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L'indecente decadenza di un "povero Paese"

di Gianfranco La Grassa - 06/11/2006

 

 

Credo si possa essere annoiati a questo punto circa le discussioni sulla finanziaria. Non perché sarà una bazzecola, anzi credo che provocherà infine grossi guai; ma perché ci si capisce poco, cambia in continuazione, e infine verrà approvata senza che accada nulla di essenziale. Vediamo invece di trarre qualche insegnamento generale dalle ultime vicende; pur se quello principale lo lascerò ancora una volta sullo sfondo per irrimediabile pessimismo.

 

1) Innanzitutto, a me sembra ormai evidente che questo è il peggiore Governo mai avuto in Italia dalla fine della seconda guerra mondiale; il peggiore, insomma, dei Governi “democratici” (si fa per dire!). E’ da qualche anno che penso alla cosiddetta sinistra come ad una associazione di tipologia quasi delinquenziale [sia chiaro, d’ora in avanti, che quando parlo di sinistra non mi riferisco ai poveracci che la votano, ma solo agli apparati partitico-sindacali e al ceto intellettuale]. Ovviamente so che dietro la sinistra, e in posizione di comando, stanno potenti gruppi finanziari e grandi imprese industriali sempre bisognose di assistenzialismo statale. Tuttavia, come spesso avviene, i sicari sono i primi a dover essere attaccati, poiché i mandanti non sanno fare i lavoretti che più sporcano le mani, affidati sempre ai loro “strumenti” zelanti; i quali sono appunto partiti, sindacati, intellettuali che “fanno opinione”, tutti appartenenti all’ambito del “politicamente corretto”, cioè alla sinistra.

Effettivamente, però, non mi aspettavo che questi “strumenti” fossero anche così incompetenti e inefficienti. In fondo, si tratta di vecchio personale politico professionale; ex Pci soprattutto, ed ex Dc, ex Psi, più tutta una congerie di “ultrarivoluzionari” che si sono fatti le ossa in “movimenti radicali” vari, e si sono poi venduti bene apportando alla sinistra la loro “specializzazione” di mazziatori o di “colta” sfacciataggine nel pervertire la verità. Evidentemente, l’operazione “mani pulite” ha fatto una selezione al peggio, lasciando “in vita” tutti i più scadenti personaggi dei partiti della prima Repubblica. Certo, mai si era vista una simile accozzaglia di incapaci e manipolatori di cifre a capocchia (e sia chiaro che non nutro nemmeno oggi grande stima per i vecchi Governi di prima del 1992-93; e non li rimpiango affatto). Quanto ai lodati tecnici odierni, sono personaggi addirittura infantili: capricciosi, dispotici, intolleranti di ogni critica, come sono spesso i bambini.

Tuttavia non succederà nulla ancora per un bel po’ di tempo. La capacità di corruzione della sinistra – e la disponibilità del popolo italiano a farsi corrompere, e a farsi mettere gli uni contro gli altri nel tentativo di “arrangiarsi” in qualche modo – sono estremamente elevate. Non a caso, una parte consistente, decisiva, della sinistra è della stessa pasta dei “culi di pietra” che dominarono nel socialismo reale durante il periodo brezneviano; e il popolo italiano ha alle spalle secoli di servaggio, di assoluta mancanza di ogni dignità. Per cui, anche adesso, un po’ di milioni di euro ai sindaci di qualche città, un po’ di milioni per il pubblico impiego (onde evitare uno sciopero che i sindacati amici non vedevano l’ora di revocare); insomma un po’ di rattoppi di quà e un po’ di là, e questo Governicchio continuerà a vivacchiare. Anche l’Europa, d’altronde, dà un colpo al cerchio e uno alla botte, nel complesso aiutandolo con la manipolazione di dati (su crescita e deficit; in specie su previsioni di crescita e deficit) che è tipica di tutti i contabili di qualsiasi genere e istituzione (forse non si sa come si redigono i bilanci delle imprese? E crediamo che puri “ragionieri” senza ingegno, come quelli della UE, si comportino diversamente?).

Certo, alcune società di rating (americane!) emettono giudizi negativi, ma sempre pronte a rivederli. Nel contempo, alcuni banchieri – Bazoli (Intesa) e Profumo (Unicredit), che pure, quando possono, si mollano qualche reciproca coltellata – emettono dichiarazioni, di quelle che i ragazzini delle elementari recitano a memoria senza capire quello che dicono, per incensare il Governo. I vertici di Confindustria, che rappresentano solo grandi imprese con conti truccati e che sono oggetto di continui regali “pubblici”, si dilettano in giudizi “critici” (ma non troppo) per imbrigliare il malcontento dei “piccoli”, le cui rappresentanze associative strillano un po’ di più, ma sempre con l’occhio rivolto al compromesso e allo smorzamento delle proteste “di base”. Tutto questo incredibile pasticcio e sfoggio di protervia, incapacità, pura “arte di arrangiarsi” (all’italiana), serve per sgrassare intanto il presunto ceto medio (che non sta “in mezzo”, in nessun senso) e arrivare poi, infine, a toccare pensioni e sanità; dopo di allora fioriranno dati di risanamento e crescita da non credere, degni di un vero Eden; in cui vivranno assai pochi, non certo la stragrande maggioranza che mena un’esistenza reale, non fatta di statistiche e previsioni.

Del resto, anche dall’altra parte, quella di destra, c’è un’accozzaglia di incompetenti neoliberisti, che litigano fra loro e sostengono delle sostanziali fanfaluche. Alcuni – i vecchi diccì, quelli più scadenti tra questi – non vedono l’ora di poter fare il “salto della quaglia”; altri sperano che la sinistra si cuocia da sola, ma senza alcun coraggio (salvo qualche puntura di spillo) di dire chi sta dietro, e sopra, questa sinistra, chi l’appoggia e perché, con quale fine nemmeno tanto recondito. Eppure si tratta dei grandi potentati finanziari e industrial-decotti; i quali sono bassamente servili verso quelli USA, per cui tutto lo strisciare filoamericano (e filoisraeliano) dei destri è semplicemente patetico, non farà loro conquistare nemmeno un grammo di appoggio dall’establishment di paesi che in questo momento hanno ben altre gatte da pelare.

Per cui, concludendo, dobbiamo prepararci ad un lungo galleggiamento nella palude meramente contabile del Governaccio attuale e dei disastrosi organismi europei. Ovviamente sotto l’egemonia statunitense, che magari un domani sarà diretta dai democratici invece che dai repubblicani, ma sempre con al vertice i grandi organismi finanziari, industriali e militari di quel paese. E colgo l’occasione per ricordare che i due principali istituti finanziari USA – Goldman Sachs (quella che ha piazzato non so quante sue pedine nell’attuale Governo e nelle “alte” istituzioni economiche e politiche italiane) e la Morgan Stanley – hanno stretti legami con l’Amaranth Advisors, uno dei maggiori hedge funds mondiali, il quale a settembre ha perso in pochi giorni il 60% del suo capitale [tali fondi, non soggetti a controlli particolari, sono a rischio elevatissimo, visto che, fra l’altro, effettuano vendite di titoli allo scoperto, puntando al loro ribasso; in un anno, tra l’agosto 2005 e quello 2006, sono nati nel mondo quasi 2000 di questi fondi e ne sono stati messi in liquidazione quasi 600. Chi gioca con tali fondi, manda in malora molto spesso migliaia e migliaia di “risparmiatori”, meno spesso se stesso]. Dico questo solo per far capire in che mani siamo, e di chi sono docili strumenti i nostri governanti di sinistra: dei potentati economici italiani, a loro volta subordinati a quelli americani.

 

2) Nei libri (menzogneri come al solito) si legge che le imposte vengono pagate per assicurarsi da parte dello Stato (una istituzione che si vuol far passare per neutrale, tesa solo al benessere dell’intera cittadinanza) una serie di servizi “collettivi”. In realtà, tutto interessa agli odierni governanti salvo che fornire servizi di un minimo di qualità. Nessuna persona ancora appena un po’ onesta può negare che la finanziaria in corso di approvazione – pensata solo per far quadrare i conti come vuole l’esiziale UE – innalzi di un bel po’ la pressione fiscale; eppure tutti i servizi essenziali sono in deterioramento esponenziale. Le ferrovie sono veramente all’ultima spiaggia, pur avendo demandato all’esterno, e pagando non so quanto, molti compiti che un tempo assolvevano in proprio (ad es. la pulizia dei treni, che è tanto carente da essere anche pericolosa per la salute dei viaggiatori). Continue rotture delle motrici, degli apparati di frenaggio e di apertura delle porte, dei congegni di termoregolazione, toilettes guaste o sempre mancanti di qualcosa (perfino negli Eurostar, almeno una su tre è sempre fuori uso oppure manca l’acqua o il sapone o la carta igienica, o non funziona l’asciugamani elettrico, ecc.), incuria nella manutenzione di tutte le infrastrutture, sistemi di controllo “automatici” a rischio di provocare frequenti incidenti, ritardi pazzeschi, soppressione di treni (spesso all’ultimo momento) anche in fasce orarie centrali, carenza di personale laddove sarebbe necessario (si pensi ai macchinisti) e affollamento in uffici vari dove si imbucano i “fancazzisti” e gli incompetenti. Comunque un disastro cui nessuno vuol pensare e por rimedio, tutti ossessionati dalla riduzione delle spese.

Le Poste sono un’altra catastrofe nazionale. Hanno inventato la prioritaria – che per un paio d’anni ha funzionato – poi hanno reso prioritaria tutta la posta, per cui si è tornati all’intasamento solito, solo a prezzo più alto. La posta detta celere potrebbe essere collocata nei basti dei muli e si farebbe prima. Una lettera su dieci non arriva mai, e quanto a riviste e pacchi è meglio non pensare alle percentuali di buon esito delle spedizioni. E’ però inutile redigere l’elenco dei servizi sostanzialmente pubblici (non ci faremo ingannare dalla puramente formale privatizzazione di Poste e Ferrovie, simile a quella di gran parte delle aziende municipalizzate, altro esempio di sperpero di soldi e di assunzione di personale incapace per pura raccomandazione politica) che non funzionano. Inoltre, pure alcuni servizi essenziali come quelli telefonici, realmente privatizzati, dovrebbero quanto meno essere controllati pubblicamente poiché anch’essi – mezzi di comunicazione di estrema utilità e importanza per un paese civile – sono in una condizione di arretratezza incredibile. Tutta la pubblica amministrazione è quanto di più arcaico ci sia, la lentezza delle pratiche varie continua a crescere malgrado i “grandi” programmi di informatizzazione degli uffici. Sull’apparato sanitario – e sui tempi di visita, di intervento chirurgico, ecc. – stendiamo il ben noto “pietoso velo”. Ora, è evidente che le principali colpe di questo sfascio sono del management, che andrebbe mandato a spasso salvo rarissime eccezioni. Però non nascondiamoci le responsabilità delle sinistre, e dei sindacati, per avere sempre difeso le posizioni assurde – fra cui una ormai inaccettabile illicenziabilità di fatto – dei “baldi” lavoratori del settore pubblico.

Non parliamo poi della difesa di una vergognosa incompetenza e svogliatezza generalizzate, travestite da egualitarismo, da difesa dei deboli e altre panzane varie; quando non c’è nulla di male nel chiedere un minimo di meritocrazia. Non trinceriamoci dietro la scusa che non si sarebbe in grado di controllare chi effettuerebbe gli esami di merito. Sappiamo bene che non c’è nulla di perfetto. Io, che ho lavorato all’Università, ho perfetta conoscenza del fatto che il “merito” è stato quasi sempre sostenuto per mascherare autentiche cooptazioni da parte dei cosiddetti “baroni”, veri boss della situazione. Tuttavia, invece, i concorsi per insegnanti sono sempre stati tradizionalmente, salvo casi rarissimi, al riparo da raccomandazioni o altro. Semmai adesso si è andata creando una mafia dei corsi abilitanti, o di specializzazione, o di formazione professionale, ecc. in mano a veri sciami di maneggioni (in genere provenienti dal personale universitario, e in massima parte di sinistra) che andrebbero contenuti con “vivaci” metodi adeguati. In ogni caso, non si può continuare con un livellamento antimeritocratico, che è solo fonte di degrado continuo.

Tornando comunque al problema principale, è vergognoso che lo Stato aumenti le imposte  – e spinga gli Enti locali a fare altrettanto – quando i servizi offerti degenerano con la velocità della luce. A servizi peggiori deve corrispondere un alleggerimento dell’imposizione. Se l’Ente detto collettivo, che gli “scienziati” (puri ideologi) di diritto pubblico sostengono sia dedito ai bisogni dell’intera cittadinanza, non è per nulla in grado di assolvere i suoi compiti nel fornire servizi con un minimo di sollecitudine, di precisione, di celerità, di efficienza, ecc., allora, mi dispiace, è giusto chiedere che esso abdichi alle sue prerogative – affermate fra l’altro d’imperio, in modo odioso e prevaricatore – e lasci fare ai cosiddetti “privati”; non è affatto una bella soluzione, tanto meno giusta; ma, lo ripeto, diventa obbligata se i servizi pubblici sono quelli che è in grado di offrire una sinistra falsamente egualitaria, massificatrice (al ribasso della qualità), che poi spende e spande per costruire nel territorio una rete di abietto consenso di tipo mafioso (o, se si preferisce, clientelare).

I soldi si trovano sempre per le immani cazzate (sempre spettacoli e cose simili) fatte a Roma e in altre città governate dal centrosinistra; all’Università, malgrado le si diminuiscano i fondi di finanziamento, i “baroni rossi” (si fa per dire) escogitano sempre qualche intrigo per i loro protetti, che così sono privilegiati e corrotti oltre ogni limite tollerabile. Questa sinistra, che alligna come una mala pianta in ogni settore del “pubblico”, dovrebbe essere spazzata via, solo come “misura sanitaria”, affinché l’organismo del paese torni a respirare ed esca dal coma attuale. Non si creda però che io perda di vista il fatto fondamentale: questa mala pianta, questo cancro, è alimentato dai potentati finanziari, e dalla grande industria in cerca di assistenza “pubblica”, di cui ho già detto; ma ho anche già segnalato che, intanto, sarebbe necessario colpire i sicari, gli scherani, perché sono loro sulla prima linea della malattia da cui è affetto il nostro paese.

 

3) E veniamo al punto centrale, veramente dirimente. Non esiste, in nessun comparto delle nostre classi dirigenti (e dominanti) – siano esse economico-finanziarie, politico-sindacali, ideologico-culturali – una qualsiasi progettualità di ampiezza strategica. Tutti tirano a campare, sia appoggiandosi alla destra come alla sinistra. I metodi, le ideologie, sono differenti, ma su questo punto si nota benissimo come destra e sinistra siano due facce di una stessa medaglia di totale rinuncia a pensare a lungo termine. La gran parte della sinistra e in pratica tutta la destra si trincerano, come prima mossa di falsificazione ideologica, dietro la pura contabilità che è l’essenza stessa della scombiccherata unione europea. Il mito della riduzione del debito pubblico, del rapporto deficit/Pil, ecc. è diffuso a piene mani dai servitori politico-ideologici (destri e sinistri) di gruppi (sub)dominanti finanziari e industrial-assistiti, che vogliono solo vivacchiare, da dipendenti, negli spazi (secondari) lasciati a loro disposizione dai (pre)dominanti centrali (USA). Piccole schiere di politici e intellettuali di sinistra criticano il mito di cui sopra, ma da una visuale di “rilancio della domanda” – di fatto sostenuta dalla spesa statale – che non ha nemmeno essa respiro strategico. Si tratta di un neokeynesismo che è l’antagonista antitetico-polare (come avrebbe detto Lukàcs) del neoliberismo: due ideologie dei (sub)dominanti italiani che si sostengono mutuamente – onde deviare le energie intellettuali potenziali – nel mantenere la subordinazione italiana (quale parte di quella europea) ai (pre)dominanti statunitensi.

Dietro il mito puramente contabile appena ricordato, si celano le contrapposte menzogne ideologiche di destra e sinistra. La prima, neoliberista (spesso non coerente), fa finta di credere alle taumaturgiche virtù del sedicente “libero mercato”. Bisognerebbe diminuire l’imposizione fiscale in base al presunto (e falso) presupposto che il maggior reddito lasciato a disposizione dei privati cittadini si risolverebbe in più alti consumi, ma soprattutto in più cospicui investimenti produttivi (e in innovazione, in ricerca scientifico-tecnica da parte delle imprese, ecc.). Tutte balle. I dipartimenti R&S delle grandi imprese italiane, da sempre, sono il fanalino di coda (e di gran lunga) rispetto a quelli delle imprese di tutti i paesi capitalistici avanzati per quanto concerne l’ammontare di spesa per ricerca tecnoscientifica. Sono sempre state carenti le innovazioni di processo (tecnologia, organizzazione dei processi lavorativi, ecc.); basti pensare al famoso “Robogate” o al “Lam” nella Fiat anni ’80, esaltati anche da tanti “ultrarivoluzionari operaisti”, che servivano solo da specchietto per attirare le “allodole” dei finanziamenti – diretti e indiretti – dello Stato, e che non hanno affatto evitato lo sfascio della prima azienda italiana (che adesso, a mio avviso, sta riprovando trucchetti similari facendo passare il “borghese buono” Marchionne per Mago Merlino, con bilanci “addomesticati” e incredibili statistiche circa fantastici boom di vendita di autovetture Fiat in un mercato automobilistico piuttosto asfittico). Quanto alle innovazioni di prodotto, è ben noto da tempo che la loro stragrande maggioranza spetta in Italia al settore delle PMI (piccole e medie imprese), che non hanno poi grandi fondi da dedicare alla ricerca in oggetto; si tratta in realtà di ingegnose, ma modeste, “invenzioni” di nicchia, in settori per nulla affatto di punta: abbigliamento (magari nella “moda”, design, ecc.), legno, macchine utensili, e pochi altri di identica portata non strategica.    

Del resto, la competizione produttiva non risponde ai canoni insegnati in quei luoghi di falsificazione ideologica che sono le Università, soprattutto nelle Facoltà di Economia (magari aziendale). La competizione non si fa solo sui costi e prezzi, sulla qualità dei prodotti. Occorre una politica per il sistema-paese nel suo complesso, politica che non è il “far sistema”, fino a qualche tempo fa ritornello del mediocre presidente confindustriale; occorre una politica “di potenza”, che implica un dispendio di risorse “collettive” (diciamo così) ai fini della penetrazione – non puramente economica – in una serie di aree geografico-sociali e politiche (e culturali), che sono, nel contempo, anche mercati. Se guardiamo, ad esempio, ai due ultimi viaggi dell’attuale Premier in due paesi emergenti (uno riemergente) come Russia e Cina, ci si rende conto della modestia dei risultati ottenuti, effetto preciso della pochezza degli sforzi compiuti (e delle risorse a ciò dedicate) per espandere gli interessi del nostro sistema-paese. Qualche risultato – in specie in Russia – è stato ottenuto da imprese come Eni e Finmeccanica (“pubbliche”, ma non è questo il problema, essendo esse gestite come una qualsiasi impresa “privata”); si è trattato però di successi relativamente esigui rispetto a quelli che si potrebbero realizzare, e comunque conseguiti da quelle aziende in quanto singole imprese, non certo quali “punte avanzate” di un “iceberg” ben più vasto. Si potrebbe persino dire che, se quelle imprese trattassero da sole con l’estero, senza l’intralcio politico dei Governi, centrerebbero obiettivi migliori e più ampi.

E’ dunque ovvio che né i consumatori né tanto meno gli investitori consumano o investono di più – se viene lasciata nelle loro mani una maggiore quantità di reddito grazie a una più bassa imposizione fiscale – in assenza di prospettive generali, e di lungo periodo (strategiche appunto), che possono essere fornite solo dalla politica; e in specie da una politica delle cosiddette “sfere di influenza”, all’ampliamento delle quali contribuisce pure una adeguata politica culturale, ma sempre nell’ambito dell’impiego di una forza consistente, guidata da vere strategie, non applicata “alla va là che vai bene”. Il neoliberismo di destra, dunque, racconta menzogne intorno alle virtù della “libera” competizione in “libero” mercato. Ma ci si trova meglio se ci si rivolge ai “tic” della sinistra? Manco per niente!

Intanto, una gran parte del centrosinistra italiano – dall’Udeur alla maggioranza dei Ds – è sostanzialmente neoliberista e aderisce alle manie contabili europee (e delle società di rating americane). L’unica differenza, rispetto alla destra, è forse persino peggiorativa; comunque non qualifica certo la sinistra quale forza interessata al reale miglioramento delle condizioni di vita della nostra popolazione. Essa infatti predilige pur sempre una buona dose di statalismo, considerato però solo quale mezzo di corruzione clientelare, di divisione dei vari gruppi sociali per meglio comandare. In questa prospettiva, è chiaro il perché dell’attuale aumento dell’imposizione fiscale: è necessario procurarsi il necessario per effettuare una maggiore spesa pubblica, o quanto meno non diminuirla, a favore dei propri “protetti” e adepti, in particolare per alimentare i mastodontici apparati (burocratici e parassitari) di tipo partitico e sindacale, e i ceti intellettuali del peggior “buon senso comune”, indispensabili ad organizzare il consenso. Resta comunque il disegno generale, e privo di respiro, che consiste nello sgrassare, come già rilevato, il cosiddetto ceto medio (che non sta affatto “in mezzo” a nulla, è semplicemente il lavoro autonomo, spesso solo formalmente), per poi passare in futuro alle pensioni e alla sanità così come chiedono i potentati finanziari italiani e soprattutto americani, con l’intermediazione degli organismi contabili europei.

Quanto alla sinistra detta “estrema”, essa conta ancora qualcosa in Italia; e già questo fatto è sintomo della profonda arretratezza culturale del paese. Questa sinistra crede (o fa finta di credere per poter avere anche lei qualche buona “tangente” e un po’ di caldi posticini nel pubblico impiego) nello Stato come rappresentante degli interessi dei più “deboli” e più “poveri”, considerati solo nell’ambito del lavoro salariato, quello di più basso livello professionale e non specializzato; così atteggiandosi, essa è ancora in grado di fingere che la popolazione del nostro paese, comunque uno dei sette-otto capitalisticamente più sviluppati, viva in condizioni simili a quelle descritte da Zola in “Germinal” (oltre un secolo fa). Con questa menzogna (ideologica) della “Classe” lavoratrice tanto oppressa e miserabile, con questa menzogna della contraddizione Capitale/Lavoro ancora viva e acuta, è possibile, appunto nelle nostre condizioni di arretratezza culturale, tenere sotto controllo un 10-15% di elettorato che assicura, come già segnalato, un bel po’ di governo e sottogoverno, con tanti emolumenti di tipo parassitario e corruttore, causa di notevoli sperperi di risorse, di crescente inefficienza dei servizi pubblici, di aumento del disordine e della disorganizzazione della società tutta.

In questo modo, la sinistra può contenere in sé “tutto e il contrario di tutto”, recita la parte di forza di governo e di opposizione al governo. Con questa commedia, tutta italiana, essa riesce a mantenersi a galla in una palude sempre più melmosa di marcescenza e putridume, sperando nella buona sorte di qualche ripresina, in qualche aiuto dei (pre)dominanti centrali, cercando di convincerli che la sua laida doppiezza e ipocrisia è una modalità atta a meglio servirli. Nel contempo, soprattutto i vari gruppi dei (sub)dominanti nostrani nutrono la speranza di poter realizzare il “passo doppio”: mazzata, oggi, sui presunti ceti medi e poi una bella tosatura dei ceti “lavoratori” (visti solo sub specie di salariati di basso livello). In realtà, lo ripeto, essi sperano di poter passare infine – a questo punto con l’appoggio di una parte della destra antistatalista – al regolamento di conti definitivo con il Welfare State, con pensioni e sanità. “Riusciranno i nostri eroi” (potentati subdominanti e sinistra “rossa” di falsità e ipocrisia) ad attuare questo bel proposito? Ne ho molti dubbi, perché la loro inefficienza e incapacità gioca anche a loro sfavore. Comunque, questo è il disegno.

Come opporsi (o almeno indicare la necessità di farlo)? Ad un’altra puntata, perché questa è già troppo lunga.

 

6 novembre

 

PS Mi sarebbe piaciuto registrare ieri sera il TG4 (dalle 18,55 alle 19) e il TG3 (dalle 19 alle 19,05). I servizi sulla condanna di Saddam erano diversi, ma del tutto simili nella sequenza delle immagini mostrate e soprattutto nei giudizi e nella breve ricostruzione dei “fatti”. Una bella dimostrazione della omologazione di destra e sinistra quanto a mentalità neocoloniale; analoga era l’approvazione del processo per “crimini contro l’umanità”, che non tocca mai i vincitori (massacratori di professione) ma solo chi perde (Milosevic e Saddam). Debbo comunque aggiungere che, anche se una parte solo delle notizie riportate fossero vere (la falsità dei nostri organi di informazione è ormai pressoché totale), bisognerebbe rivedere molti giudizi sulla Resistenza irachena (divisa tra sciiti e sunniti in modo fin troppo netto) e sull’intero fronte arabo (e islamico) in funzione antiamericana; perché l’atteggiamento dell’Iran mi sembra ambiguo a dir poco. Il vero fatto è che si conferma come, nell’attuale congiuntura storica, bisogna sperare principalmente nelle contraddizioni crescenti tra USA e potenze emergenti ad est (che non hanno nulla a che vedere con la lotta dei popoli per “l’emancipazione”); bisogna cioè sperare soprattutto nell’entrata (e coadiuvarla concentrando le proprie minime forze) in quella che definisco una nuova epoca policentrica di grandi conflitti tra dominanti su scala globale. Chi straparla di Movimenti, di Moltitudini, di “masse diseredate” in azione, ecc. è solo funzionale – per errore o perché finge di appoggiare i dominati e si fa poi “ben pagare” dai dominanti? – alla prosecuzione della preminenza monocentrica statunitense.