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Perù, l'inevitabile 'insurgencia'

di Siro Asinelli - 28/11/2006



Il presidente del Perú Alan Garcia ha autorizzato le forze dell’ordine “all’uso delle armi, qualora necessario” contro la popolazione insorta in tutto il Paese dopo la diffusione dei risultati ufficiali delle elezioni amministrative tenutesi domenica scorsa.
Violenze e disordini continuano ad essere segnalati in diverse zone del Paese e nei quartieri periferici delle principali città, più in particolare nella metropoli di Lima. Folle di cittadini sono scesi in strada contestando l’esito del voto – nettamente a favore dell’Alianza Popular Revolucionaria Americana (APRA) di Garcia - ingaggiando scontri con la polizia, occupando sedi amministrative e seggi elettorali ed ergendo barricate per bloccare le principali arterie del Paese. La responsabile del ministero dell’Interno, Pilar Mazzetti, ha reso noto un primo bilancio ufficiale di questi primi giorni di guerriglia: “In totale sono 251 le persone arrestate dalla polizia in 115 atti violenti avvenuti tra il 19 e il 22 novembre in tutto il Paese”. Un soldato sarebbe morto dopo essere precipitato in un burrone mentre tentava di sfuggire alla rabbia di un gruppo di dimostranti nella località settentrionale di Chavín, nel dipartimento di Ancash. Nella stessa zona, mercoledì scorso 500 persone hanno preso d’assalto un seggio dandolo alle fiamme. Nei prossimi giorni sono state annunciate decine e decine di nuove mobilitazioni contro la presidenza accusata di rallentare lo sviluppo e favorire i potentati stranieri.
Il liberista filo statunitense Garcia ha così deciso di reprimere con la forza qualsiasi accenno di tumulto, ma il provvedimento non ha attenuato la tensione, scatenando al contrario la rivolta, sul piano politico, di molti dei governatori eletti. I responsabili di Ancash, Cusco, Tacna, Pasco e Huanuco hanno espresso solidarietà con i manifestanti sottolineando come la gestione amministrativa delle loro regioni sia praticamente paralizzata dalle attività della presidenza. “Non vogliamo suonare tamburi di guerra, né vogliamo una sollevazione popolare– ha precisato il governatore di Cusco, Hugo Gonzales – ma pretendiamo che la presidenza ascolti le esigenze di queste terre”. Gonzales, eletto nelle file del partito d’opposizione Unión por el Perú (UPP), ha inoltre specificato che “non si tratta di una rivolta contro il governo centrale, ma si tratta di lottare affinché Garcia rispetti i diritto legittimi della popolazione”. Le rivendicazioni riguardano la sempre più precaria situazione venutasi a creare in tutto il Paese a seguito dell’elezione di Garcia, vincitore lo scorso giugno contro il nazionalista di stampo bolivarista Ollanta Humala. Un’elezione che ha lasciato più di qualche sospetto sulla regolarità del processo di voto.
La nuova presidenza – ma per Garcia si tratta del secondo mandato dopo quello ’85-’90 – si è subito prodigata per mettere in atto politiche neo liberiste: accelerazione dei negoziati con Washington per un accordo bilaterale di libero commercio, privatizzazione delle imprese pubbliche, abbattimento dello Stato sociale, riforme del sistema lavorativo con l’introduzione del precariato e la cancellazione dei più elementari diritti dei lavoratori. Tutte iniziative che, ovviamente, aumentano il divario tra un gruppo dirigente sempre più esiguo ed una popolazione sempre più povera. A tutto ciò si assomma poi la completa apertura alle imprese multinazionali, per lo più statunitensi, per accedere alle risorse del Paese “in piena sicurezza”, ovvero sottraendo qualsiasi forma di controllo alle amministrazioni locali. Lo scoppio delle tensioni sociali era quindi inevitabile.
Oltre a Gonzales, i governatori Jorge Espinoza, Hugo Ordóñez, Félix Rivera e César Alvarez hanno espresso solidarietà alla popolazione chiedendo un’inversione di rotta alla presidenza. “Ci aspettano giorni di dura lotta”, ha dichiarato Alvarez facendo eco alle dichiarazioni del collega Ordóñez che aveva avvertito Garcia che “pur opponendoci ad una politica dell’odio, daremo sostegno alle mobilitazioni popolari”.
Le rivendicazioni di cui si stanno facendo portavoce le opposizioni sono le stesse su cui, nel giro di pochi anni, è stata costruita la legittima Rivoluzione bolivarista in Venezuela e Bolivia, ma il capo di Stato peruviano sembra voler continuare sulla sua strada, evidentemente certo di avere le spalle ben coperte dagli Stati Uniti, ove sole poche settimane fa si è recato per assicurare alla Casa Bianca tutto il suo appoggio al progetto di accordo commerciale in cambio di un remunerativo sostegno alla sua amministrazione.