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Una questione di identità

di Eva Klotz - Gianni Sartori - 23/11/2013

 

 

 

 

  1. Una tua valutazione sulla situazione dei partiti che si richiamano all'identità tirolese dopo le recenti elezioni provinciali di fine ottobre...

R. Die Freiheitlichen ha raggiunto il 17% passando da 5 a 6 consiglieri. Noi, Sued-Tiroler Freiheit, siamo passati da 2 a 3 eletti. Il collega Bernhard Zimmerkofer è della Ahrntal (Valle Aurina), molto radicato, molto tirolese.  

Quanto alla Sudtiroler Volkspartei, mi sembra significativo che per la prima volta si sia fermata a 17 e abbia così dovuto rinunciare alla maggioranza assoluta. Finora la SVP non era mai scesa al di sotto dei 18 e ora dovranno ripensarci, valutare le ragioni di questa batosta che mette in crisi la loro credibilità politica. Sicuramente non hanno giovato gli scandali in cui sono stati coinvolti alcuni esponenti del partito, scandali che hanno portato alla condanna di un ex membro della Giunta provinciale e di altri funzionari che in Provincia gestiva l'energia elettrica. Tutti i membri SVP della Giunta hanno perso voti e sono convinta che se anche Durnwalder (presidente della Provincia autonoma per 24 anni ndr) si ricandidava ne avrebbero persi ancora di più. Come capolista hanno presentato Arno Kompatscher, un volto giovane (il nuovo Landeshauptmann ha 42 anni ndr), disinvolto. Nel complesso direi che è andata bene per i patrioti e per tutti quelli che lavorano per la libertà e per l'autodeterminazione.

 

D. E per quanto riguarda il referendum autogestito?

R. Al momento il referendum autogestito è ancora in svolgimento. La conclusione è prevista per il 30 novembre, i risultati entro dicembre. Si può votare in quattro modi: con internet, con sms, per posta o direttamente nei banchetti che organizziamo nei centri abitati.

Tutti gli aventi diritto al voto per il consiglio provinciale hanno ricevuto una lettera in tedesco, italiano e ladino (complessivamente ne sono state inviate 400mila), un codice personale e busta bianca con scheda per rispondere Si o No in merito all'autodeterminazione per i sud-tirolesi. Con la risposta viene restituito anche il tagliando con il codice personale in modo che quelli che esaminano possano controllare se la persona aveva già espresso il suo parere in altro modo. Allo spoglio saranno presenti osservatori e giornalisti così che non si possa parlare di brogli.

Abbiamo voluto avviarlo in periodo di elezioni per promuover l'idea dell'autodeterminazione e affinché gli altri partiti prendessero posizione. La SVP ha già dichiarato che intende rimanere con l'Italia, mentre Die Freiheitlichen sono a favore di uno stato tirolese indipendente. Noi invece diciamo che non può decidere un solo partito, ma ogni abitante del Sud Tirolo. E' un principio democratico fondamentale. In prospettiva, resta valido il ricongiungimento all'Austria dato che la legittimità delle nostre rivendicazioni deriva direttamente dalla forzata separazione come conseguenza della Prima Guerra Mondiale.

 

  1. A proposito di Prima Guerra Mondiale. In Italia si vanno preparando i “festeggiamenti” per il primo centenario del grande macello patriottico. Un tuo commento in proposito...

R. All'epoca tutti i maschi tirolesi tra i 18 e i 48 anni vennero arruolati nonostante gli Schutzen fossero una milizia di difesa territoriale. Così il fior fiore della nostra gioventù venne inviato a combattere in Galizia, sul fronte orientale. Nel 1915, con l'imprevista entrata in guerra dell'Italia contro l'Austria, a difendere il territorio tirolese rimanevano soltanto i giovanissimi (letztes aufgebot, l'ultima leva) e gli anziani. Nessun militare italiano aveva comunque messo piede in Tirolo fino alla fine del conflitto, quando il confine era ancora sotto il lago di Garda. Per l'Austria l'armistizio cominciava il 3 novembre, ma l'Italia proseguì la guerra per altre 36 ore facendo 300mila prigionieri che avevano già deposto le armi.  Questi fatti e la successiva divisione del Tirolo rappresentano il centro delle nostre celebrazioni. Naturalmente la tragedia complessiva della guerra con i suoi milioni di morti viene considerata con tutta l'attenzione e il rispetto che merita.

D. L'anno scorso è stata pubblicata l'edizione in lingua italiana del tuo libro (“Georg Klotz una vita per l'unità del Tirolo” Effekt!Buch, Egna). Emerge con chiarezza non solo la grande umanità e l'amore disinteressato di tuo padre per la libertà e i diritti dei popoli, ma anche il clima da “guerra sporca” (torture, squadre della morte...) che negli anni sessanta prefigurava la futura “strategia della tensione” e le stragi di stato (Piazza Fontana, Brescia, Italicus...). E' probabile che anche il Sud-Tirolo (come l'Irlanda del Nord e il Paese Basco) sia stato un “laboratorio repressivo” di sperimentazione politico-militare nei confronti di una comunità non omologata. Non sarebbero mancate infiltrazioni e strumentalizzazione da parte dei servizi segreti come aveva documentato Gianni Flamini (“Brennero Connection. Alle radici del terrorismo italiano” Editori Riuniti, 2003). Pensi che tuo padre ne fosse consapevole?

R. Dopo i tragici avvenimenti della notte tra il 6 e il 7 settembre 1964, quando Luis Amplatz venne assassinato dall'infiltrato e rinnegato Christian Kerbler, mio padre si era reso conto di “trovarsi ormai circondato”. Era sicuramente “consapevole della presenza di spie”, ma  non avrebbe  mai pensato che vi potesse “essere un traditore su tre persone riunite”. Mio padre morì nel gennaio 1976 e nel dicembre dello stesso anno Kerbler venne arrestato in Gran Bretagna. Chissà, forse dopo la morte di Georg si era “rilassato”, aveva abbassato la guardia. Nonostante la formale richiesta di Londra, sia l'Italia che l'Austria non ne chiesero l'estradizione e alla fine Kerbler venne rilasciato facendo perdere definitivamente le tracce. Evidentemente nessuno voleva un processo da cui potevano emergere aspetti non chiari dell'operazione del settembre 1964.* Quindi, pur non conoscendo tutti i retroscena, possiamo intuire quale sia stato il ruolo dei servizi segreti. Nel caso di mio padre, non escludo accordi intercorsi per eliminare una figura ormai “scomoda” non solo per Roma.

D. In questo colgo un'analogia con Ernesto Guevara (penso alla foto del “Che” esposta nel tuo ufficio a Bozen) che alla fine venne abbandonato e sacrificato in quanto “scomodo”, oltre che per Washington, anche per Mosca. Tornando al Tirolo,  qualche ombra sembra gravare anche sulla figura di Fritz Peter Molden che in precedenza aveva appoggiato la lotta di tuo padre. Se non ricordo male, Molden era stato un agente dei servizi segreti americani durante la guerra e poi il marito di Eleanore Dulles, sorella di John Foster Dulles, segretario di Stato statunitense e di Allen Dulles, direttore della CIA. Stando a quanto riporta Gianni Flamini, in un'intervista del 1991 Molden riconosceva di aver preso parte all'organizzazione di “stay-behinds nets” (l'equivalente della Gladio italiana) e che l'organizzazione clandestina sapeva in anticipo degli attentati.  

  R. Fritz Molden, oltre che editore, è stato un grande giornalista. Potremmo definirlo l'Indro Montanelli austriaco. Ancora negli anni sessanta, a spese proprie, aveva realizzato un'indagine con l'Allensbacher Institut da dove emergeva che la maggioranza dei sud-tirolesi (l'82%) auspicava un futuro separato dall'Italia. E ben il 26% era favorevole anche alla resistenza armata. Per molti anni Molden aveva finanziato la resistenza tirolese per poi ritirarsi dall'impegno quando erano emerse divergenze e posizioni contrastanti. Una parte del movimento voleva limitarsi ad azioni propagandistiche, le “notti dei fuochi”, di valore simbolico. Un'altra componente, tra cui mio padre e una parte del BAS (Benfreiung Auschus Sudtirol, Comitato per la liberazione del Sudtirolo), avrebbe voluto andare fino in fondo, altrimenti, sostenevano “era meglio neanche aver cominciato”.

A questo punto Molden si era ritirato convinto che “se le cose andranno così vi faranno fuori...”. Personalmente ho sempre pensato che in qualche modo si sentisse in colpa nei confronti di mio padre...**

Gianni Sartori

 

* Non poche le ombre sull'operazione che portò all'uccisione di Amplatz e al ferimento di Klotz. Stando al diario del  generale Manes pubblicato nel 1991 “la pistola usata per uccidere Amplatz era del maresciallo della compagnia di Bressanone” e secondo il senatore Boato “Kerbler fu fatto fuggire all'estero dai carabinieri”.

 

**Tra gli episodi (ricordati anche da Gianni Flamini) a conferma dell'intervento dei servizi segreti, le attività di alcuni fascisti italiani (tra cui Sergio Tazio Poltronieri, legato al SIFAR) che compirono attentati in Austria. Recentemente è uscito un libro su Cima Vallona, basato su ricerche di archivio, in cui si sostiene l'innocenza delle persone giudicate e condannate all'ergastolo (ma rifugiate in Austria senza che l'Italia ne abbia mai chiesto l'estradizione). All'epoca la polizia italiana impedì a quella austriaca di compiere il minimo sopralluogo sul luogo dell'attentato (nel territorio di San Nicolò Comelico) costato la vita a un carabiniere, un alpino e due paracadutisti. Anche la proposta austriaca di istituire una commissione mista di indagine venne rifiutata. Secondo Corrado Galimberti, uno degli imputati, Peter Kienesberger “era sul libro paga dei servizi segreti italiani”. Inoltre, in base alla documentazione dell'avvocato Peppino Zangrando, a una decina di chilometri dal luogo dell'attentato si celava un deposito Nasco della Gladio. Un altro preannuncio della “strategia della tensione”?

Va comunque sottolineato che Georg Klotz si era sempre dichiarato contrario all'uccisione di persone.