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Il recupero dello spazio comune

di Ivan Illich - 04/11/2005

Fonte: traccefresche.info


A partire dal 1949, i concetti di educazione e sviluppo sono stati utilizzati come animali da tiro del cosiddetto progresso. Il significato dei due termini si è evoluto nel corso degli anni.
Quaranta anni fa, educazione significava andare a scuola. La parola evocava aule, apprendisti in tuta, studenti sdraiati sotto le palme, libri in tutte le case. Come Kennedy giunse alla Casa Bianca, le sovvenzioni decollarono: si faceva un gran parlare del controllo di sistemi complessi, della pianificazione professionale, dei mezzi audiovisivi, della radio e della TV via satellite. A quell'epoca, l'educazione propagandava una civiltà illuminata e produttiva.
Lo sviluppo attraversò una metamorfosi parallela.
In un primo tempo stava a significare pavimenti di cemento, prese elettriche, preservativi e spirali, cooperative e cabine elettorali, tutte cose che sarebbero dovute scaturire dall'industrializzazione, dalle riforme agrarie e dalla edificazione della nazione. Allora si produsse il miraggio di assegni bancari per tutti.
In seguito, crebbe il costo del petrolio, si diffuse l'inquinamento, aumentarono i tassi di credito e diminuì il potere d'acquisto dei salari.

Una nuova povertà

Come risultato di un'accresciuta dipendenza dall'economia di mercato, vasti settori della popolazione assaporarono una povertà modernizzata. La trasformazione dell'ambiente, dovuta allo sviluppo, fu tale che persone dotate di pochi mezzi non furono più in grado di arrangiarsi a sopravvivere. Molti uomini persero gran parte delle loro possibilità e vennero a trovarsi senza lavoro come le donne.
In un secondo tempo, per legittimare lo sviluppo, si ricorse alla retorica della produzione su piccola scala, delle sussidiarie locali e della autoaffidabilità, in contrapposizione ad una prospettiva illusoria rappresentata dai microprocessori, dalla ingegneria genetica e dagli effetti di ricaduta della concentrazione di capitali in impianti abnormi.
Col passare del tempo queste nozioni in parte si snaturarono, ma non persero il loro fascino. I cinici le declamarono nei loro discorsi, gli ingenui continuarono ad onorarle.

Educazione e sviluppo

Non posso risalire sino alle origini romantiche ed illuministe del legame tra educazione e sviluppo, ma accennerò alla sua storia a partire dalla seconda guerra mondiale.
Per alcuni di noi le due parole fanno lampeggiare il giallo: sentiamo l'esigenza di rallentare. Per altri, la luce che si accende è rossa.
Chi vede acceso il verde non è destinatario di questo studio, costituendone invece l'oggetto.

Il giallo
Per chi vede lampeggiare una luce gialla, la crescita di educazione e sviluppo resta un obiettivo primario. Sa che è necessario cambiare non solo direzione, ma anche metodi ed assunti di fondo.
Il giallo lampeggia per almeno una decina di motivi: l'impennata dei costi, l'emarginazione, l'aumento della polarizzazione sociale, la diminuzione del valore e della qualità di una conoscenza responsabile, la burocrazia che cresce smisuratamente, un professionismo disabilitante, la crescente repressione, la violenza diretta a mente e corpo, la concentrazione dei privilegi.
Si tratta di categorie di mali ben noti. Quando, a metà degli anni '50, si discuteva di sviluppo dell'educazione, i migliori dei miei colleghi erano lucidamente al corrente di queste tematiche. Oggi non vi è alcun bisogno di insistere sul fatto che questi effetti sociali possono trovare un corrispettivo nella produzione di beni e servizi, sono inerenti allo sviluppo e indifferenti agli orientamenti politici dominanti. Vedendo il giallo si rallenta: l'esperienza ci ha insegnato che non si possono gestire costi sociali simili; nella migliore delle ipotesi, si può distribuire socialmente il carico dei costi.
Conosco decine di intellettuali che non hanno perso la loro fede nell'educazione come necessità fondamentale e sperano di impartirla meglio e a più persone.
Continuando a sperare, hanno imparato a mettere in discussione le "verità" fondamentali del passato: si pensi a Ranhema, che ha avanzato dei dubbi sull'alfabetizzazione obbligatoria sostenuta dalle Nazioni Unite; Holt che ha organizzato i genitori in una campagna contro l'obbligo di scolarizzazione e a Ohliger, che ha smascherato l'educazione degli adulti come vanificazione finale delle possibilità di istruzione.
Nel campo dello sviluppo valgono considerazioni analoghe.
Dieci anni fa sembrava che l'eco-sviluppo fosse un passatempo di Sachs. Al giorno d'oggi, rappresenta un insieme di conoscenze pressoché consolidate, in conflitto con interessi radicati.
Vi sono altri innumerevoli esempi. E' difficile sintetizzare un miglioramento come questo, privo di basi ideologiche unitarie. Secondo me, chi non mira a educazione e sviluppo, persegue una trasformazione sociale che comporti un'istruzione informale e renda possibile un maggior numero di attività non economiche, orientate alla sussistenza.
Sotto una luce gialla, l'educazione si persegue con la ricerca di un'istruzione non programmata e lo sviluppo con attività che riducano il bisogno di beni. Istruzione come educazione, soddisfacimento dei bisogni senza produzione e consumo, appaiono come un'alternativa desiderabile a educazione e sviluppo.

Il rosso
Oggi ritengo che educazione e sviluppo siano in primo luogo connessi direttamente ad effetti collaterali contrari ai fini perseguiti. L'educazione mi pare simile ad una strana lezione di nuoto, in cui gli allievi si esercitano a tenersi a galla sopra ad una marea sempre crescente di frammenti di informazione, un'ondata che da molto tempo li ha strappati dal terreno dei significati. A mano a mano che lo studente impara a trattenere sempre più abilmente la corrente di informazioni, viene sgretolato il suo desiderio di ancorarsi ad un sistema di significati.
Mi sembra che, in maniera simile, lo sviluppo economico sia associato alla controproduttività, intesa come la straordinaria capacità delle istituzioni di escludere le persone, specie le meno privilegiate, dagli obiettivi per cui furono create. Per tutto ciò, vedo l'educazione come la minaccia più diretta a quelle condizioni, senza le quali non può aver luogo un apprendimento orientato verso i significati, e la crescita economica come la sfida più pericolosa per quegli spazi comuni e quelle consuetudini su cui poggia la sussistenza vernacolare.
Le analisi a luce gialla e rossa si completano così l'un l'altra.
Sotto la luce gialla, le istituzioni appaiono come sorgenti di diseguaglianza, di privilegio, di distruzione dello spazio urbano.
Sotto la luce rossa, l'educazione sembra minacciare direttamente l'istruzione non formale legittimando la rimozione delle possibilità ambientali di apprendimento e obbligando alla dipendenza dall'informazione programmata.
Sotto la luce gialla, il traffico produce smog, incidenti, rumore e privilegio, mentre sotto la luce rossa la crescita e l'accelerazione del traffico sono viste in primo luogo come modi di riduzione della mutua accessibilità.
Le analisi a luce gialla e rossa restano incomplete, se separate l'una dall'altra, ma, non distinguendole, rimaniamo confusi.
La distinzione occorre perché l'analisi a luce gialla pone la questione dei mezzi e dei fini, non quella degli assunti di fondo, che possono essere analizzati solo sotto la luce rossa.

L'ambiguità della modernità: emancipazione o schiavitù

Si prenda ad esempio il trasporto: molti, tra coloro che sono ancora in vita, in origine possedevano solo un paio di piedi per andare in giro.
La cultura ha definito il raggio dei loro spostamenti, ma all'interno di questo avevano libero accesso l'un l'altro.
Muovendosi di qua e di là, non si trovavano a dipendere (per gran parte del loro tempo) da una risorsa che potesse scarseggiare.
Nel nostro caso tutto è diverso: abbiamo creato un mondo in cui occorre muoversi, in cui si devono macinare "chilometri da passeggeri". Se uno vuole muoversi, deve contendere il posto a sedere a qualcun altro. Apparteniamo alla sottospecie umana homo trasportandus e, allo stesso tempo, a quella di homo educandus.
Un tempo, tutto ciò di cui si aveva bisogno nella vita quotidiana veniva appreso perché aveva un significato e si era dimostrato utile: adesso, invece, ci viene continuamente insegnato ciò che è utile ed ha un significato da un punto di vista che non è umano. Ci viene pure insegnato solo ciò che noi siamo in grado di acquistare o che la società ci può offrire.
L'educazione come prodotto dell'insegnamento, è sempre un bene, un servizio ed in quanto tale scarseggia.
Alla luce di questo esempio, si può comprendere perché l'educazione venga accoppiata alla crescita economica; entrambe le attività si basano sull'assunto di scarsità che tendono a riprodurre insieme alla sua organizzazione ed esperienza. Educazione e sviluppo sono entrambi imprese di costruzioni sociali.
Ognuna delle due crea un nuovo genere di spazio per poi allestirlo. L'educazione crea un vuoto psichico interiore, determinando una domanda di allestimento culturale, di cui monopolizza la scarsa produzione. Lo sviluppo ridefinisce il mondo esterno come ambiente, parola oggi usata per designare il contenitore di risorse scarse in cui viviamo.
Educazione e sviluppo funzionano come profezie sull'uomo che si soddisfano da sé. Creano il soggetto da adibire ai loro strumenti: l'homo economicus.
In entrambi i casi, sono "ambientalmente" efficaci. Creando un vuoto interiore, l'educazione smonta i luoghi comuni del senso e trasforma l'uomo in homo educandus, che deve essere educato per apprendere. Con l'insegnamento, la lingua madre smarrisce il discorso ed il senso vernacolare; lo stesso si può dire della crescita industriale: trasfigura concettualmente e simbolicamente gli spazi comuni in risorse per l'estrazione, la produzione, la circolazione di beni, distruggendo il contesto della sussistenza vernacolare (locale e determinata culturalmente).
Le distanze e le uscite delle autostrade trasformano l'uomo in homo trasportandus: un bipede immobile, se sprovvisto di ruote.
L'homo trasportandus e l'homo educandus non sono esseri immaginari. Tuttavia, io confido nel fatto che non si tratta di una mutazione irreversibile della nostra specie e questa mia speranza è condivisa da molti di coloro che vivono nelle capanne del Messico e nelle desas indiane.

La dimensione comunitaria

Bisogna mettere allo scoperto la storia della scarsità perché se il senso di una scarsità frustrante che definisce la nostra cultura si definisce in essa, deve esserci un termine. In effetti l'ideale illuminista di molecolarità "umana" sta venendo meno.
Lontani dall'essere gli oggetti fondamentali dei nostri desideri, educazione e sviluppo potrebbero risultare niente più che inutili orpelli da usare con cautela.
La transizione da crescita a stato stazionario non deve essere basata sull'homo oeconomicus, il cui bisogno complessivo di sopravvivere ed apprendere può essere soddisfatto attraverso la produzione sociale di educazione e merci.
Non so come chiamare il progetto opposto, consistente nella riconquista del diritto di vivere in comunità autolimitantisi, ciascuna delle quali faccia tesoro delle proprie modalità di sussistenza. Se costretto, potrei chiamarlo il progetto della riscoperta dello spazio comune.
Lo spazio comune, secondo le consuetudini, è di tipo fondamentalmente diverso da quello a cui la maggior parte degli ecologisti si riferisce.
I biologi parlano di habitat, gli economisti di un ricettacolo di risorse e potenzialità.
Il contesto pubblico è opposto a quello privato, né l'uno né l'altro sono ciò che significa comune.
Comune è lo spazio culturale compreso tra la mia pelle e il limite più vicino dell'inabitato. Il costume definisce per ognuno l'utilità dello spazio comune. Lo spazio comune può essere adibito da ognuno ad usi diversi. Lo spazio comune non è l'insieme delle risorse della comunità: diventa una risorsa solo quando il Signore o la comunità lo delimita. Definire dei confini significa trasfigurare lo spazio comune a risorsa per l'estrazione, la produzione e la circolazione di beni.
Lo spazio comune è vernacolare quanto il discorso vernacolare. Non immagino che si possa ricreare il vecchio Comune, ma, essendo privo di un'analogia migliore, mi riferisco alla risocperta dello spazio comune per mostrare come, almeno concettualmente, si possa andare al di là delle nozioni di E&S. Un'azione davvero orientata alla sussistenza trascende lo spazio economico, ricostituisce quello comune.
Ciò è vero tanto per il discorso che riscopre il linguaggio comune, quanto per l'atto che riscopre lo spazio comune nell'ambiente.


* Ivan Illich, nato a Vienna nel 1926, è vissuto a lungo in Europa studiando scienze naturali, storia, filosofia e teologia. Trasferitosi in America, ha insegnato in diverse università, ricoprendo tra l'altro l'incarico di prorettore dell'Università di Portorico. Autore di Descolarizzare la società, La nemesi medica, Il genere e il sesso e Il lavoro-ombra, è considerato uno dei critici più lucidi della crisi delle istituzioni e dei miti della società industriale. Dal 1960 risiede a Cuernavaca in Messico.
{Ivan muore nel 2002 a Brema, dove ha abitato negli ultimi anni della sua vita, in compagnia degli studiosi del "Pudel" ...Il sito di Brema..., ndr}