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La giustizia dei vincitori. Intervista con il Prof. Danilo Zolo

di a cura di Carlo Gambescia - 26/10/2006

 

1. Il diritto internazionale contemporaneo, ispirandosi all'universalismo dei diritti dell'uomo, che comporta la svalutazione della sovranità degli Stati a favore di un fondamentalismo umanitario individualista, ha riproposto la legittimazione morale delle "guerre umanitarie" imperiali. Tuttavia, gli universalismi del mondo antico e medioevale, pur scontrandosi in ripetute e sanguinose guerre di religione, conobbero anche epoche di fattiva collaborazione e integrazione (in particolare nel medioevo), dando luogo a scambi culturali ed economici che fornirono fondamentali contributi al progresso dell'umanità. Ciò che differenzia il mondo contemporaneo dall'evo antico è l'unicità dell'universalismo fondamentalista esteso a livello planetario rispetto alla pluralità degli universalismi teologici medioevali (cristiano, islamico ed ebraico). Pertanto, poiché l'universalismo dei diritti dell'uomo non produce dialogo ed integrazione tra i popoli, ma solo il dominio politico, economico e militare degli Stati Uniti, tale universalismo non si converte, nei fatti, nel suo contrario, vale a dire, in un particolarismo imperialista globale?
Danilo Zolo. Sono sostanzialmente d'accordo con questa interpretazione. I grandi imperi e le grandi civiltà monoteistiche del passato si sono scontrati anche molto violentemente fra di loro (si pensi se non altro alle Crociate e agli assedi ottomani di Vienna) ma non è mai accaduto che un solo impero o una sola religione monoteistica abbia dominato il pianeta. L'universalismo del potere imperiale e, a Roma, del potere papale, è rimasto assai più una categoria dello spirito che non una effettiva capacità di gestire dall'alto di un centro cosmopolitico il complesso dei popoli civili. La civitas maxima, esaltata in Europa prima dai filosofi cristiani e poi dagli illuministi, è rimasta un'utopia dell'idealismo politico premoderno e moderno. Oggi questa categoria, assieme a quella del bellum justum, sta riassumendo una drammatica attualità. Secondo molti la fase storica del pluralismo e del particolarismo degli Stati nazionali, territoriali e sovrani, che a partire dalla metà del Seicento ha caratterizzato il sistema di Vestfalia, è ormai esaurita e i processi di globalizzazione ci stanno portando irreversibilmente verso l'unificazione non solo culturale ed economica del pianeta, ma anche alla sua unificazione politica. Siamo senza dubbio in presenza di un processo di concentrazione del potere internazionale che non è fuori luogo chiamare imperiale o neoimperiale. E al centro dell'Impero oggi, grazie al loro enorme potere militare - nucleare, anzitutto -, ci sono gli Stati Uniti. All'orizzonte tuttavia stanno emergendo grandi potenze regionali che molto probabilmente renderanno meno sicura nei prossimi decenni la "stabilità egemonica" globale che oggi è garantita dall'egemonia delle potenze atlantiche. La dottrina dell'universalità dei diritti dell'uomo - si pensi fra i molti altri a Michael Ignatieff - è solo la bandiera propagandistica di un progetto di dominio del mondo che niente ha a che fare con i diritti soggettivi, in primis con il diritto alla vita e alle libertà fondamentali delle persone.
2. Secondo la celebre teoria di Carl Schmitt, "Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione". Tale concetto rivela tutta la sua attualità riguardo alla genesi della teoria della guerra globale preventiva: essa infatti trova il suo fondamento nella situazione di emergenza, reale o presunta, in cui verserebbero gli USA e tutto l'Occidente eternamente soggetti alla minaccia del terrorismo globale, alle velleità nucleari degli "Stati canaglia",dal ricatto energetico del Terzo mondo. Tale emergenza globale è forse una chiara manifestazione di una profonda crisi di identità dell'Occidente, derivante dall'incapacità della cultura individualista umanitaria che rivela una vocazione totalitaria anziché democratica, nella misura in cui non riesce a rapportarsi e integrarsi con le altre culture (islamica, confuciana, africana), contraddistinte dal primato dei valori comunitari rispetto all'individualismo liberale? L'aggressività dell'imperialismo occidentale non cela una sua profonda crisi identitaria destinata ad erodere progressivamente le istituzioni della liberaldemocrazia capitalista?
D.Z. In un libro recente Geminello Preterossi ha sostenuto con forza e con ottimi argomenti tesi come queste, che egli ha unificato sotto la formula dell'"Occidente che nega se stesso". E' in questa chiave che Preterossi esprime la sua tesi centrale: oggi siamo in presenza di un processo paradossale che rischia di portarci alla distruzione, proprio in nome degli 'interessi vitali' dell'Occidente, dei valori e della stessa 'legittimità' della cultura politica e giuridica occidentale. L'uso sistematico della forza in palese violazione del diritto internazionale sembra annunciare il tramonto di una civiltà fondata sul diritto e sull'autonomia individuale, sulla tolleranza religiosa, sulla libertà della ricerca, sulla democrazia. E' la faccia potestativa e violenta dell'Occidente - il suo universalismo coloniale e imperiale, il suo delirio di onnipotenza - che prevale su quella relativista, 'garantista' e democratica. Ed è sicuramente merito di Carl Schmitt l'aver tracciato la genesi dell'uso politico globale - atlantico e oceanico - della nozione di Occidente. Quest'uso si afferma a partire dalla proclamazione della 'dottrina Monroe' da parte degli Stati Uniti d'America. Nasce in questo modo un'idea di Occidente che mette in questione le linee eurocentriche della rappresentazione globale del mondo. L'Europa perde il suo primato e la sua centralità e subisce inesorabilmente l'egemonia degli Stati Uniti. Questo processo evolutivo si conclude quando gli Stati Uniti, dopo la fine della guerra fredda e il tramonto dell'esperienza del 'socialismo reale', raggiungono un'assoluta supremazia militare e si erigono a potenza imperiale di dimensioni planetarie. Essi si mostrano in grado di promuovere un radicale mutamento della guerra stessa, che da 'guerra moderna' fra Stati sovrani diviene 'guerra globale' (contro il terrorismo).
3. A seguito delle "guerre preventive" degli Stati Uniti in Kosovo e Iraq, come scrive Antonio Cassese "si sta creando una nuova legittimazione del diritto internazionale dell'uso della forza". Pertanto, il diritto internazionale, anziché essere fonte normativa dell'ordine mondiale, assume una funzione di legittimazione ex nunc della politica imperialista statunitense. L'universalismo dei diritti dell'uomo viene a configurarsi come un preciso instrumentum regni. Constatata dunque nei fatti l'unilateralità delle pretese universalistiche di un diritto internazionale (i processi di Norimberga e Tokio ne sono la prova), fondato sui diritti dell'uomo, e la fragilità delle sue basi teoriche, le istanze universalistiche per la creazione di un ordine mondiale al sopra degli Stati sono da relegarsi definitivamente al regno delle utopie?
D.Z. Le istanze universalistiche di creazione di un ordine globale al di sopra degli Stati nazionali non hanno avuto sinora alcun successo. Già a partire dai primi decenni del secolo scorso, con la fondazione a Ginevra della Società della Nazioni, si è affermata l'idea che fossero necessarie istituzioni internazionali universalistiche, capaci di superare l'anarchia del sistema vestfaliano degli Stati sovrani, anarchia che i trattati e la diplomazia multilaterale del "Concerto d'Europa" non erano riusciti ad attenuare. Ciò comportava il superamento dello jus publicum europaeum e del suo pluralismo e particolarismo. E richiedeva una drastica revisione della nozione di sovranità degli Stati che lasciasse spazio alla costruzione di istituzioni "sovranazionali" e non semplicemente interstatali. Una pace stabile e universale sarebbe stata assicurata solo da un ordinamento giuridico globale, capace di trascendere il particolarismo delle sovranità statali, di accentrare l'uso legittimo della forza nelle mani di un'autorità "sopranazionale" - uno "Stato universale" - non vincolata al rispetto della domestic jurisdiction degli Stati. Carl Schmitt ha sostenuto - ed è una tesi da non sottovalutare - che l'universalismo etico, prima ancora che giuridico, sostenuto dal pensiero internazionalistico di matrice anglosassone - in primis dagli Stati Uniti d'America - ha dato vita a istituzioni internazionali normativamente incoerenti e politicamente inefficaci. Il fallimento o l'impotenza di queste istituzioni ha alla fine legittimato l'uso globale della forza in nome della civiltà o dell'umanità contro nemici marchiati a fuoco come i nuovi barbari o i nuovi infedeli. Alla luce di una nozione moralistica e astratta di ordine mondiale, la guerra moderna si è trasformata, dietro la spinta dell'imperialismo statunitense, in una "guerra globale" legibus soluta. Una volta sconfitti militarmente, i nemici dell'umanità vengono incriminati come barbari aggressori e sottoposti a punizioni esemplari, che ne sanzionano l'indegnità morale e l'esclusione dal mondo civile, al di fuori di ogni trattato di pace o provvedimento di amnistia, e senza alcuna misericordia umanitaria. In una parola, "pirati" da sterminare in nome della giustizia dei vincitori. Guantánamo docet.
4. La dottrina del "bellum iustum" accolta dal fondamentalismo umanitario occidentale può essere oggi considerata una riviviscenza delle concezioni imperiali premoderne di natura teologica?
D.Z. La dottrina della "guerra giusta" è di origini tipicamente imperiali, prodotta da un cristianesimo che a partire dal terzo secolo dopo Cristo si identifica sempre più con l'Impero romano, ne diventa l'ideologia. Si pensi, per tutti, ad Agostino di Tagaste. Oggi "giusta" è la guerra unilaterale delle forze del bene - secondo la retorica elementare di George Bush jr. - contro the axis of evil, l''asse del male'. E' la 'guerra umanitaria' contro i nemici dell'umanità che negano l'universalità di valori come la libertà, la democrazia, i diritti dell'uomo e, naturalmente, l'economia di mercato. L'uso della forza viene moralmente e religiosamente giustificato in nome di una sorta di fondamentalismo umanitario che enfatizza il dovere dei paesi occidentali di tutelare i diritti dell'uomo in ogni angolo della terra, intervenendo se necessario con la forza delle armi. All'universalismo normativo dei diritti dell'uomo deve corrispondere l'universalismo della loro protezione militare, come ha recentemente sostenuto Michael Ignatieff. Si tratta di una giustificazione della guerra che appare regressiva rispetto all'intero impianto del diritto internazionale moderno, nel momento stesso in cui vengono riproposte 'giuste cause' dell'uso della forza internazionale, esattamente come faceva la dottrina cattolica e imperiale del bellum justum. Ed è significativo che questa dottrina sia stata ripresa negli ultimi decenni del Novecento esclusivamente da autori statunitensi, in primis dal filosofo e militante sionista Michael Walzer, nel libro, di grande successo, Just and Unjust Wars. Walzer si è distinto per aver scritto e diffuso assieme a sessanta eminenti intellettuali statunitensi un documento, altamente intonato sul piano etico-teologico, in cui si proclama "guerra giusta" la guerra dichiarata dall'amministrazione Bush contro il terrorismo globale. Ed è altrettanto significativo che nel suo libro Walzer sostenga che in casi di supreme emergency, quando ci si trovi di fronte a un pericolo "inusuale e orrendo" per il quale si provi una profonda ripugnanza morale perché rappresenta l'"incarnazione del male nel mondo" e "una minaccia radicale ai valori umani", nessun limite di carattere etico e giuridico può essere rispettato da parte di chi ne sia minacciato. Qualunque mezzo di distruzione preventiva, anche il più terroristico e sanguinario, è moralmente lecito. Universalismo imperiale, dottrina cattolica della 'guerra giusta' e mistica biblica della 'guerra santa' si sposano qui in una concezione discriminatrice dello spazio globale. Coloro che respingono l'egemonia dei valori occidentali sono i nemici dell'umanità contro i quali una guerra terroristica di sterminio non può che essere approvata dal Dio occidentale.