Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il canto magico in Abruzzo

Il canto magico in Abruzzo

di Antonello Colimberti - 27/10/2005

Fonte: colimberti@katamail.com

1. Premessa

Le note che seguono sono frammenti di una ricerca di più ampio respiro. Tali note non costituiscono a nessun titolo il risultato, sia pure parziale, della ricerca stessa, quanto delle ipotesi in attesa di verifica. Per questo non forniremo alcuna bibliografia, se non accidentalmente nel corso dell’esposizione. Unica eccezione: l’amabile saggio del prof. Alicandri-Ciufelli (che ci onorò anche di una lunga conversazione sul tema), dal titolo La magia in Ovidio, apparso sulla rivista “Dimensioni”, n. 4-5 del settembre-ottobre 1957.Confessiamo di aver attinto ad esso a piene mani. L’autore inoltre desidera ringraziare il dott. Adamo della Discoteca di Stato che, avendo ascoltato una prima formulazione di queste note nel corso del Convegno di Castel del Monte (L’Aquila) il 15 luglio 1995, lo ha messo in guardia sul piano della “scientificità” di dette tesi.

 

2. Ovidio

Due sono le fonti letterarie cui vogliamo fare riferimento per la nostra esposizione: Ovidio e Virgilio. Intorno ad Ovidio esiste tutta una tradizione che fa di lui un grande mago, iniziato presso i boschi di Angizia. Angizia era una città sul lago Fucino, centro religioso del popolo dei Marsi, che, assieme ai Peligni, furono i detentori della cultura magica in Abruzzo. Su tale cultura abbondano i riferimenti nella letteratura latina: qui ne selezioniamo solo gli aspetti che c’interessano in relazione al canto. Angizia, oltre che centro magico, è il nome della principale divinità dei Marsi, e con Circe e Medea costituisce la triade di quelle che Kerényi ha chiamato in un suo splendido volume “le figlie del sole”; un figlio di Circe, Marso, avrebbe dato origine ai Marsi, le cui origini si perderebbero così nell’Asia, dal Caucaso su verso l’Asia Centrale. Torneremo sull’importanza dell’Asia Centrale per il nostro assunto al termine delle note. Ovidio, dunque, compie la propria iniziazione nel nome di Angizia, cioè nel nome di una tradizione magica femminile. Quanto tale tipo di iniziazione possa aver contato in seguito per i caratteri stessi della lirica amorosa ovidiana, nonché per il suo stesso pensiero, potrebbe essere fatto oggetto specifico di studi. Per il nostro assunto ci basta dire che le donne, come maghe e streghe, sono per Ovidio portatrici dell’alterità, l’apertura rispetto all’ordine dato del mondo. Esse “stridono di notte orrendamente” e da vecchie “si trasformano in volatili per nenie marsiche”. Continuando a selezionare gli aspetti sonori che ci interessano, le maghe cantano nenie dal “murmure longo”, emettono “mugolii”, possiedono formule stregate (hecateia carmina), ma anche la parola medicamentosa (carmen auxiliare), i loro canti magici possono addirittura “far scomparire all’istante la luna sanguinante, scoppiare le ghiandole velenose nelle fauci della vipera, scorrere fiumi controcorrente, scendere la notte sulla terra”. Nessuna meraviglia, secondo Ovidio, se si possiede la magia della parola: “infatti, che cosa è impossibile ad un carme magico?”.

 

 

3. Virgilio

Anche in Virgilio troviamo elementi utili per la nostra indagine, per lo più estrapolazioni di altrettanti studi sui rapporti tra Virgilio e la tradizione magica. Un primo elemento interessante è nell’episodio della trasformazione di uomini in bestie ad opera di Circe: se nell’Eneide si dice che ciò avviene grazie a “erbe potenti”, nelle Bucoliche ciò avviene grazie al canto. L’altro episodio di cui conviene fare menzione è quello della rassegna dei guerrieri contenuto nell’Eneide, laddove si nomina un sacerdote di stirpe marruvia (i Marruvi erano una gens fra le componenti dell’ethnos marso) che addormenta i serpenti (pratica del resto tradizionalmente attribuita ai Marsi) e li doma con formule (cantus), oltre che con massaggi (manus), ma né formule né massaggi né erbe lo soccorrono quando viene ferito.

 

 

4. L’ipotesi

Il mondo antico romano che abbiamo considerato conosceva dunque un canto magico con le caratteristiche di quella che nel nostro secolo Gurdjeff avrebbe chiamato “musica oggettiva”, cioè un suono capace di agire sul complesso psichico e corporeo dell’uomo, nonché sulla materia stessa del cosmo. I riferimenti letterari nonché mitologici (Orfeo, ecc.), sono innumerevoli, eppure continuano a sfuggirci le pratiche sonore che pur dovettero esistere. Per restare al nostro tema, come doveva suonare una nenia dal “murmure longo”? Che cosa erano i “mugolii”? Se si continua a pensare in termini di musica o sia pure di stili di canto, difficilmente se ne viene a capo. Ancor peggio se si pensa alla “parola”, date le connotazioni verso il “significato” che tale termine ha assunto da lunga data. Piuttosto si potrebbe pensare a qualcosa di affine alle cosiddette “tecniche vocali estese” che, diffuse in molti luoghi e in molte epoche, sono state da qualche decennio riscoperte e soprattutto praticate anche in Occidente. Di tali tecniche fanno parte tanto il canto difonico quanto la pratica del canto multifonico. Tali modalità d’uso della voce sono effettivamente descrivibili nei termini di “murmure longo” e “mugolii”. Quanto alla loro origine e primitiva diffusione, ambedue le modalità sono ampiamente riscontrabili nelle aree siberiano-mongole e mongolo-tibetane. Ora, un legame tra Marsi e Peligni da una parte e popolazioni del Caucaso dall’altro lo abbiamo già citato (è il riferimento mitologico alle “figlie del sole”), ma dal Caucaso come risalire all’Asia Centrale? Arditezza per arditezza anche questo salto è ipotizzabile: il luogo “culturale”, prima ancora che geografico, può essere individuato nelle origini degli indoeuropei, quando qualche millennio di anni fa correnti nomadi di uomini e animali si mossero dall’Asia Centrale verso ogni direzione, portando con sé una cultura orale, di cui il canto e la poesia erano il fondamento, una cultura abituata a misurarsi con grandi distese di terra, steppa o deserto. Gli Sciti hanno incornato nella storia e poi nel nostro immaginario tale stile di vita: guerrieri indomabili (come in seguito i Marsi), ma privi di strutture assimilabili all’idea di Stato, così come privi di esercito in senso proprio (il guerriero, si badi, non è il soldato “autorizzato”), inoltre maghi e medici, anzi maghi-medici con profonde conoscenze nel campo delle erbe e degli incanti. I Marsi stanno forse ai Romani come gli Sciti stanno ai Greci?

 

“Voi siete milioni; noi nugoli, e nugoli e nugoli

provatevi a combattere con noi!

Sì, gli Sciti siamo!

Noi siamo gli asiatici

Dagli occhi guerci e cupidi!

 

Per voi i secoli, per noi una sola ora,

noi, come servi obbedienti,

facemmo da scudo fra due razze ostili-

i mongoli e l’Europa.”

 

(da Gli Sciti di Aleksandr Blok)