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Ultima chiamata

di Guido Dalla Casa - 19/01/2014

L’Occidente è una nave che sta colando a picco, la cui falla è ignorata da tutti. Ma tutti si danno molto da fare per rendere il viaggio più confortevole.                      Emanuele Severino

 

  E’ stato recentemente proiettato al Cinema Odeon di Firenze il film “Ultima chiamata” di Enrico Cerasuolo. Non l’ho ancora visto, ma il titolo mi invita a fare alcune considerazioni.

  Come noto, nel 1972 uscì in italiano il rapporto “I limiti dello sviluppo”, promosso  da Aurelio Peccei e dal Club di Roma.

 Riporto il diagramma principale del libro:


 

  Come dettaglio  significativo, negli anni 1973-74 ci furono in Italia le “domeniche senza macchine”. In quei pochi anni, all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, c’è stata l’ultima chiamata della Terra. Nessuno ha risposto.

  Dopo alcuni anni dalle “domeniche senza macchine” qualche giornalista “spiritoso” scrisse che l’esperimento non fu più ripetuto, anche se i motivi ci sarebbero stati ampiamente, “perché stava per succedere una mezza rivoluzione”. Non è vero. Allora abitavo nei pressi di Torino e ricordo benissimo quelle domeniche: mio figlio, che allora aveva sette-otto anni, mi ha chiesto ancora per diverso tempo perché non c’erano più giornate belle come quelle, anche se tutte le auto in sosta occupavano comunque spazi inutilmente. In realtà le autorità industrialiste-sviluppiste si erano prese una gran paura, che la gente si accorgesse di quanto era bello un mondo senza automobili. Così non se ne è più parlato.

  L’ultima chiamata, “grossa” e seria, quella del Club di Roma del 1972, è caduta nel vuoto: il rapporto era ancora completamente entro un paradigma cartesiano-newtoniano, anche se con un approccio abbastanza sistemico, e non poneva alcun dubbio sulla visione del mondo antropocentrica, allora e tuttora imperante. “Il punto di svolta” non era ancora iniziato, e anche oggi, se è in corso, procede con estrema lentezza. Il libro di Fritjof Capra che porta quel titolo, è uscito in italiano dieci anni dopo, nel 1984.

  Quindi c’erano tutte le premesse perché il Rapporto del Club di Roma potesse essere accettato, esaminato, ascoltato senza sforzi eccessivi di dover effettuare un “cambio di paradigma” o  di dover rovesciare subito una visione del mondo. Ripeto, così è andata a vuoto l’ultima chiamata. Sono passati più di quaranta anni, ora è troppo tardi perché si possano evitare eventi traumatici. Allora la popolazione umana mondiale era circa la metà di quella attuale, e corrispondeva al massimo dei valori considerati ancora accettabili perché il pianeta possa continuare a vivere, cioè a mantenersi in situazione stazionaria: oggi ci troviamo in un transitorio, che non può durare a lungo.

  E’ comunque doveroso più che mai tentare qualcosa, informare il più possibile, ridurre le nascite e i consumi, per rendere l’evento traumatico meno grave.

  L’uomo non evita mai le catastrofi, ne guarisce. Speriamo che sia vero.

  In questi 40 anni si sono distrutti migliaia di ecosistemi, si è tolto lo spazio vitale a milioni di specie di esseri senzienti, si sono distrutte metà delle foreste del Pianeta, si è alterata l’atmosfera terrestre, e si vuole continuare in questa follia.

 Tra l’altro, proprio in quegli anni Settanta è stato pubblicato l’articolo di Arne Naess “The Shallow and the Deep” che indica convenzionalmente la nascita in Occidente dell’Ecologia Profonda: il filosofo norvegese ha introdotto idee ancora più radicali e profonde dei limiti dello sviluppo, quasi nuove per l’Occidente e a mio avviso indispensabili per un vero cambio di paradigma, o di visione del mondo, per una vera modifica del modo di vivere. Le sue idee riportano la nostra specie all’interno della Natura, dove doveva restare da sempre. Tutto in quegli anni.

  Tornando al rapporto sui limiti dello sviluppo, ci sono stati aggiornamenti nel 1993, nel 2006 e nel 2013: sono stati totalmente ignorati anche dai mezzi di informazione. Quaranta anni dopo, possiamo ben dire che l’ultima chiamata è andata a vuoto. Recentemente è uscito un libro che riporta una sintesi divulgata, rapida e sintetica della situazione, sempre senza uscire da una visione antropocentrica (Stephen Emmott – Dieci miliardi. Il mondo dei nostri figli, Feltrinelli, 2013). Come al solito, l’Autore non è un filosofo ambientalista, ma uno studioso che insegna Scienze computazionali all’Università di Oxford.

Il libro: 

Dieci Miliardi - Libro

All’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, probabilmente la situazione era ancora controllabile con un deciso cambio di rotta, soprattutto perché la popolazione umana era circa la metà di quella attuale: ora è troppo tardi per sperare in modifiche dolci e graduali verso una situazione compatibile con la vita della Terra.

Un collasso economico mondiale è divenuta una speranza. I veri catastrofisti sono coloro che pensano che ci sarà “la ripresa” e tutto andrà avanti come prima, cioè che continueremo a sottrarre spazio alla Vita e a distruggere le capacità omeostatiche della Terra, che si basano sulla biodiversità e la complessità delle relazioni fra tutte le entità interessate. La crescita è chiaramente una grave patologia del Pianeta.

  Non ci resta che prepararci spiritualmente a superare il collasso che dopo porterà – speriamo – ad un mondo in grado di vivere e continuare a consentire la vita a milioni di specie di esseri senzienti.

  Ora possiamo salire sul ponte del Titanic e goderci lo spettacolo, ricordando comunque che molti dei naufraghi sono sopravvissuti, magari dopo un bagno un tantino freddo nelle acque dell’Atlantico.