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Il computer diventa poliziotto

di Anna Masera - 06/09/2006

 
UN SOFTWARE COLLEGATO ALLE TELECAMERE IN AEROPORTI E LUOGHI PUBBLICI



Si chiama Safe (Smart Applications For Emergencies). Vuol dire «salvi», «sicuri». L’obiettivo è lodevole: salvare vite umane e minimizzare l’impatto economico di disastri causati dalla natura o dall’uomo. Il problema è che questo compito - tanto intelligente quanto delicato - è affidato alle macchine: nella migliore delle ipotesi puzza di Grande Fratello, nella peggiore ricorda tanto la fine che fece il megacomputer Hal di «2001, Odissea nello Spazio». E’ un programma informatico che si basa su algoritmi messo a punto dagli scienziati in Australia. «Puntiamo a migliorare la prevenzione» spiega Chris Scott, direttore della ricerca al National Ict Australia (www.nicta.com.au). «Ci sono già tecnologie che segnalano quando, ad esempio, un bagaglio viene abbandonato in un luogo pubblico, ma noi stiamo lavorando su algoritmi capaci non solo di individuare persone basandosi sul riconoscimento del volto, ma anche di analizzare il livello della minaccia in base al comportamento, per raccogliere informazioni preliminari capaci di indicare se sta accadendo qualcosa di inusuale. Questo aumenterebbe la possibilità di individuare una minaccia reale».

I sistemi di videosorveglianza avanzati attirano grande attenzione dall’11 settembre e ci lavora tutt’oggi l’agenzia per i progetti di ricerca avanzata della Difesa Usa (www.darpa.mil). Sono stati usati con efficacia per rintracciare i movimenti dei terroristi responsabili degli attacchi alla metropolitana di Londra nel luglio 2005. Ma anche per allarmi diversi come lo tsunami, o l’influenza aviaria. Per esempio all'aeroporto di Hong Kong rilevano la presenza di passeggeri con la febbre alta. I più sofisticati in questo tipo di sperimentazione, dicono gli esperti, sono gli israeliani, che usano un mix di tecnologia e psicologia: è una loro «ricetta» segreta, ma basta prendere un aereo della El Al e sbarcare a Tel Aviv per averne la prova. Difficile passare al setaccio indenni. Secondo gli scienziati del laboratorio del governo australiano, la sfida oggi è sviluppare sistemi che possono prevenire gli attacchi, anzichè solo registrarli, cogliendo comportamenti sospetti e trasmettendoli alle forze dell'ordine. Ma si tratta solo di probabilità, ammettono, non c’è alcuna certezza. Finanziato da un fondo di 380 mila euro garantito da Canberra, riportano notiziari specializzati su Internet, il progetto Safe sviluppa e testa le tecnologie che dovranno assistere le forze dell’ordine nel monitoraggio: per esempio scannerizzando le riprese delle videocamere di sorveglianza piazzate nei luoghi pubblici di trasporto. L’obiettivo è dare strumenti rapidi ed efficaci per identificare singoli individui o attività sospette. Ma cos’è un’attività sospetta? Per esempio correre in un ambiente dove tutti camminano: si chiama «pattern matching». O surriscaldarsi mentre si è in coda. Il computer scannerizza la faccia col laser e usa un software di riconoscimento vocale per rilevare fattori biologici che indicano rabbia o frustrazione: misura il battito cardiaco, la pressione sanguigna e la temperatura della pelle.

Che sia possibile individuare chi si comporta in modo «sospetto» anche tra la folla spaventa. Fino ad oggi, non era illecito comportarsi in maniera anomala. E poi il problema sono i falsi allarmi. O meglio: i falsi positivi e i falsi negativi. Gente che agisce in modo sospetto per vedere l’effetto che fa, causando solo perdite di tempo. O viceversa, gente attrezzata che sa come by-passare questi sistemi. Per non avere i falsi negativi si corre il rischio di avere falsi positivi. Ma a furia di gridare «al lupo», gli algoritmi verranno mandati a farsi benedire. Per identificare comportamenti sospetti aiuta forse di più la presenza di poliziotti svegli: la Cnn ha riportato che ieri - guarda caso sempre in Australia - un agente ha fermato un fuggitivo in auto perché ha notato che, oltre alla targa falsificata, la sua carotide era esageratamente gonfia e pulsava. Un chiaro segnale di colpevolezza.