Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La salvezza dell’Europa è nella riscoperta dell’archetipo imperiale

La salvezza dell’Europa è nella riscoperta dell’archetipo imperiale

di Gian Luca Diamanti - 07/07/2015

Fonte: Barbadillo


regalia-viennaChi è in grado di riconoscere e controllare gli archetipi, manovra anche la politica. Lo scriveva Elémire Zolla.
Oggi, più prosaicamente, diremmo che gli archetipi sono le suggestioni che un politico riesce a comunicare al popolo.

Alexis Tsipras in questi giorni si rivolge abilmente al popolo greco e a quello europeo evocando gli archetipi più profondi del suo inconscio collettivo. Prima di tutto quello della democrazia, che non a caso è nata sulle sponde dell’Egeo. Poi quello della tradizione e infine, quello della sovranità. Immagini archetipiche: Davide contro Golia, o meglio Sparta contro i Persiani. E lascia così intravedere un’auspicabile, ma improbabile, rivincita della politica sull’economia. Una furbata? Un mero calcolo? Un modo elegante per nascondere la sconfitta?

La verità la sapremo nei prossimi giorni. Intanto però una cosa Tsipras non ce la dice. Che Europa potremmo costruire se dovessimo mettere in soffitta quella di Juncker, della Bce, di Renzi e della Merkel?

A chi giovano gli appelli sovranisti da leghismo nostrano o da socialismo patriottico? Se non vogliamo l’Europa dei banchieri e dell’Euro, ce n’è un’altra di Europa alla quale possiamo aspirare?

La sola alternativa è quella tra stati nazionali e l’UE? È lecito pensare di continuare a smembrare l’Europa tra due blocchi, tra Nato e Putin? Ha un futuro, comunque vada il referendum greco, l’Europa di Bruxelles?

Diversi anni fa, nel ’95, Alain de Benoist  pubblicò un interessante saggio dal titolo “L’impero interiore”, in cui parlava d’Europa in maniera poco consueta.

Analizzando la storia del nostro continente, De Benoist notava che “l’impero è l’unico modello alternativo che l’Europa abbia prodotto di fronte allo stato nazionale”.

Ecco, l’impero. Non è una parola che va molto di moda e il nome “impero” è oggi pronunciato con diffidenza, in un’accezione prevalentemente negativa.
Eppure – insiste de Benoist – a pensarci bene l’idea stessa dell’attuale processo di costruzione europea “è più debitrice al modello di impero che a quello di stato nazione”. “Il riconoscimento della molteplicità delle fonti del diritto, l’affermazione del principio di sussidiarietà, la distinzione tra nazionalità e cittadinanza, l’iscrizione degli spazi nazionali in uno spazio giuridico che li trascende”, sono tutti elementi ripresi dalla grande elaborazione del concetto d’impero, distillata nel nostro continente da Roma all’Ottocento.

“L’impero non è un territorio, ma un’idea, o un principio, un’autorità superiore che serve da legame tra i popoli”, scrive De Benoist nel suo saggio facendo riferimento anche a Julius Evola che, dal canto suo, specificava: “L’idea, solo l’idea deve essere la vera patria: non l’essere di una stessa terra, di una stessa lingua, o di uno stesso sangue”. Nientedimeno.

E non farebbe piacere a frau Merkel leggere un altro passo di de Benoist laddove lo studioso francese sottolinea come: “L’impero non può trasformarsi in una grande nazione senza decadere, per il semplice fatto che in base al principio che lo anima, nessuna nazione può assumere o esercitare una funzione direttiva se non s’innalza al di sopra dei suoi interessi particolari”. “Senza un muori e divieni nessuna nazione può aspirare ad una missione imperiale effettiva e legittima”. Vaglielo a dire alla Merkel, magari ad un vertice del Consiglio europeo!

Ma ecco l’essenziale: “L’impero può esistere solo se animato da un empito spirituale. Senza di ciò non si avrà che una creatura di violenza, l’imperialismo”. “Serve dunque un elemento superpolitico, supernazionalistico, spirituale. L’impero è sacro e l’l’unità dell’impero non è unità meccanica, ma unità composta, organica, che va al di là degli Stati. L’idea dell’Impero si ricollega ad un ordine equo che mira a federare i popoli sulla base di un’organizzazione politica concreta, al di fuori di qualsiasi prospettiva di conversione e di livellamento”.

A questo punto sorge spontanea la domanda da un milione di dollari, anzi di euro. Cosa manca all’Europa di oggi per cercare un’unità vera e profonda e perfino “imperiale” nell’accezione formulata qui sopra?

Risponde, disarmante, de Benoist: “Manca l’essenziale: la sovranità politica, l’applicazione reale del principio di sussidiarietà e la presenza di un principio spirituale forte”.

Difficile pensare che Draghi e Juncker, con l’aiuto di Renzi, magari, possano darsi questi obiettivi, specie l’ultimo. Eppure, tertium non datur. L’Europa o rinasce dalle sue ceneri e dai suoi archetipi, oppure non è.

L’impero è solo un’idea che può chiamarsi in tanti altri modi nella modernità (de Benoist parla di impero democratico, in un’Europa federale fatta di popoli e non di nazioni). Ma in fondo, a pensarci bene, anche gli Stati Uniti sono un impero, perché si reggono su un’idea (giusta o sbagliata), impersonificata da simboli.

 Interroghiamoci allora su questo, quali sono le idee sulle quali si regge oggi l’Europa, quali archetipi evocano? In sostanza qual è l’identità comune delle tante comunità, dei tanti popoli che formano questo continente così diverso e  che della diversità, della diversificazione ha fatto per tanti secoli la sua forza?
Per mille strade, per mille ponti cammineremo verso il futuro, diceva Federico Nietzsche. L’unità nella diversità non può essere data da una moneta, è chiaro. Ma deve essere trovata nelle profondità del nostro animo europeo.

Magari per raggiungere questo obiettivo al vecchio continente servirebbe una seduta psicoanalitica. O piuttosto, per cominciare, basterebbe un bello choc. Un grande OXI, un no alle catene, per essere liberi di ripartire.