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Chi si identifica nei morti di Parigi è perduto

di Federico Zamboni - 23/11/2015

Fonte: Il Ribelle


O di qua, o di là. O con l’Occidente colpito dai terroristi sanguinari che uccidono in maniera indiscriminata, come è avvenuto venerdì sera a Parigi, oppure con chi quell’Occidente lo odia. E lo attacca, appunto, a suon di attentati. Attentati contro la popolazione inerme. Ignara. Incolpevole.

Lo schema è vecchio, ma in questo caso “vecchio” non significa affatto “logoro”. Al contrario: significa collaudato. E quindi efficace, nei confronti dei più. Detto in chiave tecnica – ma è una tecnica che viene utilizzata continuamente ai nostri danni e che, perciò, nessun “cittadino sapiens” può esimersi dal conoscere almeno un po’, almeno nei suoi tratti fondamentali e più insidiosi – ci troviamo di fronte a una sorta di super framing. Al posto della sola cornice, richiamata dal termine inglese, ecco un quadro completo. Al posto delle interpretazioni suggerite, che si limitano a orientare il cammino, ecco un percorso completo, e obbligato. Dalla cornice si passa all’imbuto. Se ci cadi dentro, perché ti sei affacciato incautamente sulla parte più larga, finisci senza scampo nel condotto più stretto. Imbottigliato. O imbutigliato, per usare un neologismo.

Restiamo sulla metafora: la parte larga dell’imbuto è quella delle notizie diffuse dai media, a partire dai resoconti di cronaca. Che all’inizio si concentrano sulla ricostruzione pura e semplice di quanto è avvenuto, dando così un’impressione di oggettività, ma che ben presto virano sui dettagli concernenti le vittime, innescando il meccanismo pressoché invincibile dell’identificazione in loro e nei loro cari. L’informazione, che dovrebbe presiedere alla lucidità dei giudizi, si sbilancia volutamente sul coinvolgimento emotivo, che spiana la strada alle reazioni irrazionali e al bisogno di rivalsa. O di vendetta.

Mentre per i morti non occidentali la regola giornalistica è la registrazione contabile e cumulativa, che spersonalizza i defunti e li riduce a entità astratte, per quelli occidentali ci si sofferma sui singoli, o almeno su una nutrita rappresentanza dei molti che sono stati uccisi o feriti gravemente. I numeri ridiventano persone e l’empatia si accende. Come d’altronde è naturale e persino giusto, nel trovarsi di fronte alle immagini, spesso sorridenti e sempre fiduciose, di uomini e donne ancora nel pieno delle proprie esistenze.

Da singoli che erano, essi si trasformano in simboli. Simboli di tutti gli altri connazionali, o co-internazionali accomunati dall’ambito USA-UE, che non sono stati colpiti oggi ma che potrebbero esserlo domani. Benché i conflitti ruotino innanzitutto intorno agli interessi e alle decisioni dei governanti, ovvero delle oligarchie del potere economico e politico, la contrapposizione all’ultimo sangue si allarga a dismisura e diventa la guerra di tutti. La faida di tutti.

Noi contro di loro. La civiltà contro la barbarie.

O di qua o di là: che altro?