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Gentiloni o la Farnesina commissariata

di Mauro Indelicato - 05/11/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Una carriera sempre in evoluzione ma, come si può ben notare, non sembra esserci traccia di una sua esperienza in istituzioni o enti che curano i rapporti con gli esteri, nemmeno all’interno del suo partito. Ma spulciando le carte ed andando oltre la semplice personale carriera parlamentare, Gentiloni in realtà sulla politica estera ha le idee molto chiare e si intuisce subito come mai si è puntato sul suo nome per dirigere la Farnesina.
  

Gentiloni, chi era costui? In molti, alla notizia della nomina del nuovo Ministro degli Esteri, hanno reagito come don Abbondio alla vista del nome di Carneade, cercando di andare con la mente indietro per trovare un evento, un episodio o un incarico in cui era già comparso il nuovo titolare della Farnesina in tema di politica estera. Lo si ricorderà certamente per essere stato Ministro delle Telecomunicazioni nel secondo governo di Romano Prodi, così come lo si ricorderà per avere legato il proprio nome alla nascita della Margherita, formazioni politica centrista nata per sostenere la candidatura di Rutelli alla Presidenza del Consiglio nel 2001 e confluita poi assieme ai DS nel Partito Democratico. Scuola democristiana quindi, anche se nulla ha a che vedere, a livello di parentela, con quel Vincenzo Gentiloni che diede nome al Patto con il quale nel 1913 i cattolici scesero per la prima volta in politica.

Ma Gentiloni, per l’appunto, cosa c’entra con la politica estera? Come mai, tra tanti nomi, il PD ha puntato proprio su un personaggio che in poche occasioni si è occupato di affari esteri? Del resto, Paolo Gentiloni ha sempre legato il suo nome alla comunicazione: è emerso infatti nel contesto romano facendo l’addetto stampa di Rutelli quando quest’ultimo era primo cittadino della capitale; al Campidoglio poi, ebbe l’assessorato al Turismo in un anno cruciale per Roma, ossia nel 2000, l’anno del Giubileo e fu proprio lui a gestire in quella giunta l’organizzazione dell’evento religioso. Anche a livello nazionale, si occupa negli anni successivi di comunicazione fino a diventare nel 2006, come detto in precedenza, Ministro delle Comunicazioni; entrato nel PD, Gentiloni abbandona Rutelli quando quest’ultimo fonda l’API nel 2011 per divenire, successivamente, uno dei più convinti renziani all’interno dell’attuale partito di governo.

Insomma, una carriera sempre in evoluzione ma, come si può ben notare, non sembra esserci traccia di una sua esperienza in istituzioni o enti che curano i rapporti con gli esteri, nemmeno all’interno del suo partito. Ma spulciando le carte ed andando oltre la semplice personale carriera parlamentare, Gentiloni in realtà sulla politica estera ha le idee molto chiare e si intuisce subito come mai si è puntato sul suo nome per dirigere la Farnesina. Il primo aspetto che salta fuori, è la sua appartenenza alla commissione interparlamentare USA-Italia, un ente preposto al coordinamento delle azioni dei due parlamenti di Washington e di Roma; in secondo luogo, dal 2013 è membro della commissione Affari Esteri e spesso, da quel pulpito, ha appoggiato senza troppi giri di parole le operazioni portate avanti dagli Stati Uniti; infine, non per ultimo, il suo convinto sostegno al progetto del TTIP, addirittura, scrive su Europa il neo ministro degli esteri, il trattato bisogna metterlo “in cima all’agenda politica, per evitare fasi di stallo”.

Ecco dunque tracciato il profilo di Paolo Gentiloni sulla politica estera: atlantista convinto, da sempre vicino agli USA, appartenente di un’istituzione comune tra i due paesi, strenuo difensore del TTIP. Si può ben capire quindi, come mai si sia puntato sul suo nome per designare il nuovo titolare degli esteri. Mai come oggi la politica estera italiana appare ‘congelata’ sulle posizioni filo americane: nessun margine di manovra, neppure minimo, rispetto ai dettami d’oltreoceano e la nomina di Gentiloni come nuovo Ministro sembra una mossa che ‘tranquillizzi’ gli USA circa velleità o volontà di distensione verso Mosca da parte del governo Renzi. Certamente anche il profilo dei suoi predecessori è analogo ed indirizzato verso i diktat a stelle e strisce, ma la nomina della Mogherini aveva lasciato vuota la poltrona del Ministero degli Esteri proprio mentre in Europa avanzano posizioni di contrarietà alle sanzioni verso la Russia e cresce una decisa insofferenza al TTIP, come dimostra, non da ultimo, la contrarietà del governo tedesco ad alcuni punti del trattato di libero scambio transatlantico. Dunque, anche alla luce di recenti difficoltà interne di Matteo Renzi e del vertice euroasiatico tenuto proprio in Italia, chi ha interesse a far rimanere il nostro paese una colonia senza possibilità di movimento autonomo in politica estera ha drizzato le antenne e fiutato il pericolo di un, pur minimo e timido, movimento distensivo verso Putin.

Con Gentiloni alla Farnesina, questa possibilità, già di per sé remota e comunque, come detto, potenzialmente timida, svanisce del tutto: anzi, Paolo Gentiloni sembra proprio l’uomo perfetto per garantire gli interessi di USA e NATO sull’Italia, sia per le sue posizioni spiccatamente atlantiste e sia perché negli anni ha macinato poca esperienza sulla gestione della politica estera e questo, certamente, lo rende un titolare della Farnesina costretto a bussare spesso le porte di Palazzo Chigi. Certamente dal governo Renzi non ci si aspettava nulla di diverso; ma si sa, quando balla una nomina, la speranza che mutate situazioni ruotanti attorno il contesto attuale possano in qualche modo costringere chi di dovere anche a minime aperture. Così non è stato ed in tal senso una figura come quella di Gentiloni a capo del Ministero degli Esteri taglia le gambe ad ogni chance di cambiamento. E’ l’ennesima riprova quindi, qualora in realtà ne servissero altre per capirlo, dell’indirizzo di governo impresso da Renzi e soprattutto da chi, a livello finanziario ed internazionale, ha imposto Renzi alla Presidenza del Consiglio. La nomina di Paolo Gentiloni, fa ricordare a tutti cosa vuol dire non essere sovrani e non potere nemmeno aspirare, con l’attuale sistema e classe dirigente, a vedere la luce in fondo al disastrato tunnel in cui i poteri forti ed imperialistici hanno stretto l’Italia da 70 anni a questa parte.