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Medico Usa confessa l'orrore di Hamdania

di Fausto Della Porta - 08/10/2006

 
Civile ucciso dai marines e travestito da terrorista Rice dai kurdi per convicerli a spartire i soldi del petrolio

Lo hanno preso a casa, lo hanno ucciso e, per giustificare l'assassinio, gli hanno messo accanto un fucile Ak47 e un badile. Volevano far credere che fosse un pericoloso terrorista, pronto a mettere una bomba sulla strada per colpire una pattuglia di truppe americane di passaggio. L'ultimo scandalo che sommerge il comportamento dell'esercito Usa è emerso ieri grazie alla testimonianza del medico Melson Bacos, che ha ammesso di aver partecipato all'operazione che è costata la vita al 52enne iracheno Ibrahim Awad, ma ha detto di non aver partecipato direttamente all'omicidio.
I fatti - avvenuti alla fine dell'aprile scorso nel villaggio di Hamdania, vicino Baghdad - gettano un'ombra inquietante sull'operato delle truppe americane. Tanto più che il piccolo agglomerato si trova a poca distanza dal famigerato carcere di Abu Ghraib, dove decine di detenuti iracheni sono stati sottoposti alle più umilianti torture da parte dei loro aguzzini a stelle e strisce. La testimonianza di Bacos è la prima ammissione da parte dei partecipanti su quanto avvenuto ad Hamdania, un episodio su cui da mesi va avanti un'indagine di una Corte militare americana che, a tutt'oggi, coinvolge sette marines.

È in questo contesto che il segretario di Stato americano Condoleezza Rice ha portato avanti la sua veloce visita irachena, non preannunciata per ragioni di sicurezza. Ieri «Condi» è giunta a Erbil, principale città del Kurdistan iracheno, per dei colloqui con il presidente della regione autonoma kurda Massoud Barzani. Rice era arrivata l'altroieri a Baghdad, dove aveva incontrato il premier Nuri Al Maliki . Nella serata di ieri, il capo della diplomazia statunitense ha poi lasciato l'Iraq per volare a Londra, dove ha preso parte alla riunione dei ministri degli esteri del gruppo del '5+1' (Stati uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania) sul dossier nucleare iraniano.

Tra i nodi affrontati nel colloquio con Barzani, la controversa questione della ripartizione delle risorse petrolifere. Il capo della diplomazia statunitense ha ribadito la necessità di una distribuzione equa delle ricchezze derivanti dallo sfruttamento del petrolio, tentando di convincere i leader kurdi iracheni a sostenere il varo di una legge in tal senso, nell'ambito del progetto del federalismo. «Pensiamo che il petrolio debba essere una risorsa condivisa dall'insieme di tutto il popolo iracheno», ha detto Rice durante la sua visita nella regione autonoma kurda, nell'Iraq nordorientale. «Il nostro punto di vista, che abbiamo esposto agli iracheni, è che il petrolio deve essere un fattore di unificazione e non una risorsa che porti ad un paese meno unito», ha aggiunto il capo della diplomazia americana.

Ma il nodo del petrolio è tutt'altro che facile da sciogliere. I leader kurdi - che gestiscono la parte settentrionale dell'Iraq in un regime di quasi-indipendenza dal 1991, quando gli Stati uniti e la Gran Bretagna imposero le cosiddette «no-fly zones» - hanno assunto il controllo dei ricchi giacimenti petroliferi di Kirkuk dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. Il problema della divisione delle ghiotte rendite petrolifere ha scatenato una grande disputa di carattere etnico e confesionale. Il governo centrale di Baghdad - retto dallo sciita Nuri Al Maliki - vorrebbe avere un ampio controllo dei pozzi di Kirkuk, come avveniva ai tempi di Saddam Hussein. I kurdi, dal canto loro, non vogliono mollare la gallina dalle uova d'oro di cui hanno ottenuto il controllo. «Siamo a favore di una giusta distribuzione attraverso tutto l'Iraq delle rendite petrolifere», ha detto ieri Barzani. Che ha poi però aggiunto: «I kurdi, come tutte le altre nazioni, hanno il diritto all'autodeterminazione».