Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Intervista a Mohammed Aldaraji (Monitoring Network of Human Rights in Iraq)

Intervista a Mohammed Aldaraji (Monitoring Network of Human Rights in Iraq)

di Gianni Petrosillo - 22/09/2006

 

(Intervista di Gianni Petrosillo, si ringrazia per la traduzione la d.ssa Valeria Zipoli)

 

Mohammed AlDaraji è il presidente della Rete di Monitoraggio per i Diritti Umani in Iraq. Tale rete raggruppa 28 diverse organizzazioni che si propongono, come obiettivo prioritario, quello di portare alle luce le violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo in Iraq, all'indomani dell’occupazione del paese da parte dell’esercito americano.

il loro lavoro è molto importante perché, attraverso le denunce sulla reale situazione in Iraq e con i filmati diffusi, costringono gli americani a confessare l’utilizzo di armi non convenzionali nel conflitto in corso, vedi appunto il famigerato fosforo bianco. Rai News ha trasmesso, poco tempo fa, il terribile filmato “Fallujah: la strage nascosta”, dove si sono visti gli orrendi effetti che i bombardamenti al fosforo bianco hanno causato sulla città di Fallujah. Gli americani si sono giustificati dicendo di aver utilizzato tali armi solo contro i resistenti irakeni, in realtà, sono morti soprattutto donne, bambini e civili.

Questo è stato il loro un primo “successo” in termini mediatici.

Un altro terribile fatto, portato alla ribalta dei media grazie al loro lavoro, è stata la strage di Haditha, nell’est dell’Iraq. Qui i soldati statunitensi hanno rastrellato le case e sterminato quattro famiglie inermi, uccidendo donne e bambini.

Tale strage è avvenuta in seguito ad un atto di ritorsione poichè i resistenti irakeni avevano ucciso due soldati americani. L’esercito USA ha risposto uccidendo 24 persone innocenti (adesso fate voi le dovute proporzioni, anche con altri episodi della Storia, visto che oggi i paragoni sono di moda).

Dopo quattro mesi questo osceno crimine è stato portato a conoscenza dei media internazionali proprio grazie alle foto scattate dalla Rete di Mohammed e pubblicate dal giornale “Today”.

 

Ho avuto la fortuna d’incontrare Mohammed nella città nella quale vivo attualmente, così ha deciso d’intervistarlo.

G:  Mohamed sono passati 3 anni dalla fine della guerra in Iraq, una guerra che, è bene ricordarlo, era cominciata perché gli americani dicevano di aver individuato armi di distruzione di massa nel vostro paese e per un fantomatico collegamento tra Saddam Hussein-Al Qaida-Twin Towers. In realtà, in “corso d’opera”, gli americani hanno “riaggiustato” il tiro parlando di necessaria esportazione della democrazia (anche perché le armi di distruzione di massa non c’erano). Qual è la situazione oggi?

 

M:     Il Congresso Americano ha ammesso che non c’erano armi di distruzione di massa in Irak, persino i capi della Cia hanno dovuto ammettere che non c’era traccia di tali armi, sconfessando precedenti rapporti dell’intelligence americana stessa. Il Congresso americano ha stabilito, inoltre, che non c’era nessun link tra Al Qaida e Saddam.

Loro parlano di esportare la democrazia in Iraq, ma dov’è la democrazia quando vengono uccise persone innocenti. In Irak non c’è sicurezza, non c’è lavoro e non ci sono servizi. I civili irakeni escono di casa ma non sanno se riusciranno a tornare dalle loro famiglie. Ci sono squadroni della morte diffusi su tutto il territorio, milizie irakene, curde e sciite provenienti dall’Iran, questi lavorano con gli americani per dividere ulteriormente l’Irak.

Alcuni di questi miliziani sono fuggiti dall’Iraq sotto Saddam e si sono riorganizzati grazie all’aiuto degli iraniani. Oggi questi criminali combattono al soldo degli Usa e garantiscono agli americani il controllo di un’importante area del paese.

 

G: Tu sei di Fallujah e durante la prima battaglia eri presente nella città. Le devastazioni sono state immani a causa delle cluster bomb, poi, addirittura, nella seconda battaglia gli americani hanno utilizzato le famigerate armi al fosforo bianco. Perché proprio a Fallujah e perché con una tale intensità?

 

M:     Con l’attacco a Fallujah gli americani volevano dare un esempio alle altre città.  I combattenti di Fallujah avevano tentato di rapire il Generale John Abu-Zaid che era lì per prendere visione della situazione. L’obiettivo era quello di uno scambio con i prigionieri detenuti ad Abu Graib. Quando si sono resi conto che si trattava di un’operazione troppo difficile hanno cercato di ucciderlo ma sono riusciti solo a ferirlo. C’è però un secondo motivo che spiega la ferocia con la quale i soldati americani hanno attaccato Fallujah.  I resistenti irakeni hanno ucciso quattro contractors legati al Mossad e alla Cia.

L’attacco a Fallujah ha generato un clima da vera rivoluzione in tutto il paese, l’esempio delle fiera resistenza fallujana ha spinto molte città a ribellarsi, a rintuzzare gli americani fuori dal proprio territorio. Gli americani si sono trovati così a intervenire su troppi fronti contemporaneamente ed alla fine hanno sottoscritto un cessate il fuoco. Ma gli americani non accettano di buon grado le sconfitte e così la tregua non è durata molto a lungo.

 

G: Quanti irakeni sono morti in questa “guerra” democratica? Quanti erano bambini? Quanti sono i rifugiati oggi?

 

M:     Il primo anno di occupazione ha causato 100 mila morti. Secondo la stampa internazionale i morti sono solo 25 mila in due anni.

 

G:      Quali sono stati gli abusi peggiori che l’esercito americano ha commesso sul suolo irakeno e quante Abu Ghraib esistono ancora in Irak?

Le violazioni dei diritti umani ormai non si contano più, tu hai più volte denunciato all’ONU la situazione. Come sta agendo l’ONU in tal senso?

 

M:     Gli americani hanno chiuso Abu Ghraib dopo le immagini e i filmati trapelati, tuttavia non sappiamo ancora quante prigioni come questa esistono ancora in Irak e in che condizioni sono. Dall’ultimo rapporto che abbiamo inviato all’ONU, proprio l’altro ieri, emerge che ci sono ancora 35 mila civili irakeni rinchiusi nelle carceri controllate dagli americani, molti di questi non hanno commesso nessun reato, sono detenuti ingiustamente e gli Usa non spiegano perché li tengono prigionieri.

Per quel che riguarda l’ONU posso dirti che non ha nessun potere, è sotto il completo controllo americano. L’ONU non fa assolutamente nulla, è un organismo debole senza mezzi e strumenti per fare pressione sugli americani. Ti faccio un esempio. L’ONU interviene in molte zone di guerra, a volte con decisione, da noi invece non ci prova nemmeno perché gli Stati Uniti hanno fatto capire che non ammettono alcuna ingerenza in questa faccenda.

Ho chiesto molte volte all’ONU di istituire una Commissione d’indagine per verificare lo stato dei diritti umani in Irak ma loro non rispondono neppure. Durante il periodo di Saddam Hussein venivano stilati molti rapporti sulle torture e gli abusi commessi dal regime. In quel periodo è stato fatto un monitoraggio completo della situazione. Oggi, invece, l’ONU, dopo le forti pressioni subite, ha interrotto tale monitoraggio. Ora che le violazioni sono maggiori rispetto al periodo di Saddam Hussein nessuno si interessa dei diritti umani in Irak.

Abbiamo a più riprese richiesto l’invio dei Commissari dell’Onu nonchè l’istituzione di una Commissione d’indagine, ma l’ONU non ha risposto. L’ONU se ne lava le mani e si deresponsabilizza dicendo che non è sua competenza perché tutto dipende dal Consiglio di Sicurezza.

La nostra organizzazione sta cercando di completare l’ultimo rapporto speciale, come ha già fatto in passato, sostituendosi ad un’ONU totalmente inerte. Cerchiamo di accumulare  prove per il futuro.

Abbiamo chiesto alla Commissione di Ginevra, già col nostro primo rapporto, di intervenire con l’istituzione di alcune commissioni d’inchiesta, anche in questo caso nessuna risposta.

Col secondo rapporto ci hanno invece risposto, ringraziandoci per la professionalità del primo rapporto, hai capito? Utilizzano questi giochetti per non fare assolutamente nulla.

Alcuni commissari tunisini che si sono interessati all’Irak sono stati subito liquidati con la scusa che il loro mandato era in scadenza.

 

G: Adesso parliamo della fiera resistenza che il popolo irakeno ha opposto all’invasore americano.Com’è composta la resistenza irakena? Si può parlare di un fronte di resistenza unitario oppure esistono grandi differenze tra i vari gruppi che si oppongono all’invasione USA?

 

M: La resistenza non sapeva cosa fare poi hanno capito che gli americani volevano solo controllare l’Irak con la violenza. La resistenza si è costituita velocemente. È sicuramente composita, ci sono politici, religiosi, provenienti dall’esercito e da varie parti del paese. Ogni gruppo non conosce l’altro così se un gruppo viene preso non può dare nessuna informazione sugli altri. Si tratta, insomma, di piccoli gruppi con un proprio leader.

La violenza genera violenza, gli americani hanno cominciato con la violenza e per questo gli irakeni si difendono con i denti. Gli americani non hanno portato né democrazia né libertà,  loro hanno fatto patire al popolo le peggiori atrocità. La democrazia non verrà da fuori da una occupazione. Non regge l’esportazione della democrazia che è solo un fatto ideologico. La democrazia deve nascere dal popolo e nel cuore della nazione. Gli americani in nome della democrazia controllano i popoli, si tratta di un pretesto che nasconde i loro progetti egemonici.

 

G: Si dice che l’Iran stia facendo il doppio gioco in Irak. La sua volontà di proseguire in patria le ricerche sul nucleare spinge il governo di Amadinejad a rintuzzare con forza i diktat americani, tuttavia, ciò non si traduce in una lotta contro l’egemonismo americano tout court. Difatti, qualcuno dice che è proprio grazie all’Iran che gli Stati Uniti possono controllare il sud dell’Irak. E’ vero questo?

 

M: Si, è tutto vero. Il deputato iraniano Ali Abtahi  ha detto in una conferenza internazionale negli Emirati Arabi che senza l’apporto dell’Iran gli americani non avrebbero concluso nulla, né in Afghanistan né in Irak.

 

G: Pare che gli americani abbiamo intenzione di ridurre i contingenti militari in Irak installando basi in posizioni strategiche, per “marcarvi a zona”. In realtà, il marcamento a zona sarebbe indirizzato non solo all’Irak ma a tutta l’area mediorientale. Secondo te quali sono i loro piani sul medio-lungo periodo? E’ ipotizzabile un attacco all’Iran come quello avvenuto in Irak?

 

M: Il generale John Abu-Zaid ha detto, l’altro ieri, che non ci sarà nessuna riduzione dei contingenti. Tuttavia, gli americani sono intenzionati ad installare 6 nuove basi americane in Irak. Chi ha visto le basi dice che si tratta di installazioni che lasciano intendere una lunga permanenza e con molti uomini.

La posizione dell’Irak è centrale per il controllo di tutta l’area mediorientale per

questo gli americani stanno trasferendo i loro militari da altre zone del mondo in

Irak. L’occupazione è cominciata già nel 1992. Per quel che riguarda l’Iran, non

credo che gli americani attaccheranno questo paese perché l’esercito iraniano e

l’intelligence iraniana collaborano con gli Usa. Sul nucleare iraniano avrebbero

potuto intervenire in molti modi e non l’hanno fatto. Quando hanno voluto

bloccare la ricerca nucleare in Irak hanno ucciso i nostri scienziati e distrutto i

nostri centri di ricerca. Perché, invece, con l’Iran si limitano solo ad alzare la

voce?  La presenza del nucleare in Iran fa comodo agli americani, si tratta

di una scusante per piazzare le proprie basi e controllare l’area, il più a lungo

possibile.

G:      La ricostruzione del paese sarà lunga e difficile. Quanto tempo occorrerà, a tuo parere, per bonificare tutto il territorio dalle bombe a grappolo e dalle contaminazioni chimiche causate dalle “intelligenti” armi americane?

 

M:     Non c’è nessuna ricostruzione in Irak, la corruzione dilaga. I documenti ufficiali del governo dicono che ci sono 367 zone sono contaminate, di cui 150 molto pericolose. Ci sono 22 milioni di persone che rischiano la vita per cancro, su 26 milioni di abitanti in totale. Senza contare che gli effetti delle armi chimiche possono manifestarsi anche dopo decenni e generazioni.

 

G: Cosa speri per il tuo paese?

 

M:     L’Irak ha lunga e nobile storia. Spero nella ricostruzione e nella fine dell’occupazione. La liberazione dell’Irak dipenderà dal popolo e dalla resistenza che opporremo all’invasore americano. La gente irakena vivrà e morrà come gente libera, come sempre è stato nella storia del nostro paese.