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Strumentalizzazione petrolifera

di Marzio Paolo Rotondò - 25/10/2005

Fonte: www.rinascita.info

Dopo aver recentemente toccato un picco di 70,85 dollari al barile, il prezzo del petrolio ha intrapreso negli ultimi tre giorni il ribasso più sensibile degli ultimi mesi. In tre giorni il costo di un barile di greggio scambiato sui mercati internazionali è sceso di circa il 13% scendendo finalmente sotto la soglia dei 60 dollari.
Sulla scia dell’inaspettato aumento delle scorte energetiche degli Stati Uniti, la contrazione della domanda di energia e le notizie prematuramente rassicuranti per gli impianti petroliferi sul passaggio dell’uragano Wilma, il petrolio finalmente da segni incoraggianti di discesa.
Secondo quanto riferito dell’Opecna, l’agenzia di stampa ufficiale dei maggiori produttori di petrolio del mondo che ha sede a Vienna, il prezzo medio giornaliero del paniere Opec è tornato ieri sotto i 53 dollari al barile, attestandosi a 52,85 dollari, contro i 53,64 dollari di mercoledì.
L’oro nero continua a cedere terreno anche e soprattutto sui mercati internazionali e scende temporaneamente sotto la soglia dei 60 dollari al barile sulla piazza di New York. Il contratto per le consegne di dicembre, quotato al New York Mercantile Exchange (NYMEX) veleggia in questo momento a 60,02 dollari, dopo un minimo a 59,65 dollari.
Solo nella giornata di ieri, il contratto ha perso il 2,2% sulla scia dell’inaspettato rialzo delle scorte settimanali di greggio e benzina negli Stati Uniti e di segnali dell’indebolimento della domanda. Il contratto per le consegne di novembre è scaduto ieri dopo aver perso 1,38 dollari scendendo a 61,03 dollari. In calo anche il Brent, che oggi a Londra cede 13 centesimi a 57,78 dollari al barile.
A guidare i ribassi, l’inaspettato aumento per le scorte di idrocarburi negli Stati Uniti. Il dipartimento di Energia Usa ha annunciato un aumento di 5,6 milioni di barili a 312 milioni di barili per le scorte di greggio, mentre gli analisti aspettavano un rialzo molto più modesto, pari a 1,51 milioni di barili.
Rialzo inaspettato anche le scorte di benzina, salite di 2,9 milioni di barili a 195,7 milioni di barili mentre il mercato attendeva un calo di 1,43 milioni. Calo maggiore del previsto, invece, per le scorte di distillati, scese di 1,9 milioni di barili, mentre il mercato prevedeva un ribasso di 1,32 milioni.
Stranamente, il sensibile ribasso delle quotazioni del petrolio coincide anche con la pubblicazione dei dati sull’inflazione nordamericani. L’impennata dei prezzi al consumo negli Stati Uniti è stata una notizia che ha segnato i mercati internazionali ma soprattutto sta iniziando a preoccupare seriamente l’amministrazione americana. Il principale fattore causa dell’impennata è appunto il petrolio, il cui prezzo adesso puntualmente decresce sensibilmente. Ciò da alito a qualche supposizione.
È noto come gli Stati Uniti controllano gran parte del settore petrolifero mondiale e soprattutto ne guidano le speculazioni tramite fondi istituzionali, hedge found, fondi pensione e quant’altri, che rappresentano più del 30% del valore dell’attuale quotazione. Voci sostengono che il motivo dell’elevato prezzo del petrolio, oltre a fattori geopolitici e climatici, sia l’effetto di una politica americana che mira a sostenere economicamente l’immenso debito pubblico Usa, principale preoccupazione per la stabilità economica americana, tramite gli introiti legati alla vendita del greggio. In tal modo, l’amministrazione Bush riesce non solo a conseguire guadagni da capogiro ma riesce anche a tenere a bada la vecchia Europa, costretta a promuovere un euro forte per attutire i prezzi del greggio scambiato in dollari ma con un effetto negativo sulla bilancia commerciale, a tutto favore degli Stati Uniti. Il fatto che la lobby del petrolio, in cui rientra peraltro il presidente degli Stati Uniti in quanto petroliere, non investa a sufficienza nel settore della raffinazione per adeguarsi al meglio alla domanda globale provocando ulteriori aumenti dei prezzi è un altro indizio di questo meccanismo. Inoltre, come abbiamo potuto costatare in occasione del passaggio degli innumerevoli uragani che hanno colpito la regione dei Caraibi, solo la loro presenza nella zona ha creato il panico sul mercato ed il consecutivo aumento del prezzo del greggio; ora, invece, nonostante Wilma minacci tuttora la Florida, i mercati reagiscono come se nel Golfo del Messico splendesse il sole. Anche l’inaspettato aumento delle scorte americane smentisce, e di molto, ogni previsione fatta in precedenza. Ma il fattore che ci fa sospettare di più lo vediamo adesso: appena il prezzo elevato del greggio non è più un beneficio per gli Stati Uniti ma una grave spinta inflazionistica, il prezzo puntualmente crolla grazie a delle rassicurazioni fuori tempo e totalmente inaspettate.
Coincidenze strane, che non sarebbero né le prime né le ultime che contraddistinguano la storia degli Stati Uniti, ci spingono a riflettere e ad approfondire la questione.
In quest’ottica, la recente cessione di gran parte delle scorte strategiche dell’Unione europea e dell’Agenzia Internazionale dell’Energia per aiutare gli Stati Uniti in un fantomatico momento di crisi energetica, ci appare sempre di più come un’opportunista appello per recepire gratuitamente degli idrocarburi a fini speculativi.
Ci auspichiamo vivamente che non sia così, ma i fatti talvolta sono inequivocabili.