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Una democrazia di traditori?

di Mario Bozzi Sentieri - 11/02/2018

Una democrazia di traditori?

Fonte: Mario Bozzi Sentieri

Nel lessico della campagna elettorale 2018 proviamo a “sintetizzare”, questa volta, la parola “tradimento”. Il termine  rimbalza spesso nelle interviste ai vari leader di partito , segno che la questione è a  fior di pelle.
Che cosa significa “tradire” ? Quanto e come si tradisce ? E chi tradisce veramente il proprio paese o la propria comunità ? Sono  alcune delle domande che pone Avishai Margalit, nel suo ultimo saggio “Sul tradimento”  (Einaudi).
Il concetto di ciò che significa tradire è costante attraverso i secoli e le culture. Il tradimento mina la fiducia più  solida, dissolve il collante che mantiene unite le nostre relazioni più salde, mettendo in discussione  l'etica: di ciò che dobbiamo alle persone e ai gruppi che ci forniscono un senso di appartenenza.
Per venire al caso italiano, in un tempo in cui la politica sembra percorsa da una bassa tensione valoriale, parlare di “traditori” e “tradimenti” offre allora  l’occasione, al di là di qualsiasi moralismo,   per una riconsiderazione non banale sui temi dell’identità politica, della rappresentanza, del rapporto eletti ed elettori, andando  al cuore del nostro sistema democratico, non a caso in forte crisi.
Dice l’art. 67 della Costituzione italiana:  “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Si stabilisce cioè che i parlamentari eletti sono liberi di esercitare le loro funzioni senza essere obbligati a votare come dice loro il partito con cui sono stati eletti. Tutto normale, nel segno dell’auspicata autonomia degli eletti ? Al contrario.
Il risultato, dati alla mano, è che, da inizio legislatura, secondo uno studio Open Polis, sono stati  566 i cambi di gruppo, portati a termine da 347 parlamentari, il 35,53% degli eletti. Montecitorio ha totalizzato 313 cambi di gruppo, con 207 deputati coinvolti, il 32,86 del totale. Al Senato invece gli spostamenti sono stati 253, con 140 senatori transfughi (il 43,57%).
Di fronte a questo costante spostamento di fronte, come dovrebbe reagire il singolo cittadino-elettore ? Attenersi al testo costituzionale, nel nome della libertà dell’eletto, subendo così  il “cambio di casacca” (il “tradimento” del patto elettorale)  ovvero  chiedere il  rispetto della propria volontà politica, con le conseguenti dimissioni del parlamentare ? 
La questione è evidentemente politica e metapolitica insieme. Per tornare a Avishai Margalit con il tradimento la persone tradita deduce di non essere importante agli occhi del traditore, nonostante la certezza di esserlo stata per tanto tempo, nonostante il “senso di appartenenza” che caratterizza, appunto, ogni rapporto forte. Quando si tradisce, indipendentemente dal tipo di tradimento, si cancellano la storia e la memoria condivise, ci si mostra indifferenti all’altro, si rimette in discussione l’appartenenza comune.
E’ qui il nocciolo della questione italiana: l’indifferenza del sistema parlamentare rispetto all’ “altro” (il cittadino elettore e le sue scelte), l’azzeramento delle storie condivise (i programmi elettorali), l’annullamento di  qualsiasi appartenenza comune (le visioni politiche ed i valori che dovrebbero sostenerle). E’ il senso attuale di una “crisi di sistema” che,  anche attraverso una legge elettorale di taglio verticistico, ha di fatto snaturato ogni corretto rapporto tra eletti ed elettori, permettendo ai  primi di essere  liberi di “tradire” ogni vincolo e lasciando i secondi privi di qualsiasi strumento di controllo-intervento. In sintesi: passata la festa (elettorale) gabbato lo santo (elettore), con i risultati a tutti ben evidenti, naturalmente nel nome della democrazia parlamentare.