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Italiani attenti. Il contingente italiano dell’Unifil e i libanesi, amicizia condizionata

di Gianluca Ursini - 28/11/2006

 

Mentre si spengono gli echi della manifestazione antisiriana ai funerali di Pierre Gemayel a Beirut, i soldati italiani nel sud del Libano si chiedono cosa succederà adesso. Il livello di allerta è massimo, dice il sottosegretario alla Difesa Forcieri. Nessuno lo dice apertamente, ma il timore di attentati è alto.

Il 12 settembre il numero due di Al Qaida, il medico egiziano Ayman Al Zawahiri, aveva tacciato le truppe Unifil di stanza in Libano di essere “emissari di Satana in terra”, chiedendo agli aderenti all’organizzazione terroristica di “eliminare questi infedeli”. E proprio Al Qaida era al centro di una preoccupata informativa del ministro degli Interni libanese, Mohamed Fatfat: “L’organizzazione terroristica sta prendendo piede a Tripoli, nel sud della Beqaa e nel campo profughi palestinese di Ain el Helwi”. Il più grande del Libano, a Sidone, a un’ora di macchina dagli accampamenti italiani nei pressi di Tiro.

Khalid Atef. Foto di Gialnuca Ursini“Noi palestinesi, la vostra garanzia”. Il responsabile sicurezza del campo di Ain el Helwi, colonello Akib el Hashi, è sicuro che “la chiave della sicurezza di voi occidentali è in medio Oriente”. Il colonnello non ha “mai sentito di gruppi armati affiliati ad Al Qaida nei campi: qui ci sono cinque gruppi islamici (Hosbah al Answar, Annour, Ansqar al Allah, Ahbash e Jamaat el islamiye, ndr), ma nessuno di loro ha un armamentario consistente. Hanno dei kalashnikov, come tutti qui, ma non un’organizzazione tale da predisporre attentati. Finchè ci sono l’Olp e Fatah gli italiani possono stare tranquilli che i sunniti non saranno una minaccia. Per quanto riguarda Hizbollah, non hanno collegamenti con Al Qaida. Gli Italiani in Libano non verranno mai attaccati da al Qaida finchè ci sono i palestinesi che vigilano.”
Sulla stessa falsariga le considerazioni del generale Khalid Atef, responsabile di Al Fatah per il Sud Libano, un uomo sfuggito a 6 tentativi di omicidio, ci tiene a precisare: “Noi siamo la vostra garanzia da attacchi di Al Qaida, perché finché ci siamo noi i terroristi non avranno contatti nei campi profughi con i gruppi islamisti. Certo non possiamo garantire al cento per cento: non controlliamo le singole persone, ma ci vuole un gruppo molto organizzato per pianificare attentati”. Il generale non crede alle storie di Al Qaida in Libano. “Queste informative su Al Qaida escono a intervalli regolari, diciamo che sono utili per tenerci sotto controllo, perché forse la presenza di palestinesi crea apprensioni. Non abbiamo problemi con Unifil, né ragioni per attaccarli. Se i militari vengono a proteggere i libanesi e gli israeliani non ci saranno problemi, ma se dimostrano di appoggiare solo una parte forse qualche problema nascerà”
Da amico degli italiani, che consiglierebbe? “Anzitutto creare buone relazioni pubbliche, contattare ogni gruppo, per rendere chiaro a tutti che le truppe sono qui per proteggere i libanesi, e non gli israeliani. Se passa il messaggio che gli italiani sono una sicurezza per i libanesi, chi ha in mano il controllo del territorio verrà subito a informarvi di ogni movimento sospetto.. nulla si può organizzare qua senza che i gruppi più potenti lo vengano a sapere”. Il generale Atef congeda con un messaggio per le nostre truppe: “Se qualcosa stesse per succedere, state sicuri che noi palestinesi saremo dalla parte dell’Italia, non dimentichiamo le battaglie che avete combattuto per i nostri diritti politici”

Soldati italiani dell'Unifil. Foto di Gialnuca Ursini “Non è come in Iraq o Afghanistan”.
Mish Mushkili’! “nessun problema” per il sindaco di Tibnin, Alim Mohamad Hashim, “conoscevamo già gli italiani dall’82 e sapevamo che con loro andiamo d’accordo. Penso che all’inizio  abbiano avuto dei problemi a Srifa, perché erano un po’ diffidenti, credevano qui fosse come in Iraq o Afghanistan, ma dopo qualche settimana hanno capito che la situazione qui è completamente diversa”. A Tibnin ha piantato la tende il primo scaglione della truppe italiane in Libano. Il farmacista Ali Hammoud, ha il negozio lungo la strada che porta alla base Unifil: “lI nostri rapporti con le forze italiane sono cordiali. Dopo i primi controlli nei negozi in zona per controllare se ci fossero armi, sono più tranquilli, hanno visto che da queste parti non nascondiamo mitra. Casomai  tutti qui si lamentano che gli italiani parlano poco, sembrano quasi spaventati da noi libanesi, forse credono che qui sia come in Iraq”.
A Srifa gli italiani sono arrivati appena sbarcati e sono rimasti due settimane. al Comando Unifil non si fa cenno del fatto che Srifa è una roccaforte di Hezbollah, mentre ora le truppe sono più tranquille nella cristiana Tibnin. Per Ahmed Nazel, preside della scuola elementare di Srifa “le truppe Unifil qui non erano benvolute, si credeva volessero proteggere Israele e i suoi interessi. Con gli italiani, almeno fino ad ora, è diverso. Qui si sono fatti vedere poco, compravano il pane e poco più, hanno chiesto di assumere interpreti, ma abbiamo fatto pochi affari.” Nabil Jeber era il fornaio che riforniva di pane la nostra base: "certo che apprezziamo gli italiani, ci piace il loro comportamento, un esempio di neutralità, almeno finora, Inshallah".