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Quel che si dimentica dell'Islam

di Pietrangelo Buttafuoco - 27/01/2015

Fonte: ilsole24ore



Tutti dimenticano, a maggior ragione quando ci s'impegna a rimuovere la realtà. Facoltosi sceicchi si lavano la coscienza pagando jihadisti. Questi fanno massacri “di infedeli” e loro si sentono di aver assolto al Jihad. Ed è sempre fitna. Il sacrosanto diritto alla libertà – e il rispetto dei “diritti umani”, evocato in Siria, nella guerra contro Bashar Assad – non si concilia con chi squarta i propri nemici e si ciba del loro fegato, come fece nel febbraio del 2013 Abu Sakkar, “il ribelle”, facendosi perfino riprendere in un video. Fu Vladimir Putin, al tempo della “linea rossa” – indicata dagli Usa per procedere all'invasione della Siria –, a mostrare al mondo il filmato. Fronteggiando David Cameron, che con tutto l'Occidente si schierava con i ribelli “democratici, moderati e laici”, il leader russo disse: «Il sangue macchia le mani di entrambe le parti, ma sono questi gli uomini cui vogliamo dare le armi, belve che uccidono i nemici per poi mangiarne il fegato e il cuore?».

Tutti dimenticano, ma c'è una voce remota che rammemora ciò che si occulta nel chiacchiericcio di terrore e disinformazione: tradizioni profetiche e imamiche sui “tempi ultimi”, che sono “i tempi di Siria”, trovano i discendenti di Abu Sufyan, il nemico del Profeta, e i discendenti dei Banu Hashim, la tribù da cui discende il Messaggero, ancora impegnati a scontrarsi.

Tutto è fitna nella guerra civile globale, tutto è zizzania e tutto precipita nel buco nero dell'ignoranza. La dichiarazione di Hassan Nasrallah, il capo militare di Hezbollah in Libano, è stata messa in sordina dai media occidentali: «Le vignette di Ebdo offendono Allah», ha tuonato, «ma l'uccisione dei vignettisti offende ancora di più Allah». Nasrallah, è un'autorità sciita, è bollato come “terrorista” mentre il raffinato Ahmet Davutoglu, il premier turco, teorico dell'euroasiatismo (al pari di Mohammed bin Hamada bin Khalifa Al Thani, fratello dell'Emiro del Qatar), è stato accolto come ospite gradito alla manifestazione di Parigi, con gli altri leader europei. E senza che nessuno abbia ricordato le sue dichiarazioni a dir poco rassicuranti sull'Is, pronunciate il 7 agosto scorso, a margine della caduta di Mosul in Iraq e della conseguente cacciata dei cristiani e degli yazidi: «Non è terrorismo, colpa delle autorità irachene per aver emarginato gli arabi sunniti».

È la fitna. Quando, prima dei Giochi Olimpici Invernali a Sochi, l'ex capo dell'intelligence saudita, il principe saudita Bandar, chiede a Putin – ricevendone un netto rifiuto – la testa di Assad, sta ovviamente assecondando un business stabilito con l'alleato americano, ma più sottilmente sta assolvendo a un istinto di guerra per obbedire a un richiamo sotterraneo di faida cui, ovviamente, non si sottrae il nemico.

È dunque un volta-pagina, quella fotografia del marciapiede di Parigi. A differenza, infatti, delle guerre di cui abbiamo più fresca memoria – la più impegnativa delle quali, se non altro geograficamente, fu quella Fredda del blocco dell'Est sovietico contro quello dell'Ovest atlantico –, oggi il terreno di scontro è lo spazio diffuso. Ed è civile, la guerra, perché, sempre a differenza dell'ultimo Amico/Nemico di cui abbiamo fatto archivio con il limes invalicabile della Cortina di Ferro o del Muro di Berlino, l'individuato Nemico di oggi, ossia l'Islam, la religione a vocazione universale, ha eletto a propria residenza la globalità. Già nella sola Repubblica Popolare Cinese, che tra le realtà statuali è una delle più pervicacemente atee, la popolazione musulmana raggiunge la cifra di 60 milioni di individui; e nell'intero continente euro-asiatico non c'è area in cui, accanto alla prevalenza di una qualsivoglia confessione che identifichi con la storia l'identità di civiltà remote – dalla paganitas d'India e del Giappone al cristianesimo ortodosso delle Russie, fino all'esaurirsi del cattolicesimo nell'area latina –, non si confermi anche la presenza dei musulmani. E così nell'area anglofona, atlantica come dell'Oceania. E, ovviamente, nell'Europa germanica. Dove, in virtù dell'innesto sunnita e turco, è però forte la presenza delle confraternite sufi, fondamentali nel generare anticorpi all'ossessione modernista dei fondamentalisti.

La foto, allora. Uno muore e l'altro guadagna alla causa dell'Islam l'esatto contrario di ogni maligno e pio proposito. Le vignette blasfeme, infatti, che in pochi avevano visto – compresa quella abietta dove il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo della cristianità praticano il trenino sessuale dell'aggancio anale –, adesso arrivano in ogni angolo della terra. E l'Islam, la religione universale, viene gettato nel chiacchiericcio virale che diventa benzina nell'incendio cui si destina il mondo: la guerra civile globale. Ben più di uno scontro di civiltà. È il fotogramma, l'istantanea, di un'unica civiltà prossima alla catastrofe.