Ho riposto la mia causa nel nulla

Max Stirner


Johann Kaspar Schmidt, detto Max Stirner, (dal tedesco “stirn” = “fronte alta”, ovvero: il soprannome che gli affibbiarono da bambino), nacque Bayreuth il 25 ottobre 1806 e morì a Berlino il 26 giugno 1856. Quest’anno, pertanto, ricorre in contemporanea il duecentesimo anniversario della nascita e il centocinquantesimo della morte. Mi sembrava opportuno ricordarlo... Come mi sembra il caso ricordare che Stirner per il suo contributo al pensiero dell’occidente non riscosse in vita né fama, né soldi: morì praticamente in miseria dopo essere finito due volte in prigione per debiti...

Stirner, appartiene a quella schiatta di scrittori-filosofi che sono passati alla storia del pensiero per aver scritto un solo libro (tipo: Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, per esempio...). Nel suo caso (di Stirner) il libro ha il titolo appropriato di: Der Einzige und sein Eigentum (L'Unico e la sua proprietà, pubblicato a Lipsia nel 1844. Un libro con il quale furono chiamati a fare i conti, per un verso o per l’altro, riconoscendone o meno il debito di origine, le teste più pensanti fra la seconda metà dell’800 e il ‘900 tutto: da Marx-Engels a Søren Kierkegaard, da Friedrich Nietzsche a Carl Schmitt, fino ai Situazionisti.

“Ho riposto la mia causa nel nulla”. Con questa frase lapidaria, proprio in chiusura de “L’Unico e la sua proprietà”, Max Stirner segna l’orizzonte di un esistenzialismo che tronca, definitivamente, ogni legame fra l’uomo e il trascendente. Almeno, con il trascendente religiosamente inteso. “L’unico”, infatti, è il principio d’individualità che non chiede più ad un orizzonte metafisico di indicargli il senso della sua esistenza. Il senso è rimesso all’uomo stesso: al suo essere, appunto, per il nulla.

Nichilismo, quindi.

Ora, su questo termine, “nichilismo”, la confusione resta molto alta. Come capita spesso, un giudizio dipende dal punto di vista culturale di chi lo esprime. Per esempio, per un buddhista il “nulla” è l’estinzione di ogni brama, propedeutico, perciò, al raggiungimento del Nirvana ed ha, quindi, una connotazione “positiva”. I pessimi critici di Stirner, Nietzsche e Dostoevskji, ai quali una storia frettolosa del pensiero occidentale fa risalire in maniera erronea il “nichilismo”, danno al “nulla” (quindi, al nichilismo...), il segno di una deriva psico-etico individuale e, in quanto tale: negativa.

A mio modesto avviso, invece, credo che la “negatività” del nichilismo sia data da chi, da Platone in poi, ha inteso deporre in un al di là del tutto ipotetico ed indimostrabile, la ragione dell’essere, assegnando all’al di qua il carattere di una mera rappresentazione illusoria, per altro falsa, colpevole e dolorosa, di quel “mondo vero” che va dall’iperuranio delle “idee platoniche”, al “regno dei cieli” cristiano.

Se il vero mondo non è questo, questo diventa necessariamente un luogo virtuale di preparazione e di ascesi (se non di espiazione...) per altro e più alto ed eccelso stato dell’essere. Riporre la propria causa nel nulla, in quel nulla con cui la logica platonico-cristiana pretende di definire l’esistenza, è, nell’ottica stirneriana, un ribaltamento per nulla provocatorio di questa logica: non nell’al di là ma sull’al di qua che l’io fa la sua scommessa. E se l’al di qua è il nulla - come voi pretendete che sia - è sul nulla che io ripongo la mia fede nella vita, piuttosto che nella morte (o nel suo post...).

Ci vuole poco a sentire nelle pagine iniziali dello Zarathustra nicciano gli echi di questo virile discorso interamente umano:
“Amo colui che non si perde dietro le stelle, ma lavora la terra per prepararla all’arrivo dell’oltreuomo”.

Rinunciato che ebbe alle bretelle della metafisica celeste, Stirner non ebbe riserve a rinunciare anche a quelle stampelle che sono gli “ismi” terreni: egualitarismo, liberalismo, statalismo, socialismo, comunismo, umanesimo, etc... Se su un “ismo” l’uomo deve proprio fondare il senso della sua esistenza è se stesso: un “io” che rinuncia a cullarsi nelle illusioni delle ideologie. Un “ego-ismo”, quindi, di sana imperturbabilità nei confronti dei mutevoli flussi delle ere psico-cosmiche.

“Anarchia Univa Via”, sembra enunciare bene l’approdo di una tale deriva (che non è un naufragio). Il che, per esempio, impegnò a fondo Marx nella confutazione di un messaggio che negava, alla radice, il suo (di Marx) sostenuto. Un’impresa improba e per molti versi abortita nell’impropero: “Stirner è un miserabile” che, però, non sortì l’effetto di eliminare il fascino del suo richiamo da generazioni di anarco-socialisti, anarchici-individualisti e perfino di chi anarchico non fu: come tal Mussolini Benito, per esempio (il quale - detto per inciso - forse per questo suo debito formativo, non impedì mai, da duce, la pubblicazione e la circolazione in Italia dell’opus “Unico” stirneriano...).

Del resto, debiti stirneriani hanno contratto perfino autori ascrivibili totalmente e nobilmente alla cultura di destra. Come Ernst Jünger che, in Der Waldgang (Il ribelle) e Eumeswil (Heliopolis), traccia il profilo dell’anarca a cui non è assolutamente estranea la paternità dell’Unico. O come lo Evola del periodo filosofico di Teoria e Fenomenologia dell’individuo assoluto...

Può sorgere il dubbio se una opzione così estrema di rimessa a se stesso non conduca ad una apolitia assoluta, ad una assoluta rinuncia ad intervenire nel mondo inteso come storia. Ma questo è solo un altro dei molti fraintendimenti per cui il nichilismo non gode di buona fama. Il nichilismo è, in concreto, un atteggiamento interno all’uomo, che non esiterei a definire finanche “spirituale” se, anche in questo caso, non temessi gli equivoci che intorno allo “spirito” sono sorti da millenni di abuso religioso. Insomma, in termini appropriati, se si vuole parlare di nichilismo a ragion veduta è del tutto inadeguato pensarlo come regressione verso il degenerato, l’in-forme o il de-forme...

In realtà, “essere per il nulla”, anziché essere, che so? per la carriera, per dio, per il denaro, per il potere, per il successo, per la piccola o grande fama, culle di ogni narcisismo onanistico, consente all’uomo una libertà interiore che non gli impedisce di immergersi nella storia e nelle vicende del proprio tempo.

In questo, può soccorrerci il detto di un poeta che di nichilismo si intendeva: tale Gottfried Benn. È lui che, nella sua opera autobiografica dal significativo titolo di Doppelleben (Doppia Vita), così si pre-scriveva nelle sue medesime parole:

“Riconosci la situazione e rapportati ad esse. Ma senza farti coinvolgere. Collabora pure alle convinzioni del mondo, alle sintesi in tutte le direzioni della rosa dei venti se istituti ed uffici lo richiedono. L’importante è che tu tenga libera la testa in cui deve sempre esserci spazio libero per l’immaginazione. Qui il reale si concentra, si modella e sorgono le forme...”.