Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L'orfanotrofio di Vilejka

L'orfanotrofio di Vilejka

di Simone Stefanelli - 01/10/2006

 
Resoconto scritto e fotografico di Simone Stefanelli

Progetto Humus presenta il resoconto scritto e fotografico di Simone Stefanelli (www.simonestefanelli.com) fotoreporter rientrato recentemente dalla Bielorussia, dove ha visitato l'internato di Vilejka. Un contributo sereno e senza speculazioni. L'articolo è pubblicato anche su www.diario.it. Le fotografie sono proprietà di Emblema, Società Fotografica Editoriale Italiana (www.emblema.net)

Nessuno conosce la verità. Nessuno di quelli che fanno un gran parlare conosce Maria e la sua storia, in pochi conoscono la realtà della Bielorussia, ma tutti sono unanimi nel condannare i responsabili dell’Internat - così si chiamano in russo - gli istituti che accolgono orfani e bambini abbandonati, dove la piccola ha sempre vissuto. Giornalisti, politici, uomini di chiesa e di legge sono pronti a difendere il comportamento della famiglia di Cogoleto alla quale la bambina è stata affidata nel suo periodo di soggiorno in Italia, ma nessuno prima di parlare si è degnato di venire a vedere l’orfanotrofio, novanta chilometri a nord di Minsk. Qui Maria la ricordano come una bambina allegra e spensierata, con una gran voglia di giocare e sorridere, i suoi disegni raccontano di case, di uccellini, animali sorridenti, alberi e compagni di gioco. Non ci sono bambini legati mani e piedi a una sedia. Nessuna traccia di quel tormento, stenti e privazioni rimbalzati sulle colonne dei giornali in queste ultime settimane.

Il direttore non ci aspettava. Siamo arrivati senza avvisare, la nostra visita l’ha sorpreso, non credeva che qualcuno potesse prendersi la briga di arrivare fin li per tentare di raccontare agli italiani la verità su quel luogo che considerano oramai un lager. Ha chiamato a raccolta i suoi collaboratori più stretti e ci ha invitato nel suo ufficio per parlare indisturbati. Non si è nascosto di fronte alle domande e alla richiesta di poter visitare e fotografare senza censure. Ma non ha nascosto neppure i suoi timori. «Vi comporterete anche voi come loro», ci dice. «Loro» sono i coniugi affidatari di Cogoleto che oggi tengono nascosta Maria e che impediscono il suo ritorno in Bielorussia. «Quando visitarono l’istituto rimasero impressionati dall’efficienza della struttura, dallo spazio a disposizione dei bambini e dalla cura che riserviamo ai nostri ragazzi, oggi invece…». Apprezzamenti che finiscono sommersi dalle pesanti accuse che proprio quella famiglia rivolge loro, gettando ombre inquietanti non solo sull’istituto di Veleika ma su tutti gli Internat bielorussi.

Maria è partita il 14 giugno, destinazione Liguria, insieme ad altri suoi compagni. Il suo rientro era previsto il 22 agosto. Ma così non è stato. Era gia stata in Italia altre sei volte e finora non c’erano stati problemi. «Era felice di partire per l’Italia come lo è sempre stata di ritornare, perché questa fino ad oggi è stata la sua casa, e qui c’è la sua grande famiglia fatta di tanti fratelli e sorelle» - spiega il direttore dell’istituto, Nikolaj Ivanovic Volchkov - che non nasconde la sua amarezza per le accuse che gli sono state rivolte prima dalla famiglia ligure e poi dall’Italia intera, un paese che fino ad oggi era per lui un’isola felice dove far svagare i suoi ragazzi nei mesi estivi. «I ragazzi che dal nostro paese sono andati fino a oggi in Italia sono circa trentamila e questa è la prima volta che succede una cosa del genere. Crede davvero che se i nostri istituti fossero stati luoghi nefasti per la salute sia fisica che mentale dei ragazzi, altre famiglie italiane non si sarebbero accorte di qualcosa?» Forse può essere che durante la notte qualcuno dei vostri ragazzi più grandi abbia infastidito la piccola? «Nel suo paese sono convinti che noi facciamo finta di niente solo perché molti dei nostri ragazzi hanno dei problemi… tutti sanno che all’interno degli istituti ci sono ragazzi difficili, e solo per questo rimaniamo indifferenti di fronte a quello che succede. Maria ha tentato il suicidio, se è vero quel che mi hanno detto. Ma questo gesto estremo lo ha commesso in Italia, non qui». Le sue parole si colorano di rabbia, non è il caso di forzare la mano. «Come le ho già detto questa è una grande famiglia dove i grandi aiutano i più piccoli, non li picchiano o li maltrattano».
«È chiaro a tutti che questi sono ambienti duri per un bambino - spiega un’inserviente che interviene per smorzare i toni di un confronto divenuto nervoso - Anche con tutta la buona volontà del corpo insegnanti e dei collaboratori non possiamo sostituirci a una famiglia vera. Dei 188 ragazzi che ci sono stati affidati, che vanno da un’età compresa tra i 4 e i 17 anni, solo pochi di loro sono realmente orfani, gli altri sono stati abbandonati. E la prima causa di abbandono è legata a problemi di alcolismo all’interno delle famiglie, una vera e propria piaga qui in Bielorussia».

«Come nel caso di Maria - sottolinea la responsabile per l’educazione di Veleika, Maria Anatoljevna Deriugo - partorita da una madre con gravissimi problemi di dipendenza dall’alcool. Mentre non sappiamo chi sia suo padre. Vede, l’istituto è specializzato nella rieducazione dei bambini affetti da queste particolari patologie. In primo luogo assicuriamo loro una rieducazione linguistica perché la maggioranza dei ragazzi che entrano qui ha problemi nell’esprimersi, nel mettere in linea una frase di senso compiuto. È per questo che reputiamo improbabile il fatto che la bambina, che ha seri problemi di comunicazione, sia riuscita in italiano ad esprimere concetti così chiari e forti. Lo ripeto: al momento della partenza era contenta, cosa sia poi accaduto in Italia non lo sappiamo…».
Una delle insegnanti di Maria è convinta che la bambina abbia ancora bisogno di molta riabilitazione, «ma questa deve essere fatta qui dove la piccola può riconoscersi, nella sua lingua, dove ci sono i suoi ambienti natali e le persone che ha sempre conosciuto, soprattutto i suoi compagni verso i quali ha sempre dimostrato un grande attaccamento».
Il direttore, che nel frattempo si è calmato, cerca di dare un significato al comportamento dei coniugi italiani: «sono convinto che loro vogliano bene a Maria, certo un amore strano da definire, forse troppo morboso. Mi chiedo a questo punto perché non abbiano inoltrato le pratiche di adozione presso le istituzioni competenti, visto che è da molto tempo che conoscono la bambina. Logicamente lo devono fare seguendo l’iter della legge bielorussa. Nonostante quello che sta succedendo sarei ancora disposto a concedere il mio benestare per l’affido, anche se rimane la delusione per il loro comportamento».

L’istituto apre le sue porte. È senz’altro uno dei migliori che abbia avuto modo di visitare in questo paese. Ci sono palestre attrezzate, aule fornite di computer piuttosto moderni, dove i bambini imparano ad usare i programmi basilari oltre a giocare con i videogiochi.

«Tutti vogliono giocare al computer», dice sorridente l’insegnante di informatica. Nell’aula accanto alcuni bambini si esercitano nella lettura. Uno di loro, Sergey, inizia a parlarmi in italiano. Coniuga perfettamente i verbi, da far invidia a molti nostri connazionali. D’un tratto inizia però a balbettare fino a quando non interviene il direttore a calmarlo. Mi fa cenno con una mano di uscire. Ora capisco meglio cosa significa avere problemi di linguaggio. Inoltre ci sono una fornitissima biblioteca che contiene migliaia di libri, alcuni dei quali anche in italiano. Un’aula di musica dove un’insegnante sta facendo lezione ad una decina di bambini che s’improvvisano in un coro di benvenuto. I corridoi sono puliti, così come le aule e le camerette a sei letti che al contrario di quello che si è letto in questi giorni non sono così sovraffollate. Sul lettino di Maria ad aspettarla hanno messo il suo pupazzo preferito. La mensa poi ha una cucina da far invidia ad un grande ristorante, la cuoca mi invita ad entrare. Sta preparando una sorta di purè, d'altronde il Paese è uno dei più grandi produttori al mondo di patate. Un pasto povero. Ma si affretta a rassicurarci: «la dieta settimanale è molto variegata e viene stilata da esperti nutrizionisti, perché i ragazzi devono crescere sani e forti».
Mentre ci avviamo verso il cortile entriamo in un aula dove sta facendo lezione la classe di Maria. Seduta a uno dei banchi c’è Marta, la sua migliore amica. Sono compagne di banco e dormono una accanto all’altra. La dottoressa Deriugo prova a domandarle se c’è qualcuno all’interno dell’istituto che la infastidisce, che la picchia. Marta, un faccino dolce e sorridente, anche se emozionata dalla presenza di estranei non ha dubbi: «no». Anche quando prova ad incalzarla facendo il nome di qualche compagno un po’ più vivace della media la bambina non cambia la sua risposta.«Vede, come le avevo detto», dice sicura la dottoressa.

Il cortile ha un bel giardino con molti fiori, è ben curato. E poi ci sono un campo da basket e un ampio rettangolo da calcio regolamentare, fiancheggiato da un vialetto che va dal cancello d’ingresso, sempre aperto, fino alla strada che passa sul retro dell’istituto. Il vialetto viene usato dalla gente del posto per scorciare la strada verso il centro della cittadina. Alcuni di loro si fermano incuriositi, la scusa è buona per domandare in che rapporto sono con gli ospiti dell’Internat. Una signora dai tratti gentili, in braccio la spesa appena fatta, mi dice che spesso gli abitanti della zona invitano i ragazzi a pranzo e quando vanno a fare dei picnic durante il fine settimana spesso li portano con loro. Lo dice come se fosse una cosa del tutto naturale. Dal cortile si accede ad una piccola struttura indipendente dove i ragazzi più grandi realizzano piccoli lavori di falegnameria e scolpiscono il legno. Anche in questo caso tutto è ben tenuto e curato. Se i responsabili dell’Internat si aspettavano una visita a sorpresa da parte di qualcuno debbo dire che hanno fatto proprio un buon lavoro, ma non credo che sia così. E’ arrivato il momento dei saluti e il direttore ha una richiesta da fare: «Le chiedo solo di raccontare agli italiani la verità, quello che ha visto, l’aria che si respira e le sensazioni che esprimono i nostri ragazzi e i nostri ambienti». Spero di averlo fatto al meglio. Di sicuro, da quello che ho potuto osservare, non ci sono scheletri negli armadi dell’Internat di Veleika. La verità ce la potrà raccontare solo la piccola Maria.

Simone Stefanelli
Fonte:
http://www.progettohumus.it
Link:
http://www.progettohumus.it/bielorussia.php?name=internat
Settembre 2006

Per vedere le foto andate nel link