nazioni come l’Iran sarebbero state presto il prossimo bersaglio. Hanno anche parlato di attacchi preventivi contro possibili minacce future. “Gli Stati Uniti d’America”, ha dichiarato il presidente Bush, “non permetteranno ai regimi più pericolosi del mondo di minacciarci con le armi più distruttive della terra”.6 Naturalmente la retorica e la potenza del messaggio erano accentuate da termini carichi di significato tratti dal cristianesimo e dalla seconda guerra mondiale.

Il discorso risuonava particolarmente in quanto arrivava subito dopo la presentazione della dottrina di Bush in un documento intitolato National Security Strategy of the United States of America. Questa dottrina sosteneva apertamente gli attacchi preventivi contro le nazioni ritenute potenzialmente pericolose per gli Stati Uniti. Per la prima volta nella storia, gli Stati Uniti sostenevano le guerre preventive, andando contro le leggi internazionali e le loro stesse politiche precedenti. Come ha notato Brian Urquhart, si tratta di una dottrina veramente radicale “che colpisce al cuore tre testi fondamentali che dovrebbero fungere da direttive in politica estera”: il Trattato di Vestfalia, la Carta delle Nazioni Unite, e la Corte di Norimberga.7 Arthur Schlesinger ha dichiarato: “Durante i lunghi anni della guerra fredda, la guerra preventiva non si poteva nemmeno nominare. I suoi sostenitori erano considerati degli svitati”.8

Ma non sono stati solo gli iraniani a essere presi alla sprovvista da questo discorso dell’asse. Trapelò quasi subito la notizia secondo cui Colin Powell e il Dipartimento di Stato non erano stati consultati sul discorso – né sull’attacco generale né tanto meno sull’inclusione dell’Iran.9 I funzionari del Dipartimento di Stato lamentavano privatamente il fatto che il Pentagono aveva “dirottato” la politica estera e che il discorso comprometteva la politica di riavvicinamento con i riformatori iraniani che avevano seguito per lungo tempo.10 Il vice di Powell fece notare che alcuni neoconservatori avevano urgente bisogno di psicoterapia. Un ex membro del Consiglio di Sicurezza Nazionale affermò che il discorso dell’asse denotava il “trionfo” del Pentagono sul Dipartimento di Stato.11

Sebbene il discorso dell’asse abbia colto di sorpresa molta gente, lo stesso non può dirsi per chi aveva familiarità con l’influenza esercitata dai neoconservatori a Washington – in particolare all’interno di think-tank come il Project for the New American Century, l’American Enterprise Institute, il Washington Institute for Near East Policy, il Foreign Policy Institute, il Center for Security Policy e il Jewish Institute for National Security Affairs. Questi neoconservatori, noti tra i colleghi più tradizionalisti come neo-destrorsi e neopazzi, si sono lamentati per anni delle politiche “da colomba” e di “pacificazione” che Washington persegue nei confronti dei “fascisti” e “fanatici islamici”. Si sono dichiarati, per il Medio Oriente, a favore di azioni quali ridisegnare la carta geografica, cancellare la linea Sykes-Picot (la divisione anglo-francese della regione durante la prima guerra mondiale), ignorare gli Accordi di Oslo, e diffondere la democrazia con “cambi di regime”. L’influenza dei neoconservatori nell’amministrazione Bush non può essere sottovalutata. Come ha affermato Donald Rumsfeld in un messaggio al Center for Security Policy, “Chi avesse dei dubbi sulla forza delle vostre idee, deve solo guardare il numero dei soci del Center che popolano ora questa amministrazione – e in particolare il dipartimento della difesa”. 12 Quasi tutti i venticinque soci fondatori del Project for the New American Century (che chiede “cambiamenti rivoluzionari” per rendere il mondo più sicuro per l’America) ricoprono oggi posizioni di spicco all’interno del Pentagono e della Casa Bianca.

Note
1. CNN, “Interview with President Khatami”, 8 gennaio 1998.
2. Segretario di Stato Madeleine Albright, “Address on Iran”, Iran Times, 24 marzo 2000.
3. Elaine Sciolino e Nazila Fathi, “British Minister Meets Top Iranian”, New York Times, 26 settembre 2001.
4. Nazila Fathi, “On the Sly, Iran Weighs Closer Ties with U.S.”, New York Times, 9 novembre 2001.
5. Gary Sick, “The Axis of Evil: Origins and Policy Implications”, Middle East Economic Survey, no. 14 (8 aprile 2002).
6. Presidente Bush, “Messaggio sullo Stato dell’Unione”, New York Times, 30 gennaio 2002.
7. Brian Urquhart, “World Order and Mr. Bush”, New York Review of Books, 9 ottobre 2003.
8. Arthur Schlesinger, “Eyeless in Iraq”, New York Review of Books, 23 ottobre 2003.
9. Hendrik Hertzberg, “Axis Praxis”, New Yorker, 13 gennaio 2003.
10. Sonni Efron, “Loyalists Say the Pentagon Is Usurping Foreign Policy”, Los Angeles Times, 8 maggio 2003.
11. Sick, op. cit.
12. Julian Berger, “Washington Diary”, Guardian Weekly, 16 ottobre 2003.