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Sette giorni tra pace e guerra

di Robert Fisk - 28/11/2006

 
Domenica 19 novembre
A Khiam, nell'estremo sud del Libano, per fotografare i crateri delle bombe israeliane nei quali una equipe scientifica britannica ha rinvenuto tracce di uranio arricchito. Truppe spagnole - unitamente a soldati indiani - pattugliano ora questo pericoloso angolo del Libano e i loro veicoli delle Nazioni Uniti ci passano sferragliando accanto mentre procediamo a bordo della nostra auto sotto un luminoso cielo bianco invernale.
In tutto questo c'è qualcosa di assolutamente irrilevante - giornalisti che scrivono la storia di ieri per il giornale di domani - mentre la pericolosa guerra politica tra i sostenitori del governo libanese - musulmani sunniti e cristiani - e forze filo-siriane che si oppongono al governo, specialmente gli sciiti, usano un linguaggio sempre più incendiario. La leadership sciita di Hezbollah chiede la fine del governo democraticamente eletto di Fuad Siniora salito al potere un anno fa dopo l'assassinio dell'ex primo ministro Rafiq Hariri. I cristiani bollano gli hezbollah come fascisti. Domani il governo dovrebbe approvare l'istituzione del nuovo tribunale dell'Onu per processare i sospetti dell'assassinio di Hariri, anche se tutti i sei ministri sciiti (largamente filo-siriani, ovviamente) hanno rassegnato le dimissioni.

Lunedì 20 novembre
Come c'era da aspettarsi il presidente libanese Emile Lahoud, fedelissimo della Siria, sostiene che il governo non ha il potere costituzionale di approvare il tribunale dell'Onu che potrebbe mettere sotto accusa lo stesso Emile Lahoud. Il mio autista, Abed, rimpiange il mandato francese del Libano sotto il quale è nato. I francesi, secondo Abed, garantirono una pausa tra la brutalità dell'impero Ottomano - il padre di Abed fu strappato alla sua giovane sposa pochi giorni dopo il matrimonio per andare a combattere per i turchi contro il generale Allenby in Palestina - e la corruzione del Libano dopo l'indipendenza. Faccio visita all'ufficio della Bbc nel centro della città per registrare una intervista e parlare con la loro corrispondente da Beirut, Kim Ghattas. Parliamo dell'invito rivolto dal leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, agli sciiti affinché scendano in piazza e le dico che temo che possa esserci ben presto un altro assassinio politico. Faccio il nome di due leader cristiani che potrebbero essere assassinati e la cui morte potrebbe risvegliare i fantasmi della guerra civile.

Martedì 21 novembre
Viene assassinato Pierre Gemayel. Ministro dell'Industria. Cristiano maronita. Ricordo la mia conversazione con Kim Ghattas - tra i due leader cristiani di cui le avevo parlato non figurava il giovane parlamentare falangista. Ma devo aver parlato dei miei sospetti sull'Independent di questa mattina. Ho 38 minuti per scrivere oltre 1.250 parole. Pierre Gemayel, figlio dell'ex presidente Amin Gemayel, nipote del presidente eletto ed assassinato Bashir Gemayel, zio di Maya, la figlia di due anni di Bashir, anch'ella assassinata. Non era sposato. Guidava quasi da solo. Tre uomini armati. È morto in ospedale. Il sesto personaggio politico di spicco ad essere assassinato negli ultimi 20 mesi. Quanti altri omicidi politici prima che si senta il crepitio delle armi?

Mercoledì 22 novembre
I giornali di Beirut sono pieni di foto della madre piangente di Gemayel, Joyce, («quei proiettili gli hanno fatto a pezzi la faccia») e di sua moglie Patricia (era sposato - oggi mi sono arrivate quattro telefonate per segnalarmi l'errore in cui sono caduto). Mi reco sulla scena del delitto. In strada c'è la Kia di Gemayel ancora zuppa di sangue, ancora incastrata nel furgone contro il quale era andata a finire dopo che avevano sparato a Gemayel. Una giornalista australiana, Sophie McNeill della Sbs Television, conta i fori dei proiettili sulla carrozzeria (circa 12) come se fosse un poliziotto della scientifica - e probabilmente se la cava meglio dei veri poliziotti libanesi che girano tra noi fornendo versioni contrastanti dell'accaduto. Sembra che i killer fossero cinque. A volto scoperto. Sophie McNeill suggerisce di chiamare il numero di telefono che si trova sulla fiancata del furgone danneggiato - l'autista deve aver visto chi ha sparato a Gemayel quando la sua auto lo ha centrato. «I nostri uffici oggi sono chiusi», dice la voce registrata. «Riapriranno domani». Come il Libano. A Bifkaya dove il corpo di Gemayel si trova in una bara chiusa (sì, la sua faccia è stata dilaniata dai proiettili). Migliaia di cristiani - e musulmani sunniti e drusi - in nero. Nessuno alza la voce. Nessuno chiede vendetta. Per ora.

Giovedì 23 novembre
Mezzo milione? 250.000? Le stime sul numero delle persone in piazza sono imprecise qui come a Londra o a Washington. Ci sono pochi sciiti. Ne conto solo sei che partecipano alle esequie di Gemayel nella cattedrale di San Giorgio, che si trova accanto alla grande moschea di Hariri - e uno di loro è il presidente del Parlamento. Avevo chiesto a Rudi Polikavic, un vecchio miliziano cristiano nemico dei falangisti durante la guerra civile che reca le cicatrici di tre proiettili sul collo e sulle braccia, di accompagnarmi. Ricevo una telefonata da Amira Solh, che si trova in compagnia di un altro membro della troupe di Al Arabiya, che mi chiede dove mi trovo in mezzo a tutta quella folla. «Sono dalla parte della moschea», urlo e Polikavic scoppia a ridere senza ritegno. «Fisky», grida. «Questa è veramente la storia del Libano. Non siamo forse tutti 'dalla parte della moschea' in questo momento?» Più tardi Rudi ascolterà con orrore crescente l'ex leader della milizia cristiana (e assassino condannato) Samir Geagea applaudito da una folla che forse chiede vendetta.

Venerdì 24 novembre
I negozianti si sono rifiutati di chiudere gli esercizi per uno sciopero indetto dalla Camera di Commercio in segno di protesta contro la paralisi politica del Paese. Hezbollah ha rimandato alla prossima settimana le manifestazioni di piazza. Ma gli sciiti hanno bloccato la strada che conduce all'aeroporto per manifestare la loro rabbia contro i discorsi offensivi nei confronti di Nasrallah fatti ai funerali.

Sabato 25 novembre
Parto da Beirut per un breve viaggio all'estero. Sul ciglio della strada che porta all'aeroporto sono schierati nel buio i mezzi dell'esercito libanese e si può vedere il bagliore delle sigarette dei soldati. La maggior parte delle truppe sono sciite. Cosa pensano mentre fumano una sigaretta dopo l'altra? Il mio aereo sorvola il Mediterraneo all'alba e sotto di me vedo due navi da guerra tedesche, piccole frecce grigie che solcano il mare per conto dell'Onu per impedire che dal mare giungano armi a Hezbollah. Ma penso che Nasrallah abbia armi a sufficienza per un'altra guerra. Non senza ragione controllo il mio biglietto di ritorno a Beirut.