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Libia, Siria, Iraq: intervento militare o no?

di Aldo Giannuli - 22/09/2015

Fonte: Aldo Giannuli


La situazione in Libia ed in Siria ed Iraq ormai sta andando in metastasi: non solo la guerra c’è, e con essa il dramma dei profughi, ma minaccia di estendersi in un gigantesco braciere che riassorba Turchia, Israele, Egitto, Giordania, mescolando terrorismi, guerre civili, guerre tradizionali, crisi sociali, collassi di stati ecc. Insomma, è ora di fare qualcosa, prima che sia troppo tardi.

Mettiamo da parte le banalità solite del tipo: siamo contro la guerra. Certo che siamo contro la guerra, ma la guerra già c’è e bisogna trovare il modo di farla finire. Però stando attenti a non porre le premesse per un nuovo disastro. Se non ci fossero state le guerre insensate di Bush in Iraq ed Afghanistan, oggi non ci sarebbe il Califfato e se Israele avesse fatto realmente passi verso i palestinesi, oggi avremmo un focolaio di crisi in meno.

Quanto alla Libia, l’intervento fu un errore (anche io devo fare una autocritica in proposito: avevo sopravvalutato la forza della componente democratica della “primavera libica”, che è stata spazzata via dall’irruzione dei vari fondamentalismi, per di più concorrenti fra loro. Forse la primavera araba è stata solo il 1905 del Me-na e ci sarà un 1917, lo spero, ma, per ora, è un disastro senza precedenti. E Siria, Libia, Sudan, Nigeria, Iraq ecc alimentano la marea di profughi che, a sua volta, destabilizza tutto, Europa compresa.

Insomma, europei ed americani se la sono andata a cercare e questo capolavoro è il risultato delle bestialità fatte, prima con la guerra dopo per la ritirata a rotta di collo e senza consolidare niente che potesse reggere all’urto dell’insorgenza fondamentalista. Dunque, non è il caso di fare altri errori.

Allora iniziamo ad escludere le cose più sbagliate: in primo luogo, togliamo di mezzo l’idea che si possa andare avanti così: non si capisce cosa stiano combinando gli americani con il Califfato, stando a sentire loro, non fanno che alluvionare di bombe tutta la zona, poi però non si capisce come le truppe del Califfato, senza copertura aerea di sorta, riescono a tenere testa a tutti gli altri, spostare forti contingenti militari, conquistare città, ritirarsi, riattaccare ecc. Della promessa offensiva giordana non sembra si sia vista l’ombra, i turchi hanno detto di muoversi ma di fatto fanno la guerra ai curdi che sono gli unici che combattono sul serio l’Isis. Qui occorre iniziare a fare sul serio.

Togliamo di mezzo l’idea che l’intervento aereo serva a risolvere il problema. Con la guerra aerea si può vincere una guerra regolare con uno Stato, come nel caso della guerra del Kossovo, ma con uno Stato sui generis come l’Isis e con una guerra irregolare, la cosa funziona poco. Neanche Giulio Dohuet avrebbe pensato alla guerra aerea in queste condizioni. Anche in Libia, la guerra aerea ha dimostrato i suoi limiti. Qui se non si mettono gli scarponi nella sabbia non se ne esce.

Ma chi deve scendere sul terreno ed a quali condizioni? L’ennesimo intervento occidentale è votato al fallimento prima di iniziare, in primo luogo perché (è un film già visto) si può anche vincere la guerra nell’immediato, per poi trovarsi impantanati in una guerriglia senza fine. Ma, soprattutto, la cosa darebbe ancora più fiato al fondamentalismo islamico che avrebbe una ragione in più per rappresentare la situazione come un conflitto fra l’Islam e i “crociati” occidentali e magari ci ritroveremmo con qualche altro Califfato in Indonesia, in Bangladesh o chissà dove. Peraltro, russi e cinesi avrebbero di che essere soddisfatti a stare ai bordi del campo a godersi lo spettacolo. Ma poi, per fare cosa? Dove sta scritto che dopo un vittorioso (??!) intervento delle gloriose truppe occidentali, la situazione si stabilizzi? Che ordine si affermerebbe e deciso da chi?

E poi, va bene che la Libia è ad un braccio di mare dell’Europa e che i profughi di guerra vengono qui, ma Europa e Stati Uniti non possono arrogarsi, ancora una volta, il diritto di fare i gendarmi del Mondo senza nessuna legittimazione, per poi non sapere cosa fare una volta finita la guerra. Proprio no: questa è la soluzione più stupida che si può scegliere.

Il primo passo è convocare di urgenza presso l’Onu una conferenza di pace con tutti i paesi del Me-na (Iran compreso, ed Israele se ne faccia una ragione) per risegnare la mappa della zona dopo il collasso dell’ordine seguito alla fine dell’Impero Ottomano. O almeno fissare alcuni criteri base per il dopo, e subito dopo imporre, siamo chiari, con le armi, la fine delle ostilità. Se necessario con una forza multinazionale di pace cui, potrebbero partecipare, in misura minoritaria, europei ed americani, ma non averne il comando che andrebbe affidato ad un ufficiale “esterno”, magari indonesiano, assistito da uno stato maggiore misto, prevalentemente, ma non esclusivamente, composto da ufficiali dei paesi islamici, in modo da eliminare il più possibile l’immagine della “aggressione esterna”.  E, dopo aver imposto la fine della guerra il negoziato di merito potrebbe riprendere per definire nel dettaglio il nuovo ordine. Se la volontà politica ci fosse, si potrebbe avviare la conferenza anche in un mese e dare il via alla costituzione della forza multinazionale nel giro di qualche settimana, dopo ci sarebbe il tempo per procedere nel dettaglio.
Temo, invece, che la cosa sfocerà nel solito intervento occidentale con danni maggiori del passato.