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Ucraina, una bomba a orologeria

di Jean Geronimo - 10/02/2015

Fonte: Aurora sito


Dottore in Economia, docente presso l’Università Pierre Mendes France di Grenoble, ricercatore indipendente specializzato in questioni economiche e geostrategiche russe, Jean Geronimo è l’autore de Il pensiero strategico russo, ed è in procinto di pubblicare un nuovo libro sull’Ucraina. Propone un’analisi strutturale della crisi in Ucraina… lungi dai discorsi dominanti.11897La battaglia per l’Ucraina è una questione geopolitica importante per le due superpotenze della Guerra Fredda, nell’ambito del gioco strategico giocato sulla scacchiera eurasiatica agendo sugli Stati-perno nella regione quali pedine della partita. Il controllo dell’Ucraina, vista da entrambi i lati come Stato chiave in questa scacchiera, rientra nel perseguimento di due obiettivi, estendere le zone d’influenza ideologica e conquistare la leadership politica nell’Eurasia post-comunista. Associata alla capacità d’influenzare i principali attori della regione, la natura strategica dell’Ucraina sul piano politico (al centro di grandi alleanze) ed energetico (al centro della rete dei gasdotti) ne spiega il ruolo fondamentale nella linea anti-russa di Z. Brzezinski scelta dall’amministrazione Obama. La cooptazione dell’Ucraina, definita da E. Todd “periferia russa”, dovrebbe infatti spezzare la strategia della ricostruzione del potere eurasiatico adottata da Mosca dalla fine degli anni ’90. Questa ricostruzione del potere russo avviene recuperando il dominio regionale e verrà realizzata nel 2015 con la nascita dell’Unione economica eurasiatica. Alla fine, questa configurazione giustifica la terminologia di Brzezinski di “perno geopolitico” dell’Ucraina, all’origine del conflitto avviato con un vero e proprio colpo di Stato, secondo J. Sapir.

Un golpe nazional-liberale manipolato
In questo contesto, il golpe propedeutico per controllare la grande regione dell’ex-Unione Sovietica ha giustificato una strategia manipolativa basata su una disinformazione continua per compattare l’opinione pubblica internazionale e, soprattutto, sostenere un processo “rivoluzionario” ispirato al modello siriano, nella sua fase iniziale. L’obiettivo era far precipitare la caduta del presidente in carica Viktor Janukovich, fornendone una legittimazione confermata dall’assegno in bianco occidentale. In ciò, il colpo di Stato nazional-liberale, ufficialmente avvenuto il 22 febbraio 2014, rientra nella logica degli scenari “colorati” degli anni 2000 costruiti dall’occidente nello spazio post-sovietico con le sue proiezioni locali ed ONG “democratiche” basate sulle potenti reti politiche delle élite oligarchiche e dei principali oppositori al potere filo-russo di turno. Al momento, tali “manifestazioni” furono interpretate dal Cremlino come segnali di un’offensiva globale volta, infine, contro la Russia e le cui premesse, via interferenza occidentale, furono osservate nelle ultime elezioni russe (presidenziali) nel marzo 2012. Secondo una certezza inquietante e nonostante l’assenza di prove reali, l’ONG Golos, finanziata dagli USA (!) accusò Putin di “massicci brogli elettorali”. L’obiettivo di Golos era fomentare il malcontento nelle piazze per creare, in ultima analisi e invano, un’effervescenza “rivoluzionaria” per destabilizzare il nuovo “zar rosso”. Con una ridondanza mediatica, continua e manipolatrice, osservata poi durante Majdan. La visione “complottista” russa è meglio riassunta da H. Carrère d’Encausse nel suo libro del 2011 “La Russia tra due mondi”. Ricorda che per Putin c’è una “vasta operazione di destabilizzazione della Russia emergente in cui Stati e organizzazioni di tutti i tipi, dall’OSCE alle varie ONG straniere, averebbero unito le forze per indebolirlo“. Derivanti dalle tecnologie politiche occidentali volte a erodere l’influenza dell’ex-superpotenza sulla periferia post-sovietica, tali “rivoluzioni colorate” hanno dimostrato una straordinaria efficienza con l’eliminazione dei leader filo-russi in Georgia, Ucraina e Kirghizistan. Così si assistette alla nascita di una nuova ideologia implicita nella democrazia liberale, usata quale leva legale per interferire nella politica interna degli Stati presi di mira. Tale leva è considerata da Putin elemento essenziale del nuovo soft power occidentale per destabilizzare i regimi ‘nemici’ e, attraverso esso, potenziale minaccia al suo potere. Stranamente, come ricorda J. M. Chauvier, quella stessa democrazia ha ignorato il ruolo critico delle correnti estremiste nazionaliste, vicine al neo-nazismo, nel successo finale del processo “rivoluzionario” di Euromaidan, precipitato dai misteriosi cecchini. Catalizzato dall’odio ideologico anti-russo e anticomunista, tale risveglio in Ucraina del pensiero ultranazionalista d’ispirazione neo-nazista è parte di una tendenza generale in Europa, giustamente osservata da A. Grachev, ultimo portavoce e consigliere del presidente dell’Unione Sovietica Mikhail Gorbaciov. Nel suo libro del 2014 “La storia della Russia è imprevedibile”, Grachev dice “l’aumento della popolarità del nazionalismo di estrema destra e neo-fascista (…) dimostra i limiti e, in ultima analisi, il fallimento del nostro sistema democratico: E’ sempre più chiaro che il meccanismo ben oliato della democrazia (…) comincia a bloccarsi“. Una constatazione amara alla base, già, della Perestrojka di Gorbaciov, che mette in discussione la vera natura della “rivoluzione” di Kiev.

Le nuove minacce rivoluzionarie “colorate”
In questo contesto geopolitico sensibile, le “rivoluzioni colorate” sono considerate le principali minacce alla stabilità dei presunti Stati democratici dell’area post-sovietica, in particolare della Russia di Putin strutturalmente presa di mira e che teme una “sceneggiatura ucraina”. L’universalizzazione della democrazia nel mondo con il soft power, o la forza se necessario, sembra essere oggi un “interesse nazionale” degli Stati Uniti e della loro funzione di regolamentazione prioritaria da unica superpotenza legittimata dalla storia. Tale postulato scientificamente (molto) dubbio fu proclamato nel 2000, con euforia condiscendente, dall’ex-segretaria di Stato di George W. Bush Condoleezza Rice, convinta della funzione messianica del suo Paese: “è compito degli USA cambiare il mondo. La costruzione di Stati democratici è ormai componente importante dei nostri interessi nazionali”, una forma di autolegittimazione neo-imperiale in nome, ovviamente, degli ideali democratici, costituendo un’ideologia globalizzatrice espansionista. Preoccupante. Di fronte tali nuove minacce “colorate” gli Stati membri delle strutture politico-militari del Collective Security Treaty Organization (CSTO) e dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) hanno deciso, su impulso della Russia, di coordinarsi per definire una comune strategia di prevenzione. L’obiettivo dichiarato è accomunare regionalmente i vari mezzi per neutralizzare tale nuova arma politica, ora privilegiata dall’occidente, e che si affida sempre più ai colpi di Stato astutamente costruiti. In altre parole, si tratta di aprire un fronte comune eurasiatico contro le future “rivoluzioni” nazional-liberali. Innegabilmente, l’imbroglio ucraino ha promosso tale consapevolezza politica e, quindi, giustifica la guida sicura della Russia nel suo campo prioritario, la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), accelerandone l’integrazione regionale. Per Washington è un effetto perverso non programmato, un errore strategico. Tuttavia, alcuni effetti post-rivoluzionari sono disastrosi per la Russia. Un primo effetto geopolitico della “rivoluzione” di Kiev è l’estensione della sfera euro-atlantica nell’ex-URSS, perpetuando di fatto il declino russo nel suo estero vicino, considerato dalla sua dottrina strategica quale minaccia agli interessi nazionali. Un secondo effetto, più psicologico, di tale curiosa “rivoluzione” è alimentare la paura russa della progressione irresponsabile delle infrastrutture di una NATO super-armata nei pressi dei suoi confini che, in ultima analisi, solleva la questione politicamente delicata dello scudo antimissile statunitense. A causa di tale rapido aumento delle minacce, si assiste in Russia al ritorno della “sindrome da fortezza assediata” resuscitata dall’abisso ideologico della guerra fredda. Per la Russia, costretta a rispondere, la crisi ucraina lascerà un segno indelebile nella memoria strategica. e non solo, e nella sua visione dell’occidente. Da questo punto di vista, Majdan segna una rottura geopolitica radicale.

La reazione difensiva russa tramite l’asse eurasiatico
Diffusa dalla propaganda mediatica sulla “minaccia russa” e illustrata da crescenti sanzioni, la strategia anti-russa dell’asse euro-atlantico accelera il mutamento asiatico nella politica russa e favorisce l’ascesa dell’asse eurasiatico sotto la direzione sino-russa, a nuovo contrappeso geopolitico all’egemonia statunitense. Nel lungo termine, tale ostilità occidentale incoraggerà il governo russo a potenziare il proprio sviluppo, riflesso sovietico, riducendone la dipendenza estera. Nel prisma sovietico-russo, tale dipendenza è vista come debolezza politica, in quanto i potenziali avversari possono usarla come opportunità strategica: rafforzando la pressione su Mosca, isolandola sul piano commerciale attraverso un embargo selettivo su tecnologie sensibili. L’obiettivo finale dell’embargo è rallentare lo sviluppo della Russia e, attraverso ciò, il rafforzamento della potenza militare, come ai bei vecchi tempi della lotta anticomunista. Tale modello negativo è aggravato dalla caduta del rublo con consecutivo triplice impatto di sanzioni, fuga di capitali e crollo dei prezzi del petrolio manipolato da Washington, con l’obiettivo di destabilizzare Putin fomentando una recessione economica che alimenti la protesta popolare, potenzialmente “rivoluzionaria”. Tutti i colpi sono ammessi sulla Grande Scacchiera. Nella percezione strategica russa e, nella misura in cui Mosca viene stigmatizzata come “nemica dell’occidente” erede dell’asse del male, la crisi ucraina mostra ancora uno spirito da guerra fredda. In realtà, tale guerra latente continua, nonostante la breve luna di miele USA-Russia osservata dopo la tragedia dell’11 settembre 2001. Dopo la mano tesa di Putin a Bush e la disponibilità a collaborare nella lotta al terrorismo. L’atteggiamento minaccioso e provocatorio dell’occidente nella gestione di tale crisi, è divenuta rapidamente una diatriba anti-Putin, portando alla rinascita politica della NATO, legittimandone l’estensione e infine costringendo Mosca a cambiare linea strategica. Sottoprodotto geopolitico di Euromajdan.

Dopo la provocazione della NATO, il reindirizzo dottrinale russo
Con la voce del capo della diplomazia Sergej Lavrov, la Russia ha reagito con forza e condannato tale errore increscioso, il 27 settembre 2014: “Considero un errore l’allargamento dell’alleanza. Ed è anche una sfida (…)“. Pertanto, reagendo a tali “nuove minacce”, l’amministrazione russa ha programmato un radicale inasprimento della propria dottrina militare in senso più antioccidentale, in ciò che Mosca ha chiamato “risposta giusta”. Per attuare tale reindirizzo dottrinale, “(…) La Russia ha bisogno di potenti forze armate in grado di affrontare le sfide di oggi“, e un incremento assai significativo (un terzo) delle spese militari russe è in programma nel 2015, secondo la finanziaria. De facto, l’idea di un riequilibrio geo-strategico si gioca nel cuore del conflitto ucraino e, per estensione, nel cuore dell’Eurasia post-comunista. Con risultato finale, l’emergere di un conflitto congelato potenzialmente destabilizzante per la regione. Alla fine, nel quadro della crisi in Ucraina e nonostante gli accordi di Minsk del 5 settembre, l’esacerbazione della contrapposizione Stati Uniti e Russia alimenta una rinnovata forma di guerra fredda, la guerra tiepida incentrata sulla rinascita della polarizzazione ideologica. Oramai ciò nutre il contagio globale delle “rivoluzioni” nazional-liberali eterodirette dalla coscienza democratica indottrinata degli USA, per conto della loro legittimità storica radicata nella vittoria finale sul comunismo. Nel suo discorso annuale, molto aggressivo, del 4 dicembre 2014, al parlamento russo, Putin ha denunciato tale pericolosa deriva la cui conseguenza inquietante è l’accelerazione della nascita dell’ideologia neonazista nello spazio post-sovietico, anche in Ucraina. Il 29 gennaio 2015, Mikhail Gorbaciov ha riconosciuto che l’irresponsabilità della strategia degli Stati Uniti ha portato la Russia nella “nuova guerra fredda”. Confessione terribile. Le implicazioni strategiche della falsa rivoluzione di Majdan sono una vera bomba geopolitica a scoppio ritardato.

1782111Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

“Il Donbas è perso, non avete esercito, né avrete armi!”

Nessuno nella storia ha mai vinto una guerra con la Russia ai suoi confini, secondo un esperto militare statunitense
Tatiana Kozak, Novoe Vremja, 8 febbraio 2015 – Fort Russukraine-tank-004Perché l’Ucraina non può vincere la guerra con la Russia e perché gli USA non forniranno agli ucraini armi, ha spiegato l’esperto militare dell’Accademia di Politica Pubblica presso l’Istituto Kennan, Michael Kofman.


I resti dell’esercito ucraino nella sacca di Debaltsevo

Nella sua ultima dichiarazione, Obama s’è detto contrario ad inviare armi in Ucraina. Perché l’ha deciso dato che il parere di alcuni suoi prossimi è contrario?
Dovete capire, ci sono diversi problemi. In primo luogo, la cerchia presidenziale non cerca di convincerlo. La cosa più importante, è che il nostro Consiglio di sicurezza nazionale, guidato da Susan Rice, ritiene che tale approccio in Ucraina non sia ragionevole e non risolverà i problemi. Il secondo problema è che a capo della politica europea verso l’Ucraina, e in generale della resistenza europea alle azioni della Russia, è la Germania. E in Germania, a Berlino, sono d’accordo (che le armi non risolveranno il problema ucraino).

Sì, questo è stato recentemente dichiarato da Frank-Walter Steinmeier, ministro degli Esteri della Germania.
Se gli Stati Uniti cambiano decisione, metterebbero la Germania in una posizione scomoda, dovendo anche cambiare idea. Ma dobbiamo seguire la stessa politica ucraina con l’Europa. E’ chiaro che qualsiasi armamento oggi non cambierà la situazione in Ucraina, nelle ostilità con la milizia e la Russia.

Perché? Avremmo potuto utilizzare i droni.
Anche se si decidesse oggi, quelle armi non compariranno sul fronte domani. Ci vuole tempo. Cioè, non cambieranno la situazione attuale. La cosa principale è sperare per il futuro. Molti credono che tutti i problemi siano nell’esercito ucraino. L’esercito ucraino è inadatto al combattimento, non si coordina con i battaglioni di volontari che non combattono come forza unificata. Ha molti problemi strutturali, che le armi non risolveranno anche se mandassimo i nostri migliori carri armati, mettendoci lanciamissili e lanciagranate sopra. Gli Stati Uniti hanno una buona esperienza in questo (nelle forniture di armi). L’abbiamo fatto in Iraq, ed è fallito. Abbiamo inviato armi anticarro ai ribelli in Siria, non hanno cambiato il loro destino. Si prolunga la guerra, ma (i ribelli) vengono ancora distrutti dall’esercito siriano. L’obiettivo degli Stati Uniti è trovare una via d’uscita politica dal conflitto in modo da poter effettivamente impegnarsi in Ucraina. Tale conflitto distrugge progressivamente le possibilità dell’Ucraina di diventare un nuovo Paese, di riformasi e continuare sulla via europea. Più importante per Stati Uniti e Germania non è impegnarsi nella guerra con la Russia. La guerra con la Russia, ai suoi confini, è quasi impossibile vincerla. E’ assurda. Nessuno nella storia ha mai vinto una guerra con la Russia ai suoi confini. Il piano d’inviare semplicemente armi in Ucraina e vedere, può darsi dia qualche risultato, ma non funziona. Non vi è alcuna strategia.

Come si spiegano allora tutte le dichiarazioni dei senatori repubblicani che sostengono che le armi vengono inviate in Ucraina?
Sono senatori e possono parlare. Ma fare qualcosa non è loro compito. Non hanno responsabilità sull’esito delle loro raccomandazioni. Il presidente ne è responsabile. Se manda armi in Ucraina, la Russia cambierà tattica con un approccio peggiore per tutti noi. I russi hanno molti modi per combattere e possono facilmente rispondere. Ad esempio, vi invieremo missili anticarro che distruggeranno dei carri armati russi, allora cambierà tutto? Naturalmente, i russi non sono stupidi, non perderanno i carri armati così. E’ chiaro che cambieranno le loro tattiche. E’ facile scriverlo su carta, ma tutti noi lo sappiamo perché abbiamo varie esperienze in combattimento.

John McCain sostiene attivamente l’invio di armi.
John McCain… Sapete, la sua politica è inviare armi a tutti e sempre. Noi ci scherziamo. Non ha mai avuto un problema che non volesse bombardare. In vita sua non ha voluto che bombardare l’Iraq, la Siria, la Libia, la Georgia tra l’altro, e ora l’Ucraina. Ha una risposta a tutti i problemi. Se John McCain fosse stato presidente, avremmo avuto più di quattro guerre. Sì, ora vi è un’enorme pressione politica sul presidente e, tra l’altro, non dai repubblicani. La maggior parte di coloro che hanno scritto il rapporto (sulla fornitura di armi all’Ucraina) sono ex-personale di Hillary Clinton molto influente nell’amministrazione. Cioè, tale attacco è voluto principalmente dal partito democratico, non da quello repubblicano.

Così tutte queste dichiarazioni devono essere considerate piuttosto nel contesto delle prossime elezioni? Sono più legate alla politica interna degli Stati Uniti?
Sì, certo, dato che il rapporto è stato firmato dalla persona più importante della campagna. Michelle Flournoy che, molto probabilmente, parteciperà alla campagna elettorale di Hillary Clinton. Noi tutti ci aspettiamo che se Hillary Clinton diventa presidente, tra due anni, Michelle Flournoy probabilmente sarà la prima donna a diventare segretario della Difesa. Sono sfumature della nostra politica interna. Lei è una delle otto persone che hanno firmato la relazione, partecipando alla stesura. L’idea principale della relazione è spingere seriamente il presidente a cambiare politica. Penso che tale approccio sia sbagliato in Ucraina. Inviare armi non cambierà nulla, tranne che estendere la guerra.

Quale opzione sarebbe la migliore per l’Ucraina?
L’obiettivo principale è raggiungere un cessate il fuoco, la tregua e portare il conflitto sul piano politico. Sull’Ucraina, gli Stati Uniti devono avere una strategia a lungo termine per costruire l’esercito. L’Ucraina non ha bisogno di armi, ha bisogno di un esercito. Le armi senza esercito non funzionano. L’Ucraina deve creare una vera e propria partnership strategica con gli Stati Uniti. In tale struttura collaborare e cooperare per risolvere i problemi fondamentali dell’Ucraina. Con riforme economiche, democratiche e politiche, creando un esercito efficiente, l’Ucraina potrà autofinanziarsi. Ma non se invieremo 1 miliardo di dollari all’anno per l’esercito ucraino. L’intero budget dell’esercito ucraino ora è di 2 miliardi. Cioè, le forze armate in Ucraina per tre anni saranno per il 50% pagate dagli Stati Uniti, ma non continueremo all’infinito. Cioè, il vostro esercito dipenderà da noi finanziariamente. Il nostro obiettivo è creare un esercito che l’Ucraina potrà mantenere, altrimenti non ha senso.

Sono questi i programmi di cooperazione allo studio? Aiuti dagli USA per formare la nostra polizia futura. E l’esercito?
Abbiamo iniziato un piano di formazione molto modesto con quattro compagnie ucraine vicino la Polonia. Vi aiutiamo ad addestrare le vostre forze armate. Ad oggi non esiste un approccio strategico globale. Ognuno fa quel che può. Vi addestriamo, i lituani addestrano gli ucraini, i polacchi inviano anche armi ed addestramento. La Gran Bretagna invia blindati. I canadesi uniformi, noi giubbotti antiproiettile. È una situazione temporanea, in quanto urgente. Non esiste un approccio strategico. E, soprattutto, non ci sono risorse finanziarie per aiutare l’Ucraina, è questo il problema principale. La gente dice cerchiamo d’inviare armi. Ma non vogliono finanziare la riforma in Ucraina.

Se è così, ci sarà una cooperazione con l’Ucraina? O no?
Penso che l’Ucraina sarà sempre supportata. Ma ora la questione non è aiutarla o meno. La domanda è come aiutare efficacemente, cosa funziona e cosa no. Questa è la discussione a Washington.

In Ucraina, molti sono convinti che l’Ucraina abbia bisogno di armi statunitensi, perché senza non possiamo raggiungere il cessate il fuoco.
Non è possibile ottenere un cessate il fuoco con le forze armate. Semplicemente non ci sono.

Quando otterremo qualcosa? Le sanzioni contro la Russia non sono particolarmente aumentate. Comincia ad attaccare maggiormente. Così ognuno vede la soluzione nella resistenza armata.
Vedete, queste sono le illusioni del governo ucraino. Il vero problema in Ucraina è che nessuno, né Poroshenko né Jatsenjuk, vuole firmare un vero e proprio accordo di compromesso con la Russia. Non vogliono capire ciò che è successo e dare uno status politico alla milizia. Hanno molto paura del popolo, di una terza Majdan.

Infatti, la probabilità di una terza Majdan esiste.
Il fatto è che all’occidente in Ucraina non è consentito prendere serie decisioni responsabili, in tale ambiente. Solo continua a dire di “sì” all’Ucraina. Perciò, gli ucraini continuano a vivere nell’illusione che i loro combattenti possano resistere a uno dei più grandi eserciti del mondo. Questo non è possibile. I miei colleghi in Russia, assieme allo Stato Maggiore, sono ben consapevoli del fatto che in qualsiasi giorno, se la Russia volesse, distruggerebbe completamente tutte le forze armate ucraine in 72 ore. Hanno tali piani.

Ne siamo consapevoli.
Ciò non accadrà, perché la Russia non lo vuole. Ma la gente deve capire che il problema non sono i missili anticarro. Se vi invieremo missili anticarro, allora la Russia invierà qualcos’altro, aerei, artiglieria, e semplicemente spazzerà la regione dalla faccia della terra.

Dobbiamo riconoscere che questi territori non sono ucraini, dobbiamo abbandonarli?
Che ha ottenuto il conflitto? Questi territori sono persi. L’unico risultato che vedevo, lo scorso anno, è che l’Ucraina ha perso territorio e soldati. E non ci sono miglioramenti. Le sanzioni non hanno cambiato la politica di Mosca. Perché attaccano? Perché gli accordi di Minsk non hanno dato niente alla Russia. La Russia ritiene di aver fatto un grave errore quando ha firmato l’accordo di Minsk. L’Ucraina non aveva alcun interesse sincero ad osservare il protocollo di Minsk. Inoltre tutti sanno che oltre al protocollo, tra Kiev e Mosca, c’era il secondo protocollo firmato il 19 settembre, con una mappa sul controllo tra FAU e milizie. Secondo la mappa, l’Ucraina doveva cedere l’aeroporto di Donetsk e altre aree a cui l’Ucraina non avrebbe mai rinunciato. E’ tutto ben noto. L’Ucraina non aveva alcuna intenzione di rinunciare, nonostante avesse firmato l’accordo. Nessuno vuole un vero e proprio compromesso in Ucraina.

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I fascisti ucraini usano le ambulanze per trasportare armi

07b73354e46183415e3cce5620baeea6Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora