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Arabia Saudita verso la catastrofe, ecco perché

di Vijay Prashad - 11/05/2016

Arabia Saudita verso la catastrofe, ecco perché

Fonte: Aurora sito

L’Arabia Saudita è in guai seri. Il Gruppo Binladin, la maggiore società di costruzioni del regno, ha licenziato cinquantamila lavoratori stranieri. Hanno ricevuto i visti per andarsene, ma si sono rifiutati. I lavoratori non molleranno prima di essere pagati. Arrabbiato con il datore di lavoro, alcuni lavoratori hanno incendiato sette autobus della società. Le rivolte sono nel destino del regno. Ad aprile, re Salman ha licenziato il ministro dell’Acqua ed Elettricità Abdullah al-Hasin, oggetto di critiche per le tariffe elevate dell’acqua, le nuove regole sullo scavo dei pozzi e i tagli ai sussidi energetici. Il ministero della Ristrutturazione deve far risparmiare al regno 30 miliardi di preziosi dollari per un erario reso esanime dai bassi prezzi del petrolio. L’ottanta per cento dei sauditi vuole che i sussidi su acqua ed elettricità continuino. Non è disposto a lasciare che scompaiano, ritenendoli un diritto. Perché, dicono, un Paese ricco di energia non fornisce energia gratis ai sudditi? Quando re Salman salì al trono l’anno scorso, ereditò un regno in cattive acque. Il tesoro dell’Arabia Saudita si basa sulla vendita del petrolio per oltre il novanta per cento. La popolazione non paga imposte, quindi l’unico modo per raccogliere fondi è la vendita di petrolio. Mentre i prezzi del petrolio sono scesi da 100 dollari al barile a 30, i proventi del regno sono crollati. L’Arabia Saudita ha perso 390 miliardi di profitti petroliferi previsti lo scorso anno. Il deficit di bilancio è di 100 miliardi, molto più di quanto mai avuto prima. Per la prima volta dal 1991, l’Arabia Saudita si volge al mondo della finanza privata per raccogliere 10 miliardi di dollari per un prestito quinquennale. Il Paese, dal grande fondo sovrano, ha bisogno di denaro in prestito per pagare le bollette, dimostrando la propria fragilità. Cosa deve fare un Paese quando si entra in un periodo di crisi? Chiama la società di consulenza McKinsey. Ed è esattamente ciò che l’Arabia Saudita ha fatto. McKinsey ha inviato i suoi analisti nel regno da cui rientravano nel dicembre 2015, con ‘Arabia Saudita senza petrolio: trasformazione di investimenti e produttività’, un rapporto che avrebbe potuto essere scritto senza visitare il Paese, presentando tutti i luoghi comuni del neoliberismo: trasformare l’economia da interventista a liberista, tagliare sussidi e trasferimenti e vendere le attività del governo per finanziare il passaggio. Non c’è accenno all’economia politica peculiare e al contesto culturale dell’Arabia Saudita. La relazione chiede il taglio nel pubblico impiego dell’Arabia Saudita e dei tre milioni di lavoratori stranieri sottopagati. Ma l’intera economia politica dell’Arabia Saudita e la cultura dei sudditi sauditi sono legati all’impiego statale per i sudditi e alla sottomissione per i lavoratori ospiti sottopagati. Modificare tali pilastri mette in discussione la sopravvivenza della monarchia. Invece di Arabia Saudita senza petrolio, McKinsey avrebbe dovuto onestamente dire Arabia Saudita senza monarchia. Cosa produrrebbe il passaggio di McKinsey? “Il passaggio alla produttività“, scrivono tali analisti ansiosi, “potrebbe consentire all’Arabia Saudita di raddoppiare nuovamente il prodotto interno lordo e creare sei milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2030“. Il figlio del re, Muhamad bin Salman (MbS), ha preso McKinsey in parola, copiaincollando il rapporto nella sua Visione saudita 2030. La dichiarazione del principe differisce ben poco dalla proposta di McKinsey. Il desiderio del principe ne dimostra la mancanza d’esperienza. È improbabile che abbia letto The Shock Doctrine di Naomi Klein, attacco in piena regola al concetto di passaggio economico. Ancora più improbabilmente avrà letto The Firm di Duff McDonald, eviscerazione dei trucchi di McKinsey. Basare il futuro di un Paese su un rapporto McKinsey sembra avventato. Ma poi il principe ha una sua vena d’incoscienza, guidando la guerra saudita allo Yemen, rivelatasi dannosa per tutti. I colloqui di pace sulla guerra che si tengono in Quwayt sono in stallo. L’Arabia Saudita non ha fatto quasi alcun progresso nello Yemen. L’uomo che ha guidato l’Arabia Saudita nel fallimento umiliante dello Yemen ora sarà responsabile della sua trasformazione economica?

L’Arabia Saudita è una monarchia. Il principe ha il favore del re e il suo talento è valutato dal re e non dal popolo. Dovrà tollerarne gli imbrogli nell’economia così come ha dovuto tollerarne la fallita guerra allo Yemen. Cos’è la Visione saudita 2030 del principe? Nonostante i tentativi di creare una certa stabilità nel mercato del petrolio, non vi è alcuna indicazione che i prezzi del petrolio saranno presto portati ai livelli di sicurezza. Se il petrolio rimane al di sotto dei 50 dollari al barile, l’Arabia Saudita dovrà rivedere il proprio piano economico e ciò significa che dovrà trovare nuovi modi per ottenere dei ricavi. Per passare da un’economia dipendente dal petrolio a un’economia industrial-turistico-finanziaria, occorreranno massicci investimenti. Per assicurarsi gli investimenti, l’Arabia Saudita prevede di vendere una piccola quota della sua compagnia petrolifera ARAMCO di proprietà statale. Il piano è raccogliere almeno 2 trilioni di dollari dalla vendita sua e di altri beni dello Stato. Il denaro rimpinguerà l’impoverito fondo sovrano, che altrimenti potrebbe prosciugarsi nel 2017-2020. Il maggiore fondo sovrano sarà utilizzato per lo sviluppo di nuovi settori industriali come petrolchimica, media produzione e finanza, così come turismo. Gli stranieri saranno autorizzati ad avere una proprietà nel regno e l’attività imprenditoriale sarà incoraggiata dallo Stato. In che modo tutto questo accadrà entro il 2020, data proposta dal principe, o anche entro il 2030, dal nome del piano del principe? L’Arabia Saudita potrà soddisfare rapidamente la popolazione passando dalle entrate petrolifere a lavorare nel contesto di un mercato insicuro? La storia suggerisce un lungo periodo d’insoddisfazione pubblica durante tale enorme transizione. La famiglia reale saudita saprà affrontare rabbia e umiliazione che tale cambiamento evocherà?
Il direttore Medio Oriente e Asia Centrale del Fondo monetario internazionale, Masud Ahmad è sicuro che la transizione andrà bene. In realtà, Ahmad ritiene che il piano McKinsey sia forse un po’ troppo modesto. Ciò che i sauditi devono fare, ha detto Ahmad, è attirare maggiori investimenti privati per sostenete la diversificazione. Da dove arriverà tale investimento privato? Forse dalla Cina, che ha già firmato un grande accordo nucleare (da 2,48 miliardi di dollari) con l’Arabia Saudita. Il regno è il maggiore fornitore di petrolio della Cina. Le cinesi Sinopec,PetroChina e Yunnan Yuntianhua lavorano a stretto contatto con Aramco per costruire raffinerie di petrolio nel regno e sulle coste cinesi. Imprese edili cinesi costruiscono la ferrovia Haramain che collegherà Mecca e Madina. La Cina è il principale partner commerciale dell’Arabia Saudita. Il gruppo Binladin metterà in naftalina alcune gru, ma non significa che non appariranno sull’orizzonte del regno. Le imprese edili cinesi sono pronte a costruire la nuova base infrastrutturale dell’Arabia Saudita. Washington, se presta attenzione, vedrà la deriva della vecchia alleata: o nel caos sociale o nell’orbita cinese. Non c’è altra alternativa.6ee06bc5d102bd35f10fa5e516586c529f99d0d1Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora