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La guerra dell'acqua

di Alessio Mannucci - 06/11/2006

 


Le vie della ragione mercantile sono infinite. Una di queste passa per la costruzione di opere gigantesche che si sottraggono al controllo degli utenti. Nel corso del XX secolo, si costruirono nel mondo più di 40.000 grandi dighe a fini di irrigazione, approvvigionamento d'acqua potabile o produzione di energia idroelettrica. Secondo calcoli prudenziali, ciò causò la deportazione di circa 100 milioni di persone. A partire dagli anni 50, le dighe furono presentate come cattedrali della modernità, la prova lampante che l'umanità può riuscire a domare la natura. A differenza delle cattedrali, le dighe non sopravvissero però alla prova del tempo: durarono unicamente il lasso che la natura impiega per logorarle e riempirle di fango.

Nel 1982, la Banca Mondiale si alleò con i militari guatemaltechi per la costruzione di una nuova diga sul fiume Chixchoy (quello stesso che più giù, al segnare la frontiera con il Messico, assume il nome di Usumacinta). Poiché le comunità maya che abitavano la regione si rifiutavano di essere trasferite, l'esercito reagì con la consueta violenza massacrando circa 400 persone nel giro di pochi mesi. La Banca Mondiale affermò di non saperne nulla. “Le grandi dighe” - dice Arundhati Roy - “stanno allo sviluppo come le bombe nucleari alla guerra. In entrambi i casi, sono armi di distruzione di massa. Armi che i governi impiegano per il controllo delle popolazioni”.

In Messico, come in India, come ovunque, la costruzione delle dighe si è risolta in un miraggio. Le prime risalgano ai tempi del presidente Cárdenas (1934-1940) e al suo generoso progetto di sviluppo, per far fronte, negli anni Sessanta, alla crescente domanda d'elettricità e all'incipiente rivoluzione verde. Dato che nella maggior parte dei casi, le popolazioni locali non volevano andarsene, si moltiplicarono i conflitti.

Oggi, la Comisión Federal de Electricidad (CFE) ha in progetto la costruzione di 56 nuove dighe, gran parte delle quali si trova in territori indigeni, il che, come sempre, significa sottrarre l'acqua a chi più ne ha bisogno. In queste condizioni è da prevedere un'intensificazione dell'ostinata guerra d'aggressione che da tempo lo stato messicano sferra contro le comunità originarie. Mentre multinazionali spagnole come Endesa e Unión Fenosa, francesi come EDF, tedesche come Siemens o statunitensi come AES, si mostrano ansiose di investire i propri capitali.

La battaglia per salvare un fiume, un acquedotto o una sorgente può avere conseguenze impreviste. Prendiamo il caso di una diga in progetto, La Parota, sul fiume Papagayo, nello stato del Guerrero. Se dovesse costruirsi, questa avrebbe una superficie tre volte maggiore della sottostante baia di Acapulco ed inonderebbe 24 villaggi oltre ad un numero ancora non precisato di terre agricole. Da anni, ed in particolare negli ultimi mesi, i 25 mila campesinos coinvolti si trovano sul piede di guerra. Dopo aver fondato il Consejo de Ejidos y Comunidades Opositoras, il 2 ottobre 2004, insieme con altre comunità che soffrono problemi analoghi, hanno fondato il Movimiento Mexicano de Afectados por las Presas y en Defensa de los Ríos (Mapder) i cui partecipanti si dichiarano “in resistenza totale e permanente conto la costruzione delle dighe nel Paese”.

Il Mapder, appoggiato ancdhe dal subcomandante Marcos, è un'alleanza legata a livello continentale con la Red Internacional de Ríos di San Francisco, California, e con il Movimiento Mesoamericano contra las Presas. Quest'ultimo, che oltre al Messico comprende i paesi centroamericani, si oppone alla costruzione di circa 350 dighe nella regione di confine tra il Messico e il Guatemala. Il movimento esige che lo Stato messicano ripari i danni arrecati nel passato a più di 100 mila persone, il risanamento degli ecosistemi, la modifica della legislazione in materia d'acqua e medio ambiente ed il rispetto del diritto delle popolazioni all'acqua, stabilito dal Trattato 169 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Finora, la lotta dei campesinos di Guerrero è stata pacifica, ma di fronte alla repressione selettiva ed al tentativo da parte del CFE di dividere le comunità comprandone i leader, potrebbe prendere un'altra piega. Un'altra guerra dell'acqua si svolge tra gli indigeni mazahua della regione del fiume Cutzamala e la Commissione Nazionale dell'Acqua (CNA). Il sistema Cutzamala soddisfa, come già detto, una parte importante del fabbisogno di Città del Messico. Lo stato stanzia ogni anno la somma di 1.600 milioni di pesos (circa 100 milioni di euro) per trasportare alla zona metropolitana 19 mila litri d'acqua il secondo provenienti da Cutzamala. In tal modo, ogni litro d'acqua che giunge a Città del Messico percorre una distanza di circa 160 km, superando un dislivello di 1.366 metri grazie ad un costoso sistema di pompe.

La cosa assurda è che, mentre diverse comunità mazahua soffrono della mancanza d'acqua potabile, circa il 38% dell'acqua spedita a Città del Messico si disperde a causa del cattivo stato dei tubi. Durante la stagione delle piogge del 2003, la diga Villa Vittoria, una delle sette che alimentano il Sistema Cutzamala, straripò danneggiando le colture e le comunità mazahua. Il 10 agosto 2004, dopo molteplici e fallimentari tentativi di dialogo, i membri del Frente para la Defensa de los Derechos Humanos y Recursos Naturales del Pueblo Mazahua marciarono alla volta di Città del Messico esigendo dal governo federale l'indennizzo di 300 ettari di coltivi.

Di fronte alla chiusura delle autorità, essi fecero un picchetto davanti all'impianto d'acqua portabile di Berros che rifornisce la valle del Messico. A quel punto, le donne decisero di prendere in mano le redini del movimento organizzando, sull'onda lunga della ribellione degli indigeni del Chiapas, un Ejército zapatista de mujeres en defensa del agua. Armate di rudimentali fucili di legno, macete e attrezzi agricoli, bloccarono per tre giorni le forniture di cloro dell'impianto, minacciando inoltre di tagliare il flusso d'acqua e perfino di farsi esplodere con dinamite se il governo non rispondeva alle richieste.

Successivamente, una delegazione di 25 donne mazahua investite con il grado di “comandante” richiese un incontro con il Ministro della Difesa, Clemente Vega, per “parlare di temi relativi alla sicurezza nazionale e spiegare perché protestiamo in modo diverso dai nostri uomini”. In un messaggio ai mezzi di comunicazione, le comandanti denunciavano la politica idraulica del Messico come ingiusta perché “giova solo agli abitanti delle grandi città”. Allo scopo di risanare la regione del Cutzamala, le comandanti, richiedevano che il governo si impegnasse a piantare almeno 20 milioni d'alberi nei prossimi mesi. Le donne mazahua sono riuscite a sollevare un'onda di simpatia nazionale che ha impedito che si scatenasse un'ondata repressiva contro il movimento e ha obbligato il governo a trattare. Un mese dopo, il Ministero degli Interni e le comunità mazahua hanno firmato un accordo che, oltre ai risarcimenti richiesti, prevedeva la riforestazione e il risanamento del medio ambiente. Di fronte all'assenza dei funzionari della CNA, le comandanti mazahua dichiararono che la lotta continuava e che eventuali inadempienze sarebbero sfociate in nuove mobilitazioni (la guerra è tuttora in corso).

Secondo Vandana Shiva (“Le Guerre dell'Acqua”, Milano, Feltrinelli, 2003), una scrittrice indiana che si batte contro la globalizzazione, le “Guerre dell'Acqua” sono al tempo stesso guerre di paradigmi – conflitti su come percepiamo e viviamo l'esperienza dell'acqua – e guerre tradizionali. Chi controlla il potere preferisce mascherare le guerre dell'acqua travestendole da conflitti etnici e religiosi (sono travestimenti facili perché le regioni lungo i fiumi sono abitate da società multietniche che presentano una grande diversificazione di gruppi umani, lingue e usanze).

[...] L'agricoltura industriale ha spinto la produzione alimentare a usare metodi che hanno determinato una riduzione della ritenzione idrica del suolo e un aumento della domanda d’acqua. Non riconoscendo all'acqua il suo carattere di fattore limitante nella produzione alimentare, l'agricoltura industriale ha promosso lo spreco. Il passaggio dai fertilizzanti organici a quelli chimici e la sostituzione di colture idricamente poco esigenti con altre che abbisognano di grandi quantità d'acqua hanno rappresentato una ricetta sicura per carestie d’acqua, desertificazione, ristagni e salinizzazione [...] Le siccità possono essere aggravate dal mutamento climatico e dalla riduzione dell'umidità nel suolo. La siccità provocata dal mutamento climatico – fenomeno che prende il nome di siccità meteorologica – è collegata alla carenza di precipitazioni. Ma anche quando la quantità di pioggia rientra nella norma, la produzione alimentare può risentirne se la capacità di ritenzione idrica del suolo è stata erosa. Nelle zone aride, dove foreste e fattorie dipendono totalmente dalla capacità del suolo di mantenersi umido, l'unica soluzione è l'aggiunta di materia organica. La siccità dovuta a scarsa umidità del suolo si presenta quando manca la materia organica che serve a trattenere l'acqua nel terreno. Prima della Rivoluzione Verde la conservazione dell'acqua era parte integrante dell'agricoltura indigena. Nel Deccan, in India meridionale, il sorgo veniva associato a leguminose e semi oleosi per ridurre l'evaporazione.

La Rivoluzione Verde ha scalzato l'agricoltura indigena a favore di monocolture in cui le varietà nane hanno sostituito quelle alte, i fertilizzanti chimici quelli organici e l'irrigazione artificiale le colture da pioggia. Il risultato è che i suoli si sono impoveriti di materiale organico indispensabile e le siccità provocate da scarsa umidità del terreno sono diventate un fenomeno ricorrente [...] Le nuove colture rconsumano 3 volte più acqua delle varietà indigene di frumento e riso. L'introduzione di queste coltivazioni ha avuto anche forti costi sociali ed ecologici. Il drastico aumento della quantità d’acqua utilizzata ha determinato l'instabilità degli equilibri idrici regionali. I massicci progetti di irrigazione e l'agricoltura a uso intensivo d’acqua, scaricando sull'ecosistema una quantità d'acqua superiore a quella sopportabile dal suo sistema naturale di deflusso, hanno portato a ristagni, salinizzazione e desertificazione. I ristagni si verificano quando la profondità della superficie freatica si riduce di una misura compresa tra 1,5 e 2,1 metri. Se in un bacino si aggiunge acqua più in fretta di quanto questo possa drenarne, la falda sale. Circa il 25% delle terre irrigate degli Stati Uniti soffre di salinizzazione e ristagni. In India, 10 milioni di ettari di terra irrigata con i canali è intrisa d’acqua e altri 25 milioni di ettari sono a rischio di salinizzazione […].

Vandana Shiva chiama tutto ciò “sviluppo distruttivo” e “ecologia del terrore”. Ovvero, l'interruzione del ciclo dell'acqua attraverso la deforestazione, l'attività estrattiva, la diffusione dell'agricoltura industriale esportata dalla Rivoluzione Verde nei paesi del Sud, la sostituzione dei sistemi di conservazione e distribuzione delle comunità locali con l'assunzione statale del controllo delle risorse idriche, la deviazione dei fiumi e la costruzione di faraoniche dighe. Un insieme di fattori, spiega l'autrice, che hanno favorito fenomeni come la desertificazione e la salinizzazione e portato il pianeta all'attuale crisi idrica e alle guerre cominciate, non da oggi, in tutto il mondo.

Dal Punjab alla Turchia, dove nel 1989 l'allora primo ministro Turgut Ozal minacciò di tagliare la fornitura d’acqua alla Siria se non avesse espulso il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan); dal Medioriente, in cui l'apartheid dell’acqua a danno dei palestinesi alimenta il conflitto con Israele, fino al conflitto per le acque del Nilo tra Egitto ed Etiopia e all' “idro-jihad” lanciata dalle popolazioni nomadi del Tigri e dell’Eufrate contro il gigantesco progetto fluviale di Saddam Hussein. Tutte guerre che si consumano in assenza di un quadro giuridico internazionale in grado di risolverle, mentre, nel frattempo, il paradigma del mercato spinge la liberalizzazione del commercio dell'acqua come ricetta per superare la crisi idrica.

La trasformazione dell'acqua in merce, attraverso quella privatizzazione che ha “le sue radici nell'economia dei cowboy”, è la strategia strenuamente perseguita da organismi sovranazionali come il WTO (World Trade Organization), la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, che da tempo legano la concessione dei prestiti alla deregulation. Nella Dichiarazione ministeriale stilata a Doha nel 2001 nel vertice del WTO si parla di eliminazione delle “barriere tariffarie e non tariffarie sui beni e servizi ambientali”, tra cui ovviamente rientra anche l'acqua. Alle risorse idriche come bene commerciabile fa esplicito riferimento anche il NAFTA (North American Free Trade Agreement). Non a caso, nel maggio del 2000, in piena crisi della new economy, il magazine Fortune ha scritto che il business dell'acqua è il più redditizio per le imprese.

Oggi a controllare il mercato sono una manciata di corporation tra cui spiccano Vivendi Environment e Suez Lyonnaise des Eaux con un fatturato di 17,5 e 5,1 miliardi di dollari. Sul nuovo affare si sono lanciate perfino Coca Cola e Pepsi Cola con brand di acque in bottiglia, un’industria che non solo non garantisce la qualità di ciò che vende ma ha conseguenze mortali sull'ambiente con l'utilizzo massiccio e indiscriminato della plastica.

Tra gli effetti più evidenti della privatizzazione, attacca Vandana Shiva, ci sono l'aumento delle tariffe e la mancanza di garanzie di qualità. A Casablanca, il prezzo dell'acqua si è triplicato, nel Regno Unito le bollette si sono gonfiate del 67% tra l'inizio e la metà degli anni Novanta. In India, l'acqua Evian, prodotta dalla Britannia Industries e venduta a 2 dollari al litro, quasi il doppio del minimo salariale locale, è uno status symbol tra le famiglie ricche che spendono dai 20 ai 209 dollari al mese per acquistarla. A Johannesburg, dove la Suez Lyonnaise des Eaux controlla la fornitura idrica, la qualità dell'acqua si è abbassata di pari passo con l'innalzamento dei prezzi.

Eppure è ancora possibile fermare questo processo. Lo dimostrano casi come quello di Cochabamba, regione divenuta il simbolo della lotta per il diritto all'acqua (qui, nel 2000, un imponente movimento ha bloccato la città per giorni per protestare contro la privatizzazione e, nonostante la repressione poliziesca, ha costretto l'azienda Bechtel a lasciare la Bolivia). Attraverso un approccio ecologico complesso e radicale in cui trovano spazio anche l'evocazione della mitologia indiana, ricordi ed esperienze vissute, Vandana Shiva oppone ai teorici neoliberisti i saperi indigeni e le antiche tecnologie dell'acqua in grado di creare “abbondanza dalla scarsità”. Il suo è un libro che con risoluta semplicità colpisce al cuore dello stile di vita occidentale, quello in cui lo spreco dell'acqua è la norma, e che vorrebbe condannare il Sud del mondo a pagare il prezzo della distruzione del pianeta.

Le Guerre dell'Acqua si combattono anche da noi, nel “belpaese”.

Proprio di recente, da Latina, è partito un forte appello contro la privatizzazione del servizio idrico. Dal Comitato Provinciale di Difesa Acqua pubblica di Latina si è alzata una voce di protesta: “Bollette triplicate dal 2001, ovvero dall'inizio della gestione di Acqualatina. In gran parte del territorio pontino il costo dell'acqua è triplicato a fronte di una qualità sempre più scadente della stessa; a maggio 2005, per esempio, si sono riscontrati tassi di arsenico a Cisterna di oltre 200 microgrammi/l. Oltre il 70% dei acqua si disperde o non arriva a fatturazione - non è mai stata recapitata a nessuno dei contriubenti la “carta dei servizi” della società, prevista dalla vigente convenzione di gestione dell'ATO4. È ora di dire basta alla privatizzazione dell'acqua !”.

Il Comitato fà sapere anche che quei pochi investimenti che ci sono stati si sono svolti unicamente nela zona di influenza di politici referenti preferenziali della società; che una fetta sostanziosa del debito di Acqualatina (circa 9 milioni di Euro) è maturato attraverso i compensi elargiti a Presidente (oltre 90.000 Euro l'anno) e ai 7 poltici presenti nel Consiglio d'Amministrazione della SpA scelti (senza alcuna competenza tecnica specifica in merito), solo in base ad un meccanismo caro all'On. Cencelli; e attraverso gli appalti milionari offeri da Acqualatina a imprese collegate come SIBA e Veolia Water Italia Srl senza uno straccio di gara pubblica, nonstante la legge Merloni preveda un massimo di spesa di 300 mila Euro “in casi eccezionali”;

Acqualatina ha prodotto nella Provincia di Formia un dissenso sociale di proporzioni ineguagliabili. Consigli Comunali, Sindacati, Associazioni di Consumatori, Comitati di lotta, hanno bocciato bilanci, piani tariffari, atti costitutivi e prodotto ricorsi e denunce su ogni singolo aspetto gestionale. La natura privatistica della gestione delle risorse idriche, è stata pesantemente messa in discussione dal Governo, che nella Finanziaria ha precisato come sia possibile liberalizzare tutto, tranne l'acqua (per quanto ancora ?).

I cittadini quotidianamente subiscono la malagestione di Acqualatina, e chi prova a protestare o non riesce a pagare per morosità è minacciato, con telefonate e lettere, di cessazione dell'erogazione del servizio idrico. In una situazione così rovente ed impegnativa, spartirsi centinaia di migliaia di euro in poltrone politiche di rito, senza neanche porsi il problema delle ragioni di tanto dissenso sociale, è davvero una prassi politica irresponsabile e cieca. Lo scorso 4 Novembre c'è stata un'assemblea pubblica convocata dal Comitato Spontaneo di Lotta contro Acqualatina che sosterrà i Comuni che non hanno ratificato il contratto di gestione di Acqualatina.

Fonti: Zmag, Narconews, Peacereporter, Provincialatina

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Medio Ambiente y Ecología Social

Acqualatina S.p.A.

Coordinamento Regionale Difesa Acqua Pubblica Lazio

Sud Pontino Social Forum Campagna Contro Acqualatina s.p.a.

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