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Notre Dame, le foreste e l'antropocentrismo

di Guido Dalla Casa - 25/04/2019

Notre Dame, le foreste e l'antropocentrismo

Fonte: Guido Dalla Casa


  Mi dispiace che una parte della Cattedrale di Notre-Dame sia bruciata. Ma mi dispiace ancora di più quando brucia una foresta, con tutti gli esseri senzienti che ne fanno parte. Notre-Dame è fatta di inerti, una foresta è un armonioso complesso di esseri senzienti, individuali e collettivi, forse è anch’essa un essere senziente.
E’ evidente quale avvenimento causa maggiore sofferenza.
  Notre-Dame è “patrimonio dell’umanità”: lo sono anche le Dolomiti e il Gran Canyon, che esistono da centinaia di milioni di anni, e noi siamo qui da un milione, più o meno, dato che non ci sono confini né tempi precisi. E l’Amazzonia? Oggi non “appartiene” neppure agli indios, ma anche un tempo erano gli indios che appartenevano alla foresta, non viceversa. Ma stanno scomparendo entrambi, sotto la devastante avanzata dello “sviluppo”. Ancora una volta si evidenzia il mostruoso antropocentrismo della nostra cultura, che sta invadendo tutto il mondo.
  Notre-Dame verrà ricostruita da mano umana, una foresta non potrà mai esserlo.
Eppure, quante risposte immediate per quella Cattedrale, quante “risorse” raccolte subito, quanto silenzio per la distruzione della Vita nel Borneo, a Sumatra, in Amazzonia, in tutto il mondo. Gli oranghi, che differiscono pochissimo dagli umani, in tutti i loro aspetti psicofisici e comportamentali, soffrono e muoiono nella quasi-indifferenza di umani divenuti quasi tutti industrialisti-sviluppisti, talvolta verniciati di verde, con termini semi-comici come sviluppo sostenibile, green economy, economia circolare, palesemente inventati per andare avanti come prima.
Ma nessuna specie di esseri senzienti può essere fatta rinascere.
  Notre-Dame, mi si dice, rappresenta la nostra civiltà. Già, ma l’Occidente chiama “civiltà” solo le culture che “lasciano tracce nella storia”, le altre sono etichettate come “primitive” e costrette ad uniformarsi, per godere le gioie sublimi delle periferie urbane. Un insegnamento di una cultura nativa del Nord-America recitava: Non lasciare tracce così profonde che il vento non le possa cancellare. In tal modo si poteva vivere in armonia a tempo indeterminato, cosa che oggi appare ormai impossibile alla civiltà industriale, per il suo insanabile contrasto con il modo di vivere (o di funzionare) del nostro Pianeta. E le altre civiltà che hanno lasciato tracce e sono quindi riconosciute come tali? Sono tollerate, purchè lascino solo dei “ricordi” da preservare e i loro ex-componenti attuali si uniformino ai valori della civiltà industriale e al suo delirante primato dell’economia: produrre-vendere-consumare.
  Speriamo che questa “civiltà” finisca presto: Come? Nessuno può dirlo.