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Uno su mille ce la fa E in Cina si studia prima di nascere

di redazione - 28/08/2006

 
DOPO L’EGUALITARISMO DI MARCA COMUNISTA TRIONFA IL MODELLO MERITOCRATICO: PER ENTRARE NELLE MIGLIORI UNIVERSITÀ BISOGNA COMINCIARE DAL GREMBO MATERNO

La fortuna di una famiglia è affidata ai figli che sfondano, ma non c’è posto per tutti

La foto nei supermercati, nelle librerie è affascinante, e tocca fin nei recessi il carattere sentimentale dei cinesi: il neo papà è reclinato verso la neo mamma, e amorevolmente poggia un registratore sulla pancia di lei.
La pubblicità spiega che al piccolo nascituro in questo modo si potranno leggere favole, racconti, far ascoltare buona musica. Insomma, sull’onda delle nuove scoperte scientifiche secondo cui la personalità del bambino comincia a formarsi ancora prima della nascita, una serie di aziende cinesi offrono un intero, coordinato programma pedagogico per lui. Neppure in grembo dunque, il piccolo feto starà tranquillo, già da allora deve cominciare a studiare e imparare per potere essere intelligente e andare nelle scuole migliori. La media statistica non lascia scampo: un solo un ragazzo su mille finirà in una delle grandi università che assicurano un futuro importante ai loro studenti.

SISTEMA EQUO E CRUDELE

Le opportunità sono migliori per chi abita in una metropoli della costa, e diminuiscono drammaticamente per le province interne. Da qui, dalla provincia del Jiangxi per esempio, le grandi università di Pechino reclutano solo poche decine di studenti all’anno, su una popolazione di quasi 40 milioni di abitanti. Il sistema è crudele ma funziona, è equo. Il presidente in carica Hu Jintao si è laureato alla migliore università scientifica cinese, Qinghua, e i suoi genitori, ex mercanti di the, erano in fondo alla scala sociale della Cina maoista, eppure, per solo merito, Hu ha scalato il sistema fino ai vertici. Se ce l’ha fatta lui ce la possono fare tutti.
Quando si ha un solo figlio, però, l’impresa non è affatto facile, e non si può sbagliare. Così dopo qualche decennio in cui la retorica ufficiale promuoveva il valore e il merito di soldati, contadini e operai, oggi sono tornati i valori di sempre, quelli della cultura, del sapere che apre le porte della carriera, del mandarinato. Il risultato è che in dieci anni la competizione si è spostata sempre più a monte. All’inizio la lotta era solo per iscrivere il ragazzo o la ragazza a una buona scuola media, che poi avrebbe aperto le porte a una buona università. Poi è cominciata la rissa per una buona scuola elementare, quindi per un buon asilo, poi per una prima infanzia stimolante e adesso si è arrivati a cominciare a lavorare fin dalle prime fasi del concepimento.

MAESTRI INFLESSIBILI

Negli anni anche il metodo di insegnamento è cambiato. Nella vecchia Cina studiare significava mandare a memoria libri interi, risme di caratteri, storie e versi incomprensibili per dei ragazzi. La durezza dello studio prevedeva dura disciplina, che a sua volta andava sotto braccio alla durezza dell’insegnante. Il fascino per il maestro duro ed esigente non è scomparso. Molti genitori, ancora oggi, si raccomandano con i maestri: sia severo, esigente, inflessibile, non lesini i manrovesci, lo faccia studiare. Nei giorni scorsi tuttavia il ministero dell’educazione l’ha proibito, gli insegnanti non potranno più picchiare o sgridare i bambini. Bisogna interessarli allo studio. Con questo spirito si raccontano favole ai piccoli nel grembo, appena nati gli si fanno rotolare tra i giocattoli, quasi a caso, dei cubi con disegnati i primi caratteri più semplici per cominciare la lunga, infinita scalata delle decine di migliaia di ideogrammi che compongono la lingua cinese

COMPETIZIONE CONTINUA

Molti genitori sono sicuri che funziona. La figlia di un celebre giovane filosofo cinese Zhao Tingyang ne è la prova. È arrivata in prima classe che già conosceva 300 caratteri, il limite sopra il quale non si è più analfabeti. Alla fine delle elementari leggeva gli impervi romanzi medievali, che i suoi compatrioti affrontano al liceo, e che starebbe al cinese moderno come il latino all’italiano. Ora, alle medie, è concentrata nel cinese classico, un po’ come il greco antico da noi.
Tutto da sola, senza pressioni dai maestri o dai genitori, che anzi ora la vorrebbero scrollare un po’ dai libri. Per lei l’università non sarà certo un problema. Ma per tanti altri è una schiavitù. La comune situazione delle famiglie è che quando il figlio arriva al liceo i genitori smettono di uscire la sera e si precipitano a casa. Cucinano per lui, ripassano con lui la lezione, gli spiegano la matematica, lo aiutano a mandare a memoria i pensieri di Deng e tanta fisica, chimica e scienze naturali.

NESSUNO SI RIBELLA

Una volta arrivati all’esame di ammissione c’è un 50 per cento di possibilità di essere bocciato, e tra chi passa - 4 milioni quest’anno - solo uno su 100 finirà in un ateneo di primo livello. I test durano tre giorni e se vanno male è praticamente finita, non ci sono prove di appello. È una opportunità equa, democratica, oggettiva, rigidamente meritocratica. Nessuno si ribella al sistema, la gente si rivolta solo quando sente odore di imbroglio, di trucco, di raccomandazioni in un esame, che pure ci sono ma sono combattuti come la peste. Nei venti anni che passano dal concepimento a quell’esame, nulla può essere lasciato al caso. Ogni momento deve essere usato e sfruttato perché il ragazzo studi e questo studio poi sia ripagato con una vita migliore, alti incarichi che portino gloria ai suoi genitori e ai suoi antenati. È una fede molto pratica e anche molto antica, una specie di religione da queste parti, che comincia, come sostengono anche altre religioni, dal concepimento.