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La questione giustizia

di Francesco Mario Agnoli - 03/02/2015

Fonte: Arianna editrice


  

   I discorsi di alcuni  Procuratori generali (in particolare di quello di Torino, Marcello Maddalena) hanno riportato all'onore delle cronache lo scontro  governo-magistratura, con interventi in replica di Matteo Renzi, dell'Associazione nazionale  magistrati e del ministro della  giustizia.

    La questione, in quanto coinvolge il governo, sul quale grava il compito di provvedere  al bene e al benessere  del paese,  e gli operatori di un settore  fondamentale per questo bene e  questo benessere,  riguarda l'intera collettività, che, avendo tutto da perdere dal malfunzionamento della giustizia e  dalla messa in opera di riforme errate, ha un fondamentale interesse ad acquisire piena coscienza della materia del cotendere.

    Già nel corso del 2014 la polemica magistrati-governo  aveva conosciuto punte particolarmente accese a proposito della riduzione delle ferie annuali dei magistrati da 45 a 30 giorni e su questo punto si sono adesso nuovamente   incentrati,  l'intervento del P.G. di Torino (in prevalenza), e, in esclusiva, quello del presidente del Consiglio, che ha avuto anche la cattiva idea di mettere in ballo,  l'argomento,  del tutto inconferente (soprattutto per lui e il suo governo), dei magistrati uccisi  dalla criminalità organizzata. Ovviamente non si tratta che di un aspetto del problema, ben più vasto  e complesso, della crisi e della riforma della giustizia (difatti la riduzione delle ferie è stata giustificata da Renzi con la necessità di aumentare la produttività – in termini di sentenze – dei giudici italiani). A questi aspetti più generali hanno fatto riferimento l'A.N.M,  critica per le mancate riforme (ferie a parte) nonostante gli impegni solennemente assunti, e, in termini abbastanza vaghi, ma positivi per il governo,  il ministro della giustizia.

    Che la situazione  della giustizia in Italia fosse cattiva al momento dell'ingresso in carica del governo Renzi (e da molti  anni) e lo sia tuttora dopo un anno  di attività “riformatrice” (?) è un dato di fatto che nessuno nega. In una classifica mondiale stilata  dal Worl Economic  Forum l'Italia figura per questo aspetto  addirittura al 68° posto, dopo tutti i paesi   occidentali.

    Il dibattito verte sulle cause  e sui rimedi.

  Il governo, pur  affermando la necessità di ulteriori riforme, ha puntato tutto sulla scarsa produttività dei giudici italiani, supportato in questa tesi da gran parte dei mass-media, in particolare dalla stampa  di centro-destra, memore  degli attacchi rivolti alla magistratura da Silvio Berlusconi, che, in una esternazione del 4 settembre 2003, n mise addirittura in dubbio  l'equilibrio psichico dei suoi componenti  (“Questi giudici sono doppiamente matti! Per prima cosa, perché lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque. Per fare quel lavoro  devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana”).

     I magistrati  replicano  con i dati (gli ultimi noti sono del 2010 e si riferiscono al 2008) della Commissione  del Consiglio d'Europa per l'efficienza della giustizia  che, quanto a produttività,   fra quelli dei 46 paesi membri del Consiglio d'Europa (con riferimento quindi all'intera Europa e non alla sola Unione Europea) colloca i giudici italiani al primo posto  per la giustizia penale e al secondo (dopo i russi) per quella civile.

       E' vero che  i dati giudiziari  presentano difficoltà di comparazione, perché  le legislazioni e i sistemi giudiziari  sono spesso molto diversi (ad es. nessun serio paragone è possibile con l'Inghilterra o con la Russia), ma una comparazione significativa dell'Italia  si può  fare  con la Francia  e con la Spagna, paesi con  sistemi economici affini  e codici e organizzazione giudiziaria non troppo dissimili, e un numero di magistrati per 100.000 abitanti pressoché identico, 14,8 per Italia e Francia, 14,6 per la Spagna.

       Il raffronto fra questi tre paesi dimostra che tanto in civile quanto in penale (per questo settore l'indagine riguarda i processi definiti “gravi”) la grande differenza  è costituita dall'afflusso di  processi nuovi che sopravvengono nell'anno, e che  il numero particolarmente rilevante in Italia fa sì che i giudici italiani, pur essendo  in larga misura i più produttivi, non riescono a smaltire integralmente le sopravvenienze con conseguente aumento del famoso “arretrato”.

     Per  il civile le sopravvenienze sono state (anno 2008)  2.842.668 nuovi processi in Italia, 1.774.350 in Francia, 1.620.000 in Spagna, e le definizioni rispettivamente 2.693.564, 1.645.161, 1.324.577. In penale 1.280.282 in Italia, 610.674 in Francia, 345.707 in Spagna, e le definizioni nell'anno rispettivamente 1.204.982, 618.122 e 310.280.

    Ora è ben vero che le statistiche sono sempre suscettibili di  contestazioni, manipolazioni e  interpretazioni diverse, ma di fronte a dati simili una cosa è certa:  in Italia la crisi della giustizia e l'eventuale cattivo funzionamento del sistema giudiziario possono dipendere da tutto tranne  che dalla pigrizia e dalla scarsa produttività dei magistrati. Ciò nonostante l'unico intervento del governo Renzi in tema di giustizia è stata il demagogico (i 15 giorni in più dei trenta “di prassi” erano destinati  al deposito dei provvedimenti pendenti, prima dell'effettivo inizio del godimento del  periodo feriale) taglio  delle ferie. Per tutto il resto nulla, se non, con la tipica tecnica renziana,  chiacchiere e mirabolanti promesse. Anzi, mentre per le ferie  si è usata la decretazione d'urgenza che la Costituzione vuole riservata ai provvedimenti urgenti e indifferibili, si è lasciata tranquillamente decadere  la delega in materia di revisione delle sanzioni penali e pene alternative, contenuta nella famosa l. n. 67/14 (a sua volta costata  un iter parlamentare durato oltre due anni), che doveva rappresentare; uno dei caposaldi del “nuovo” diritto penale.

     A questo punto, o si crede  che i giudici francesi e spagnoli siano dei fannulloni, o si deve pensare  che  quelli italiani avessero già nel 2008 un sovraccarico di lavoro e che abbia perfettamente ragione il P.G.  di Torino a richiamare la “fattoria degli animali” immaginata da Orwell nel suo “1984”, nella quale il governo  dei maiali, più uguali degli altri animali, nella sua opera riformatrice aveva scoperto che la soluzione per tutti i problemi era lavorare di più, “fino a farli crepare dalla fatica, come il cavallo Gondrano, morto sul lavoro senza riconoscimenti pensionistici e senza neppure una dignitosa e onorata sepoltura”.

                                                                       

 

     Prima di prendere congedo, mi si consenta di dire che, in pensione da ormai sette anni, non ho interessi in causa e non corro il rischio di fare la fine di Gondrano per super-lavoro.  Forse un residuo di spirito corporativo? Può essere, che tuttavia non mi ha impedito di  criticare più di una volta  i giudici, come sa chi ha avuto occasione di legge i miei interventi in tema di giustizia su “Studi cattolici”.