I rifiuti tossici in Italia e le rapine degli ologarchi in Russia: un confronto
di Alfonso Piscitelli - 26/11/2014
Fonte: Arianna editrice

Don Maurizio Patriciello è un uomo buono, sacerdote campano che in prima linea combatte contro le discariche abusive di rifiuti tossici che hanno trasformato alcune tra le terre più fertili d’Italia in un ricettacolo di inquinamento e in una fucina delle peggiori malattie umane: la tristemente nota “terra dei fuochi” ai confini tra la provincia di Napoli e Caserta.
Chi scrive ha avuto il piacere di ascoltarlo mentre parlava ad una scolaresca e con un linguaggio straordinariamente comunicativo aiutava a prendere coscienza della gravità della cosa. È anche un tipo simpatico, capace di intrecciare frasi in italiano e frasi in schietta lingua napoletana. Non è però solo simpatico, ma è anche un uomo profondamente retto.
In verità il guaio di molti napoletani e meridionali è che pensano di risolvere tutto con la “simpatia”. La simpatia però deve sempre associarsi – come nella figura di don Patriciello – alla rettitudine, nel pensare e nell’agire.
Un altro elemento che a volte difetta nella coscienza meridionale è il senso della responsabilità: si tende ad attribuire sempre ad “altri” la colpa delle proprie sciagure. In realtà spesso gli “altri” centrano e hanno gravissime responsabilità, non solo morali, ma anche penali: nel caso dei rifiuti tossici della Campania è indubbio che vi siano stati gruppi industriali del Nord che per decenni hanno utilizzato il Meridione come una pattumiera senza pagare dazio e senza alcun rispetto della salute pubblica. E tuttavia chi è più colpevole? L’industrialotto del Nord che scarica i propri rifiuti in maniera clandestina e irregolare oppure il proprietario terriero del Sud che – con la mediazione della camorra o della classe politica locale – vende la propria terra a chi le farà un immenso danno? È una domanda che poniamo da meridionali; e ci diamo anche la risposta: nel primo caso si può senza dubbio parlare di reato, nel secondo caso si deve parlare di qualcosa di più grave: un tradimento perpetrato nei confronti della propria terra, un misto di avidità estrema, ma anche di fessaggine (sia detto con schietto termine partenopeo) dal momento che ci si mette sotto casa una gravosa eredità che in futuro non può che provocare danni. Avidità autodistruttiva insomma e viene in mente la frase dell’economista Geminello Alvi che dice: “Il Sud è quella parte d’Italia in cui il voler far fessi gli altri conduce sempre a qualche fesseria”.
Ora l’emergenza rifiuti in Campania dilaga: triste eredità di epoche di sviluppo industriale vigoroso, ma anche estremamente sregolato. Luoghi che potrebbero essere ricchi di agricoltura modernamente gestita diventano serre anomale in cui fioriscono “fiori del male”: frutti mostruosamente trasformati. Cittadine ridenti e cariche di arte che potrebbero vivere di turismo culturale e agriturismo vengono travolte dal pessimo ritorno d’immagine dei rifiuti tossici, come a dire: bellezza sopra, monnezza sotto.
In queste circostanze, le autorità locali – non si sa quanto in buona fede – si affrettano a dichiarare che “non bisogna creare allarmismi”. In effetti è vero: il procurato allarme è un altro dei danni psicologici possibili quando emerge una problematica. E tuttavia è pur vero che per non allarmare non bisogna minimizzare, ma al contrario bisogna andare fino in fondo con tutti gli strumenti possibili di indagine: compiendo una mappatura completa dei siti a rischio, ma anche indagando nei conti correnti e nei repentini arricchimenti di privati cittadini e di politici. Poi bisogna monitorare attentamente la salute dei luoghi e delle persone. Dal terreno l’effetto dei rifiuti tossici può trasmettersi ai cibi che finiscono sulle tavole e alle falde acquifere producendo un effetto velenoso a largo raggio. I danni all’ambiente poi si trasformano in danno alla salute con un proliferare di patologie tumorali che supera la media statistica generalmente diagnosticata nelle altre aree.
In questa necessaria indagine la scienza e la tecnologia forniscono il loro significativo contributo. Il guaio dell’ecologismo in Italia è che esso è divenuto una ideologia di stampo primitivista che ha cominciato ad opporsi a tutto ciò che vagamente somiglia alla innovazione tecnica, quasi che l’uomo sia veramente uomo solo quando vive in condizioni “paleolitiche”. In realtà è vero esattamente l’opposto: l’uomo dal paleolitico in poi ha mostrato la sua vera “natura” appunto trasformando il mondo attraverso il proprio lavoro creativo e la propria capacità tecnica. Questo perché l’uomo è un “animale nudo” - come ha affermato un grande antropologo come Arnold Gehlen – è privo di istinti e di armi naturali e sopperisce ad essi grazie all’intelligenza della mente e alla abilità tecnica della mano. Dunque scienza e tecnica, innovazione scientifico-tecnologica sono parti integranti della vera natura umana e ad essa bisogna far ricorso per ristabilire gli equilibri naturali infranti.
Questo discorso a maggior ragione vale per la diagnosi dell’impatto ambientale provocato dai rifiuti tossici. Ovviamente gli strumenti della scienza si mettono in funzione solo se vi è la volontà morale, la volontà politica di farli funzionare.
Spesso questa volontà è seriamente contrastata dal denaro. La fascinazione del denaro suscita i peggiori danni: il piccolo proprietario terriero vende la propria cava, il politico vende la terra che è chiamato ad amministrare. Certo si dovrebbe invocare il senso morale contro queste diaboliche tentazioni del denaro. Ma quando il senso morale è debole e il richiamo del denaro è forte? Allora in tal caso la forza dello Stato, di uno Stato sovrano dovrebbe creare un argine. “Se fai il male allora temi, perché non invano Cesare porta la spada” scrive San Paolo in un passaggio molto “politicamente scorretto” e perciò misconosciuto. Lo Stato con l’esercizio rigoroso della giustizia dovrebbe far passare la voglia di compromettere la salute di una comunità inquinando terre, frutti, acque, aria.
Ma il punto è proprio questo: negli ultimi venticinque anni (e si potrebbe fissare la data simbolica del 1989 quando crolla il sistema del socialismo di Stato) abbiamo assistito a una fanatica esaltazione del denaro contro ogni forma di sovranità popolare e di logica pubblica.
Ai giovani è stato insegnato che arricchirsi è bene con ogni mezzo e che per tuffarsi nel fiume della liquidità monetaria è bello cambiare paese, dimenticare le proprie origini, seguire la corrente degli affari. Lo sradicamento è stato spacciato per cosmopolitismo: in realtà questi “cittadini del mondo” nella gran parte dei casi si sono rinchiusi in una sfera più piccola della precedente esistenza comunitaria, si sono chiusi nella sfera minima dell’interesse individuale. Invece oggi bisogna riscoprire il bene sociale, il legame comunitario e anche – sia detto con chiarezza – il valore dell’autorità di uno Stato sociale e democratico.
Italia e Russia hanno storie parallele, in entrambe gruppi privati hanno dato l’assalto ai beni pubblici, alle risorse del suolo e del sottosuolo che dovrebbero appartenere alla collettività e dovrebbero essere gestite secondo il principio della sovranità popolare.
Italia e Russia hanno conosciuto entrambi le privatizzazioni selvagge. Purtroppo l’Italia non ha reagito come la Russia: i beni pubblici sono stati depauperati e non restituiti e - come insegna la vicenda dei rifiuti tossici – lo stesso sottosuolo è stato utilizzato secondo una logica privata-criminale trasformandolo in discarica illegale.
In Russia invece cosa è accaduto? Un gruppo di ex quadri del disciolto partito comunista alle soglie degli anni Novanta creava una triangolazione con Londra e con le altre piazze bancarie dell’Occidente: riceveva denaro e acquistava le aziende di Stato, come la Yukos, l’ente che gestiva le risorse petrolifere. L’acquisto assumeva il carattere di una vera e propria svendita: è stato scritto che acquistare la Yukos al prezzo col quale l’hanno rilevata gli “oligarchi” come Khodorkovsky equivaleva ad acquistare un Rolex a 35 euro.
Questa svendita era a conti fatti un furto di un bene che apparteneva al popolo russo: e così uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo (il primo secondo le attuali statistiche) si trovava alla fine degli anni Novanta senza benzina nella sua stessa capitale Mosca. Questo accade quando i pescecani della finanza privata mettono le mani sui beni pubblici.
Poi arrivò Putin. Che ai pescecani gli tagliò le mani.
La precedente espropriazione era avvenuta con la connivenza di un potere politico debole e confuso: erano gli anni del presidente Eltsin. Da notare: Eltsin a un certo punto per far fronte agli oppositori giunse a cannoneggiare il parlamento, e questo con l’assoluta approvazione dai parti dei media e delle diplomazie occidentali.
Quando poi sale al potere Putin e limita drasticamente il potere degli oligarchi e riafferma la sovranità popolare sul suolo e sul sottosuolo russo ecco che i media occidentali si scatenano contro il “dittatore”, contro il “neo-stalinista” (o fascista a seconda dei gusti dell’etichettatore folle). Si capisce allora il legame organico che congiunge in una rete globale i mafiosi russi che miravano alla conquista delle risorse del territorio – i banchieri che fornivano il denaro per l’operazione di acquisto in saldo – i centri di potere occidentali che patrocinavano l’esproprio – e i media che cantavano inni di lode ai padroni.
Ora è tempo di tagliare questa rete e di riaffermare il principio della sovranità popolare sui beni del suolo del sottosuolo. Al “potere del denaro che svuota le democrazia” bisogna contrapporre appunto la “democrazia sovrana”, cosa ben più sostanziale della democrazie “delle regole” e delle procedure pensate alla occidentale.
Alla liquidità del denaro, che corrompe e rende addirittura auto-lesionisti – bisogna contrapporre l’attaccamento e la difesa della Terra in cui si è nati. Questa è una delle più incisive declinazioni del grande dualismo geopolitico tra Terra e Mare, “potenze di terra” e “potenze del mare” .