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Transnistria: la Russia è più vicina

di Stefano Vernole* - 19/09/2006

 

 

 

Il referendum svoltosi domenica 17 settembre 2006 in Transnistria, una regione di circa 550.000 abitanti stretta tra l’Ucraina e la Moldavia e resasi indipendente nel 1992 dopo una guerra con l’ esercito di Chisinau (appoggiato da volontari romeni) costata quasi 1.000 morti, non lascia dubbi sull’esito del suo risultato.

Superato il quorum della metà degli elettori più uno grazie alla partecipazione di circa il 70% degli aventi diritto al voto, i sostenitori dell’indipendenza dalla Moldavia e della conseguente integrazione nella Federazione russa hanno ottenuto il 97,1% dei consensi.

Dopo aver visitato in lungo e in largo la capitale Tiraspol e la città di Benderi – una delle roccaforti ai tempi del conflitto del 1992 – abbiamo seguito le operazioni elettorali in 4 seggi del distretto di Dubossari, il cui confine è estremamente vicino alla rivale Chisinau.

In un’atmosfera di festa, contrassegnata dalla musica e dai palloncini rosa che coloravano le urne, la popolazione transnistriana si è recata compatta al voto, dimostrando la sua volontà di sancire democraticamente (si trattava del settimo referendum dopo la guerra) un’indipendenza che ancora oggi Unione Europea, OCSE e Stati Uniti si ostinano a non voler riconoscere.

Nonostante tutta la propaganda occidentale descriva questo paese come un crocevia di traffici illegali d’ogni tipo, durante il nostro soggiorno abbiamo potuto constatare l’enorme tranquillità che regnava nelle strade, praticamente sgombre di polizia e soldati, così come la piena regolarità delle operazioni di scrutinio.

Se l’appoggio economico di Mosca è sicuramente importante - lo stipendio medio di un operaio specializzato si aggira sui 200 dollari al mese mentre l’affitto di un appartamento è di circa 20 dollari mensili -  non bisogna però trascurare la fondamentale presenza delle centrali elettriche qui situate e delle fabbriche di tessuti, fibre naturali e cotone che lavorano a pieno ritmo per l’esportazione.

Le 1.000 truppe “straniere” che ancora oggi rimangono in Transnistria, 500 russe e 500 ucraine, si limitano a presidiarne i confini, resi difficili dall’embargo economico (in particolare per il famoso cognac) che Moldavia, Romania e Ucraina hanno decretato nei confronti di questa Repubblica.

Un blocco commerciale frutto diretto delle pressioni che Washington esercita su Chisinau e Kiev, già alleate nel GUAM antirusso, ma anche su Bucarest, la cui adesione alla NATO è ormai un fatto compiuto da tempo.

Non a caso solo dal Cremlino, con una dichiarazione ufficiale del presidente Vladimir Putin, è arrivata una forte legittimazione al risultato di questo referendum, che permette alla Russia di creare un cuneo di separazione a lei favorevole tra due Stati attualmente sotto il controllo statunitense.

Premessa importante dell’ancora più decisiva consultazione che a metà novembre dovrebbe sancire il distacco dell’Ossezia del Sud dalla Georgia, dopo l’analoga strada già intrapresa dalle filo-russe Ossezia del Nord e Abkhazia.

La forte minoranza moldavo-romena, che costituisce circa il 40% della popolazione, è in gran parte integrata nelle strutture della possente amministrazione pubblica, che conta oltre ai numerosi Russi ed Ucraini, anche Bielorussi e Bulgari, grazie a un’equa ripartizione delle cariche amministrative.

Certo in passato sono esistite e probabilmente anche oggi esistono sacche di malcontento da parte di questa decisiva componente etnica, sollecitate dai richiami nazionalisti provenienti dall’uomo forte di Chisinau, Vladimir Voronin (non certo tenero però con le minoranze all’interno del suo paese): di esse il presidente transnistriano Igor Smirnov dovrà tenere conto nelle riforme da lui già annunciate dopo l’esito del referendum di domenica scorsa.

Così come essenziale sarà per la regione ricostruire la sua immagine all’estero con una massiccia opera di controinformazione, tesa a ribattere la martellante campagna mediatica di alcune centrali atlantiste che da anni la descrivono come uno Stato “dominato dalla mafia russa”.

Processo di apertura in parte tentato nei giorni precedenti l’ultimo referendum, quando il governo di Tiraspol ha accreditato giornalisti e operatori di diverse nazioni europee ad assistere quali osservatori internazionali alle modalità di svolgimento del voto mediante a un’attenta ed efficiente macchina organizzativa.

La massiccia struttura politica transnistriana non ci ha comunque impedito di sganciarci varie volte dalla “marcatura” delle autorità, consentendoci di perlustrare, esaminare e fotografare le varie zone della capitale in assoluta libertà, il che ci lascia ben sperare nel futuro di questo simpatica nuova nazione, nelle quale non abbiamo registrato ombra di tensioni etniche.

Anche se molto dipenderà dal sostegno di Mosca e dalle prossime crisi geopolitiche che quest’area, estremamente instabile, è destinata ad attraversare: toccherà allora all’Europa decidere se continuare a prestarsi all’azione di destabilizzazione ordita dagli Stati Uniti o cooperare con la vicina Russia per assicurarne la piena integrazione nel nostro continente.

 

 

* Osservatore internazionale al referendum svoltosi in Transnistria domenica 17 settembre 2006.