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Finanza apolide

di Marco Lorelli - 03/10/2006



Il felice termine turbocapitalismo è stato coniato dall’americano Edoardo Luttwak con l’intento di indicare il tipo di terribile evoluzione che in cui s’è evoluto il vecchio liberismo, il quale - specie dopo il crollo del muro di Berlino - essendo senza più freni, non dovendo più stare attento ai paesi del socialismo reale e agli altri a essi collegati, ha potuto scatenarsi per realizzare la sua più grossa accelerazione, dalla creazione della società industriale.
Da allora, infatti, l’alta finanza è diventata ancora più apolide, più spregiudicata, più aggressiva, più potente e quindi decisamente più assassina di prima.
Questo nuovo e moderno tipo di capitalismo è solo il mostruoso figlio di quello precedente, ossia ne è il suo logico proseguimento e come tale non ha un artefice teorico, come contrariamente c’è l’ha il socialismo di Marx.
Questo nuovo fenomeno turbo capitalista rappresenta - quindi - un effetto non già una causa, e poiché non è figlio di un programma, ma di una serie di aggiustamenti effettuati di volta in volta rispetto alla realtà, si va affermando con la propria forza monetaria, con la quale riesce a inventare e a far digerire la propria metafisica o pseudofilosofia di massa.
Il capitalismo dopo essere nato nell’impresa si è oggi ulteriormente sviluppato e ingigantito nella realtà finanziaria, diventando per molti popoli il frutto avvelenato di un processo anonimo, generatosi dalle vicende di una realtà troppo devota all’istinto mercantile, la quale persegue - con istinto allucinatorio - soltanto e unicamente il profitto per pochi.
Tutto ciò alla fine ha conglomerato e sostituito ogni sistema che in antecedenza si era escogitato, mentre oggi il potere plutocratico si appresta ad attuare un’ulteriore salto di qualità.
Al fine di ingigantire ancora di più il profitto, attraverso fusioni di banche in quelle più grandi, di aziende in altre multinazionali, sta diventando globalizzante.
In questa operazione riesce facilmente a trovare un fertile terreno perché, a livello intellettuale, la maggioranza - ignara dei propri interessi - lo ritiene ormai l’unica via perseguibile.
Non possiamo ignorare - infatti - che il potere è inevitabilmente creatore di mentalità e nel caso del turbocapitalismo mira chiaramente all’egemonia planetaria.
Davanti alla sua affermazione -quasi universalmente accettata - si è assistito all’estinzione d’ogni progetto alternativo (Tra questi, purtroppo, anche quello della socializzazione), divenendo l’unico credo seguito.
La società turbocapitalista ha saputo solamente generare una classe dominante, la quale - a differenza di quella della fine XIX secolo, inizio XX - si caratterizza per la sua parassitarietà, dal momento che essa tende quasi esclusivamente all’arricchimento tramite la sola finanza azionaria.
Un imprenditore puro, infatti, per quanti difetti possa avere e pur appartenendo alla cosiddetta “razza padrona”, quantomeno riesce, nella propria impresa, a creare prodotti di consumo che servono per soddisfare i bisogni di chi li acquista ma soprattutto da lavoro alla maestranze e ai suoi impiegati.
I finanzieri, invece non producono nulla né tanto meno danno lavoro ad alcuno, se escludiamo quelle ristrettissime cerchie di proconsoli broker collegati direttamente con il proprio ufficio, riuscendo ad arricchirsi tramite il passaggio di pacchetti azionari.
Similmente alle banche essi ricavano denaro dallo scambio di pezzi di carta, poiché le azioni possono essere inquadrate anche sotto quest’ottica, sono banconote emesse dall’impresa, e come la banconota degli Stati dovrebbe rappresentare il possesso di una quantità aurifera corrispondente, depositata nei forzieri delle banche centrali, così allo stesso modo le azioni dovrebbero rappresentare il possesso di un’aliquota proprietaria di quella impresa, dando diritto all’introito degli utili (quando ci sono).
Ma oltre a ciò vi è da aggiungere che spesso, all’interno delle borse mondiali, avvengono delle vere e proprie frodi che la finanza internazionale unitamente alle imprese quotate, effettuano al fine di gonfiare un titolo, per poi venderlo con grande guadagno al momento giusto o deprimerlo per poi comprarlo a un quinto o un decimo del valore iniziale.
Questi squali economici hanno l’abilità di riuscire a tenere blindate e quindi celate - agli occhi dei più - queste operazioni speculative e bolle finanziarie fittiziamente provocate, che non possono evitare di indebolire i poveri se si vuole fare in modo di gonfiare il portafogli di chi è già ricco.
È noto che Bush junior, quando era a capo di alcune società petrolifere texane, dichiarava profitti gonfiati proprio al fine di far lievitare i titoli per rivenderli, comportandosi esattamente come la società produttrice di corrente elettrica “Enron” ovvero come molte altre compagnie tecnologiche appartenenti alla generazione della new economy.
Tale degenerazione dell’economia finanziaria non va attribuita alla spregiudicatezza di pochi finanzieri senza scrupoli, ma è lo stesso modello liberista che impone tale comportamento.
Se da più parti non si fa altro che invocare trasparenza nei mercati finanziari, è soltanto perché talvolta queste sperequazioni economiche emergono proprio a causa dell’esplosione di quelle grosse bolle speculative, le cui operazioni antecedenti di acquisizione azionaria mirata a gonfiare il titolo erano state tenute celate.
Quando la bolla si sgonfia si genera sempre un grosso e diffuso malumore da parte degli azionisti buggerati che generalmente sono quelli piccoli.
Quelli più grossi, essendo importanti per le alte sfere politiche o industriali, in qualche modo ottengono di essere risarciti, sia tramite denaro o spesso a mezzo di nuove opportunità affaristico-imprenditoriali.
In realtà tutti questi inviti alla chiarezza sono, e sempre saranno, destinati a rimanere lettera morta, poiché il mercato azionario è un mercato umorale che si basa sulla credibilità dei titoli i quali si gonfiano e si sgonfiano in base alla fiducia o alla sfiducia da essi rappresentata, che a sua volta deriva dal maggiore o minore reperimento dei titoli, non a caso creato o diminuito ad arte.
La purezza adamantina delle operazioni, pertanto, si rivelerebbe nociva per i grossi predatori che vivono e si nutrono in questo mare, poiché detta trasparenza ucciderebbe le loro speculazioni, difatti se le operazioni borsistiche fossero ben visibili, tutti s’accorgerebbero all’istante dove si trovano, ma soprattutto dove non si trovano le possibilità di profitto.
In un ipotetico mercato finanziario dalla natura trasparente, la concorrenza si moltiplicherebbe a dismisura diventando certamente più agguerrita; di conseguenza, essendoci un maggiore numero di operatori, i profitti si ridurrebbero ai minimi termini, poiché ognuno saprebbe cosa starebbero per fare gli altri e quindi prenderebbe le opportune contromisure e tra queste la più semplice e la più diffusa sarebbe quella di non investire.
In economia esiste un fattore inversamente proporzionale alla ricchezza, vale a dire che tanto più s’accresce la libera concorrenza tanto più l’area dei beneficiati dal mercato si restringe anziché espandersi, fino a diventare poco appetibile per i rapaci locali ma soprattutto internazionali.
Quando si sente parlare di bolle speculative, molti credono che si tratti di un caso isolato, magari del classico operatore solitario (outsider) che avendo fatto tanti soldi con le imprese industriali è entrato in borsa avendo ricevuto delle ottime informazioni e ora sta speculandoci sopra, per poi sparire una volta raggiunto il bottino.
No non può essere così poiché una cosa simile nessuno potrebbe farla da solo. Sarebbe puerile il ritenere che tali operazioni siano solo dei fulmini a ciel sereno.
Al contrario, come l’atmosfera di Venere produce un continuo brillare di milioni di fulmini, allo stesso modo la borsa è un continuo scintillare di speculazioni, fatte e coordinate da finanzieri professionisti collegati fra di loro e non certo da uno o pochi altri lupi solitari.
Costoro da soli non sarebbero mai riusciti a creare una distorsione dei titoli per guadagnarci solo in quel momento, ma - ovviamente - si sarebbero scontrati con altri T. Rex economici ed alla fine nessuno avrebbe realizzato degli ingenti guadagni.
Se il mercato finanziario si espande in questo modo esponenziale, lo si deve soltanto perché continua a nutrirsi proprio di quelle aberrazioni speculative che vengono prodotte al suo interno, diversamente la crescita sarebbe più lenta e i profitti inevitabilmente sarebbero più piccoli per tutti.
È questo il motivo per il quale gli eldorado, profetizzati come un miraggio dai prodotti tecnologici, sono stati scientemente gonfiati e poi dolosamente dissolti, grazie a manovre speculative tutte interne alla borsa.
Le false comunicazioni sociali, o le fittizie acquisizioni di pacchetti azionari di ditte decotte o nate da poco, sono paragonabili a ciò che fu il revolver per il pistolero quando assaltava una banca o la diligenza.
Queste operazioni servono solo a trasferire denaro dalle tasche dei piccoli investitori a quelle dei grandi finanzieri, ed il tutto avviene in un modo apparentemente legale.
L’arrembaggio finanziario è diventato più palese del solito quando negli anni 80 si accorsero che il cittadino medio era un risparmiatore ed affidava le proprie risorse, non al mercato, come costoro avrebbero voluto, ma ai tranquilli e remunerativi titoli di stato, o quando il cittadino medio preferiva investire in fabbricati.
Allora il cartello internazionale dei finanzieri si è adoperato per costringerci a dirigersi verso la borsa, col fine palese di liberare le piccole risorse di ognuno; costituite dall’accumulazione dei risparmi.
Fu così che spinsero i governi a licenziare leggi che obbligasse il risparmiatore medio a tentare un guadagno in borsa, diminuendo od annullando l’appetibilità dei vecchi metodi, che vennero direttamente scoraggiati tramite la riduzione dei tassi sui BOT, sui depositi bancari, o l’imposizione di rendite da capitale, a seconda delle nazioni interessate.
Ma le vie della speculazione sono infinite e per evitare che i cittadini investissero nel bene stabile del mattone, negli anno ‘90 si è fatto in modo da scoraggiarli rendendo il possesso delle unità immobiliari non convenienti tramite l’istituzione di tasse che qui in Italia si chiamano: Imposta di Registro, ICI, TASCO, aumento delle bollette per le seconde case, alle quali devono aggiungersi le spese condominiali e di riscaldamento.
Tutto ciò ha provocato un vero e proprio esproprio occulto.
In quegli stessi anni ‘90 il settore edile ha dovuto subire il colpo di grazia di veder comprimere le valutazioni degli immobili fino ad in terzo del proprio valore iniziale; un fenomeno iniziato anch’esso oltre Atlantico con le chiare fattezze dell’ennesima bolla speculativa.
Cosicché il possessore messo alle corde, veniva contemporaneamente esortato dagli impiegati delle rispettive banche a investire in titoli azionari bilanciati, sicuri, blindati, che avevano avuto alti tassi fino a quel momento ed erano ancora in espansione
Così coccolato ed esortato il cittadino medio ha pensato di proteggere i suoi sudati risparmi andando a... investire in borsa comprando titoli azionari, con i quali è come se fosse andato a mettere la testa nella bocca di un leone affamato.
La storia segue - a questo punto - un copione già collaudato.
Come i pokeristi di professione che fanno vincere le prime mani agli ospiti l’inizio dell’investimento sembrò profilarsi proficuo, perché il titolo acquistato in un primo momento sembrò lievitare, in realtà era sospinto dalla speculazione che stava ancora continuando a rastrellare denaro.
Così incoraggiato il cittadino investitore pensa magari di poterci guadagnare qualcosa e investe di nuovo, magari su altri titoli anch’essi in crescita, ma di lì a pochi mesi scoprirà di non riuscire neppure a proteggersi dall’inflazione; specie da quella europea.
Tramite un’altra bolla speculativa, i titoli azionari cominciano fittiziamente a scendere dopo aver opportunamente disinvestito, sicché il povero cittadino per evitare di rimetterci di più vende spostando il capitale rimasto in altri titoli e così ha ceduto ad altri la differenza del proprio valore iniziale investito.
A quel punto gli restano solo due strade, o ritirare tutto per investire in beni utili, palpabili ma veri, ma consolidando una perdita, oppure deve restare fermo aspettando e sperando che il titolo ricresca, il che succederà dopo diversi anni. Nella migliore e nella più fortunata delle ipotesi si riprenderà il suo denaro o quasi, che a distanza di un tempo lungo si è svalutato oppure, se è andata bene, con un margine minimo di guadagno corrispondente sempre a un introito inferiore alla percentuale determinata dall’inflazione.
Quel famigerato tasso costituisce l’asse portante intorno al quale ruota tutta la speculazione bancaria. È il suo credo, senza questo spauracchio la macchina finanziaria di rastrellamento denaro s’incepperebbe.
È in quel margine che gli squali economici traggono il loro utile.
Il tuo denaro nelle loro tasche, che ti piaccia o no, che tu stia fermo o meno!
In tutte e due i casi sei stato rapinato.
In Italia il fenomeno, con l’arrivo dell’euro, ha raggiunto vette dai tragedia, dato che in questi anni il cittadino ha visto il proprio potere d’acquisto più che dimezzato, perché penalizzato da una svalutazione vicina al 50% causata dall’aumento dei prezzi al consumo uguale od in molti casi superiore al 100%.
Dietro l’angolo, infatti, c’era sempre il famelico tirannosauro dell’alta finanza che aspetta tutti al varco.
Ma il turbocapitalismo, non pago delle sue bolle speculative, dei titoli gonfiati o sgonfiati ad arte, della scomparsa di apparenti giganti imprenditoriali dall’oggi al domani, si è organizzato e ormai usa anche altre armi.
Sono armi dalla natura multinazionale o planetaria come il WTO, il FMI, la Banca Mondiale e altri “simpatici” organismi, coadiuvati in ambito locale dalle famose agenzie di rating le quali “consigliano” sia i politici quanto l’alta dirigenza dei vari stati sul come si deve fare per raddrizzare la barca.
In questo modo si indirizzano le scelte mirate a liberarsi dei gioielli di famiglia, che fino a ieri erano considerati servizi erogati dagli Stati ed oggi sono visti - dalla idrovora finanziaria - come un affare su cui mettere le mani.
Il FMI, questo ente di strozzinaggio planetario, da anni è riuscito ad imporre - ai vari governi nazionali - di “rettificare” le rispettive legislazioni; molte delle quali sono state orientate –com’è avvenuto per quella italiana- verso il restringimento della spesa pubblica e sociale, con la complicità di politici assolutamente privi di senso dello Stato i quali, siano essi di sinistra o di destra, volentieri si sono genuflessi attuando una politica d’accesso ai privati.
Questo ritiro è stato perseguito e ottenuto anzitutto tramite un programmato sfacelo della macchina statale attuato tramite la disarticolazione e demolizione dei servizi stessi, i quali sono stati fatti collassare scientemente, utilizzando la stesura di norme assurde od in contraddizione con altre al fine di ottenere l’inefficienza di questi o di bloccarsi a vicenda, per tale motivo abbiamo assistito alla creazione di disservizi, alla chiusura di presidi, alla riduzione della presenza di impiegati e funzionari, ai tempi di attesa divenuti epocali per ottenere il servizio richiesto, tutte cose che - alla fine - hanno impedito al cittadino di poterne usufruire.
Il fine è palese per chiunque. Si cerca d’indirizzaredetti cittadini fruitori dei relativi servizi proprio verso quei privati che lentamente ma inesorabilmente intendono e riusciranno completamente a sostituirsi agli enti pubblici, non dimenticando che molti di questi cosiddetti “privati” altro non sono se non quelle stesse multinazionali che tramite gli organismi internazionali e le già nominate agenzie di rating si permettono l’impudenza di rimproverare quei governi che erogano servizi ai cittadini.
Per poter giustificare siffatte operazioni, salvando la faccia, ci sarà poi qualche “brillante” e prezzolata testa d’uovo che saprà dimostrare dagli schermi del medium pubblico, col suo linguaggio forbito e dalla supponenza indiscutibile, la necessità di privatizzare perché lo Stato non ha l’obbligo di erogare quei servizi e non ne ha le capacità professionali.
Resta da capire a cosa servono gli Stati se non devono più erogare servizi.
La loro scomparsa non già sul piano giuridico (che non avverrà mai), ma sul piano pratico ed oggettivo, starebbe a significare che sono le ditte, le imprese, le industrie, le company, le corporation ad essere diventati i veri stati del XXI secolo.
La privatizzazione imposta coinvolge interi settori strategici e con la globalizzazione, si planetarizza anche il potere di coercizione dell’impresa e di un solo stato dominante, il quale come uno scherano indirizza gli altri stati amici minori ad attuare una univocità di comportamenti in politica economica ed estera.
Non vedete che il terrorismo dilaga e va combattuto? Si dice. È necessario che tutti gli stati uniformino i propri sistemi e facciano un fronte unico. Si sostiene. Bisogna che tutti si uniformino al fine di non essere sommersi dalle manovre criminali degli Stati “canaglia”. Si afferma.
Ne consegue che una determinata Nazione viene sollecitata (e quindi ricattata tramite la minaccia delle sanzioni) non più da un altro Stato solamente ma da tanti altri, e alla fine questa si vede costretta a dover rinunciare alle proprie risorse, mentre per i politici vendipatria ci sarà sempre un pò di becchime a consolarli.
A questo punto uno Stato, avendo rinunciato a un pezzo importante della propria industria, non potrà che veder aumentare, gioco forza, il proprio indebitamento per il mantenimento dei servizi rimanenti.
Grazie a questo ulteriore accrescimento del disavanzo - al pari di un gatto che si morde la coda - sarà facile dimostrare che bisognerà tagliare ancora di più per ridurre l’indebitamento, nonché privatizzare ancora altri settori.
Gli strumenti per ottenere - dagli Stati- le privatizzazioni, o la dismissione di industrie strategiche sono diversi.
Sta qui la furbizia, ossia nel riuscire a fare sembrare che non è solo un organismo internazionale a chiederlo, mo lo chiedono tutti gli organismi e tutte le altre nazioni che si sono allineate al dest riga, badando bene di nascondere il fatto che ognuna di quelle entità è legata a una sola dominante.
L’altra tenaglia che contribuisce a strangolare gli Stati è rappresentata dall’ennesimo organismo internazionale ossia il nefasto WTO, il quale con la scusa di proteggere il libero commercio tra stati e stati, è riuscito a penalizzare tutti quelle nazioni che non hanno abbattuto legislazioni protezionistiche, poiché - secondo i dettami di questo killer - impediscono la libera circolazione delle merci e la libera concorrenza.
Il WTO si adopera quindi per imporre - molto spesso - un embargo verso di esse obbligando le nazioni a non negoziare con quella sotto scacco, a non comprargli i prodotti, con l’obiettivo di comprimere ancora di più le economie locali rendendo quegli Stati ancora più dipendenti dall’occidente e dagli USA in particolari e quindi ancora più ricattabili.
A riprova di tutto quanto vi è - a confermarlo - il comportamento del governo di Tony Blair, il quale pur essendo il leader del New Labour Party (un partito giudicato di sinistra), si è comportato come u Robin Hood al rovescio.
Innanzi tutto ha permesso alle multinazionali straniere, ossia quelle USA in particolare, di portarsi via marchi blasonati dell’industria nazionale, in ottemperanza ai dettami globalisti, come si diceva prima, senza che in Inghilterra ci fosse qualcuno che osasse belare il proprio dissenso.
Il tutto avviene con il sempiterno corollario di restrizione d’organico, di spacchettamenti e di cessioni, che anche nella prodiana Italia siamo abituati a vedere.
La Roll Royce con la mini minor sono state vendute alla tedesca BMW, mentre gli americani si sono accaparrati Jaguar, Bentley, Aston Martin, Land Rover, mentre per la MG Rover sono addirittura arrivati i… i cinesi!
In quanto ai pesci grossi, beh quelli cascano sempre in piedi...
Nelle nazioni che hanno accettato il diktat liberista i ricchi diventano sempre più ricchi, perché protetti da legislazioni opportune che vengono serenamente accettate dal gigante dominante; ed in questo il Regno Unito non fa eccezione.
I grandi ricchi creatisi durante l’era thatcheriana non sono stati affatto disturbati dal partito di Blair, il quale non appena ha formato il proprio governo, non si è fatto scrupolo di imbarcare nel proprio estabilishment David Simon che fu il capo della BP (come Bush ha fatto con Donald Rumsfeld. È un caso?) ed oltre a questi Blair ha imbarcato anche David Sainsbury padrone della omonima catena di super mercati.
La rivista britannica “New Stateman” ha valutato che durante il suo gabinetto coloro che erano già ricchi sono diventati super ricchi, grazie ad una legislazione che ha dispensato i cittadini britannici dal pagare le tasse nel caso in cui dovessero risiedere nel regno unito per meno di 90 giorni all’anno.
Il risultato raggiunto è stato che oggi l’1% dei cittadini inglesi si gode una ricchezza nazionale di 798 miliardi di sterline, corrispondenti a quasi 1.200 miliardi di euro, che tradotto in lire significa qualcosa come 2 milioni e 370 mila miliardi.
Il primo ministro britannico, che da noi è così tanto lodato ed ammirato sia dalla destra che dalla sinistra, ha fatto di tutto per non spaventare il grande capitale, al punto che Gordon Brown nella qualità di Cancelliere dello Scacchiere (ovvero ministro dell’Economia n.d.a.) ha seguito una politica assolutamente indistinguibile da quella della signora Thatcher, dato che il totale della spesa pubblica è sceso dal 40,6% al 36%.
Tutto ciò significa che senza quella parte di benefici sociali, sopravvissuti allo tsunami liberista scatenato negli ultimi 20 anni, il 30% degli inglesi vivrebbe in povertà, mentre la percentuale attuale è del 14,6.
Una riduzione del disagio a meno della metà non è tutto, ma sicuramente non è neanche poco.
Il ministro Brown ha reso noto che essendo il prossimo candidato del New Labour Party (poiché Blair non può più ricandidarsi per legge) per le elezioni del 2009, se verrà eletto intende proseguire per la stessa strada intrapresa da Blair spostando il New Labour verso una posizione Wigh.
Intanto anche in Italia si continua acriticamente con l’espropriare i cittadini dai propri diritti, convincendoli con l’ipnotizzatore catodico e con gli altri media che i loro diritti sono dei privilegi, come le pensioni, la liquidazione ed il servizio sanitario, come sostiene il dr. Paolo Pombeni nel messaggero dell’8 settembre 2006, mentre Paolo Savona che in fatto di economia non è certo l’ultimo arrivato, sullo stesso giornale scrive: “L’eredità spirituale lasciataci da Blair ai leader del mondo, od aspiranti tali, sta nel fatto che nella moderna competizione non ci sono svolte né ritorni, ma regole abbastanza uguali per tutti, le quali richiedono un costante impegno della leadership, al fine di ottenere che queste vengano rispettate. In materia di politica economica sono ammessi mutamenti di rotta solo se ci si trova fuori rotta (ossia fuori dai dettami del liberismo n.d.a.), altrimenti la strada è già tracciata e la soluzione consiste nel trovare i mezzi per procedere un passo alla volta”.
Avete capito?
L’elettore entra in cabina elettorale non per cambiare musica, ma solo per cambiare il direttore d’orchestra, il che dà l’immagine precisa di quanto ormai destra e sinistra, Labour o Tory, Repubblican o Democratic, siano solo dei gusci che contengono lo stesso identico pulcino.
Il turboliberismo a tutti i costi.
L’unica differenza qui da noi, consiste nel fatto che quando in un primo momento si privatizza, si fa finta di far rimanere quell’industria o quel settore in mano italiana, dopo pochi anni poi il cittadino sarà costretto ad accorgersi che è stata ceduta a multinazionali straniere, senza alcun clamore sui giornali, radio e telegiornali.
La compagnia telefonica Wind è ormai egiziana, sebbene non sia una società vecchia e proviene da una costola dell’ENEL, Infostrada ed Omnitel sono della inglese Vodafone, Fiat Savigliano è della CGE francese e così via.
Gli investitori medi hanno informazioni privilegiate, mentre quelli i grandi deformano direttamente il mercato con le loro operazioni, sapendo già quanto andranno a guadagnarci.
Una volta che sia stato indennizzato il soggetto che apparentemente ha figurato di voler privatizzare italiano, si fa figurare un bilancio in rosso, utilizzando soprattutto la scusa che il costo per il personale è esorbitante e in questo modo viene creato l’alibi per la cessione.
Ormai si è creata una massoneria economica planetaria con la quale sarà difficile poter venire a patti o a qualche accordo, come si può assistere allo assottigliamento della classe media che in ogni nazione si sta verificando.
Il sogno di un grande capitalista è (e non può essere altro) il trasferimento del denaro altrui nelle proprie tasche, compreso - anzi a cominciare - da quello vostro s’intende.
Peccato che l’uomo comune stenta a rendersene conto, sospinto dalla speranza che qualcosa prima o poi cambierà, o che comunque lui - come soggetto singolo - se la caverà.
È su questo concetto individualista che il globalismo liberista riposa con la più grande serenità.
Tanto chi la farà mai una rivoluzione se ognuno aspetta che la facciano altri per lui?