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Ma a che servono le basi Usa?

di Sergio Romano e Massimo Franchi - 27/10/2006

 
I suoi lettori si dicono «molto stupiti». Sergio Romano, editorialista del "Corriere della sera" ed ex ambasciatore, propone che le basi americane in Italia vengano chiuse. Alla vigilia del voto del consiglio comunale di Vicenza sulla nuova base Usa in città, Romano spiega la sua posizione.



Ambasciatore, non sarà mica diventato antiamericano?

«Non lo sono certamente. In questa faccenda però l´antiamericanismo c´entra, perché seppur minoritario, è visibile e chiassoso. L´antiamericanismo rende tutto più complicato perché fa entrare una componente ideologica ed emotiva nella questione e di riflesso suscita la reazione di chi difende il ruolo degli Stati Uniti in Italia. E invece io cerco di ragionare in modo distaccato e razionale, spiegandolo anche ai lettori che non condividono il mio pensiero».



Lo vuole riassumere...

«Anche prima della guerra irachena, che considero immotivata, pensavo che la presenza delle basi americane andasse rinegoziata. Dopo la fine della guerra fredda il loro ruolo è sostanzialmente inutile. La sola soluzione per le basi americane di Aviano e della Maddalena è la loro chiusura. Capisco che la decisione potrà creare dei contraccolpi nei rapporti con gli Stati Uniti, ma spiegando bene le ragioni credo che anche loro capirebbero».



E per quanto riguarda le basi Nato che sono in gran parte americane?

«Qui il discorso è più complicato. Quelle basi nascono da accordi fra paesi, non solo gli Stati Uniti. Il problema è capire che cos´è la Nato oggi: scopi e funzioni in un mondo completamente diverso dal contesto che produsse la nascita dell´alleanza atlantica. L´idea che la Nato sia un´organizzazione per la sicurezza planetaria non sta in piedi soprattutto perché gli americani la considerano tale solo quando serve a loro, come in Afghanistan. Vi sono quindi tutte le condizioni per rinegoziare gli accordi fra paesi e ridiscutere il ruolo della Nato in Italia come nel mondo».



Tornando alla base di Vicenza come crede andrà a finire? In città la protesta è forte.

«Mi pare che i sondaggi dicano che la città è sostanzialmente divisa a metà con due fattori che si incontrano. Da una parte l´importanza dei rapporti con gli Usa: chi lo considera fondamentale e chi lo contesta. Il secondo è le ricadute sulla città del progetto della base: posti di lavoro, ma anche rumore, problemi. In una provincia fra le più ricche d´Italia e la disoccupazione al 3 per cento questo argomento non fa molto breccia».



La decisione del consiglio comunale è molto attesa: sarà vincolante?

«Il Comune ha competenze sulle licenze, sui terreni. Mi sembrerebbe però sbagliato che la decisione spetti solo a livello di enti territoriali: stiamo parlando di politica estera».



La palla quindi dovrà passare al governo. Secondo lei cosa deciderà?

«La previsione è difficilissima. Forse ne sapete più voi».