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Antibiotici agli antievoluzionisti

di Stefano Serafini - 24/10/2005

Fonte: Stefano Serafini

 
Dispiace (ma non sorprende) che nell'interessante inserto culturale della domenica de Il Sole 24 Ore, lo scorso 16 ottobre, abbia trovato spazio un articolo sciatto e volgare dal titolo "All'antievoluzionista fate la prova dell'antibiotico" di tale Roberto Casati. Il testo consuona a una recente serie di iniziative, conferenze e articoli di media nazionali, in gran parte tesi a contraddire se stessi: cioè a negare che esista financo la questione di un dibattito fra evoluzionismo e anti-evoluzionismo. Ma allora perché mai tanto chiasso, addirittura l'ultima copertina de Le Scienze dedicata all'antievoluzionisimo ("I nuovi nemici di Darwin"), interviste alla radio e in tv (Mizar, La Macchina del tempo), articoli di giornali (Il Foglio, La Repubblica),  incontri e conferenze? E perché, ad es., riunire una serie di scienziati evoluzionisti a parlare sul tema "Chi ha paura di Darwin?" presso un noto collegio? E perché mai normalizzare ampiamente, nel corso del Novembre Stensoniano, insegnanti e studenti sulla dottrina darwiniana, con una puntata nel pensiero di Teilhard de Chardin (gesuita teo-evoluzionista implicato nella truffa dell'uomo di Piltdown), gabellandola per una serie di incontri su "Evoluzionismo e Anti-evoluzionismo"? Naturalmente, a nessuno di questi incontri è stato invitato a parlare un solo rappresentante del pensiero critico nei confronti della dottrina mainstream, fosse il primo fra essi, il genetista Giuseppe Sermonti del quale è stato appena tradotto in inglese il bestseller "Dimenticare Darwin", o il paleoantropologo Roberto Fondi, o il biologo Marcello Barbieri, o l'immunofarmacologo Giovanni Monastra, per citare solo i più noti nomi italiani. L'unica relativa eccezione alla compagine degli invitati presso l'Istituto Stensen risulta l'epistemologo Evandro Agazzi, il quale speriamo apporterà il contributo di una goccia di dubbio a riguardo della Somma Verità.
 
Sulla stessa linea, dunque, l'articolo di Casati, il quale appunto sostiene: "Ma c'è davvero un tale dibattito? Nessuno lo pensa veramente, e correttamente gli organizzatori del Festival della Scienza di Genova non hanno dato spazio a una legittimazione che sembra più un fatto mediatico...", ecc. Già, legittimazione. Lo sapevate voi, che per dibattere di qualcosa non contano le competenze, i titoli accademici, la capacità di ragionare, ma occorre essere "legittimati"? A parte il fatto che la scorsa edizione del Festival delle Scienze vide l'astronoma Margherita Hack, con altri amici del CICAP, fondare come se fosse la cosa più naturale (e scientifica) del mondo un'associazione degli "scienziati atei e agnostici", il cui organo di stampa s'intitolava: "Darwin". Verosimilmente la cosa non ha avuto un grande successo, e quest'anno si è preferito non replicare.
 
Ma entriamo nello specifico del lavoro di Casati, il quale, dopo aver spiegato la necessità del ciclo completo di cure antibiotiche, per non lasciare nell'organismo ceppi di batteri resi più resistenti da un trattamento interrotto, lancia una sfida a chi non si sottomette alla fede in Ch. Darwin. Egli scrive: "Se non accetti la teoria dell'evoluzione per selezione naturale, consiglia a tutti di non fare cicli completi di antibiotici, e non farne tu stesso. Ma consiglialo veramente, in pubblico, per iscritto, davanti a un notaio, davanti alle telecamere, fallo mettere a verbale; senza di che, non penso che tu creda veramente a quello che stai dicendo, e il 'dibattito' non può nemmeno incominciare".
 
L'augurio, insomma, è che gli antievoluzionisti, i quali non possono dibattere poiché il dibattito non esiste, almeno muoiano di influenza.
 
Mi domando: quella di Casati, che presenta la progressiva distruzione dei ceppi batterici ad opera dell'antibiotico come un esempio della selezione naturale, è mera, crassa ignoranza, o cattiva fede?
 
E' ben noto infatti che la resistenza all'antibiotico dei batteri non dipende da una mutazione genetica casuale, come vorrebbe far credere l'articolista appigliandosi al fatto che "le popolazioni in gioco sono enormi, e tali modificazioni sono relativamente frequenti". Ad es. per la penicillina, il batterio diventa ad essa resistente grazie alla produzione della penicillinasi, un enzima che la distrugge. Come potrebbe una variazione genetica casuale trasformare senza falla il nostro batterio sotto attacco sì da fargli produrre addirittura un nuovo enzima, e così perfettamente specifico e ben funzionante? La forza meravigliosa del caso unita alle decine di migliaia di generazioni batteriche semplicemente non lo fa, perché non può e non ne ha bisogno. La penicillasi infatti già c'è, bell'e pronta, in alcuni individui sopravvissuti ai primi attacchi. Senza scomodare geni, caso e necessità, il nostro antibiotico ha incontrato una proprietà già presente nella colonia. Non ha prodotto dunque nulla di nuovo (anzi, ha eliminato molte altre proprietà della colonia insieme agli individui cancellati), e mutazioni ed evoluzione c'entrano come il due di picche. In effetti la scoperta, nel 1986, dei cadaveri di alcuni marinai conservati nel ghiaccio che aveva rappresentato la fine sfortunata di una spedizione polare del 1845, rivelò che i batteri presenti nel loro intestino erano già resistenti ad antibiotici da prodursi un secolo dopo.
 
Ancora più interessante è osservare da dove provenga al batterio resistente il suo mirabile antidoto naturale: da altri batteri che ne dispongono. Grazie a una vera e propria "infezione" da plasmidi, cioè quelle particelle contenenti materiale ereditario extracromosomico, che troviamo nel citoplasma di numerosi batteri, e che gli ingegneri genetici utilizzano come vettori di clonazione. Tra l'altro sarebbe questa una buona ragione per evitare l'abuso odierno degli antibiotici nel ciclo alimentare come nell'uso umano.
 
E' come se a un certo punto, sotto la valanga velenosa dell'antibiotico, la colonia riprogrammasse la produzione delle proprie difese naturali, "importandone" addirittura lo stampo da altre popolazioni presenti nell'organismo ospite. Già negli anni '70 era noto il plasmide denominato RTF (Resistance Transfer Factor), capace di trasportare contemporaneamente la resistenza a numerosi antibiotici da una colonia batterica a un'altra. Come ciò avvenga è fonte di stupore e oggetto di ricerca. Ma non parlate di caso cieco, selezione onnipotente e altre spiritose corbellerie.
 
Stefano Serafini