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Beirut: miscela esplosiva

di Alessia Lai - 28/11/2006



“Il martire del Tribunale delle Nazioni Unite”.
Così Fuad Siniora ha definito Pierre Gemayel, il ministro dell’Industria libanese in quota allo schieramento filo-atlantico ucciso in un agguato martedì scorso. Un altro passo nell’uso propagandistico che la traballante maggioranza di governo fa sia della Corte internazionale che della morte del giovane ministro.
A colloquio con il ministro degli Esteri francese, Douste-Blazy, che dopo la partecipazione ai funerali di Gemayel ha ribadito il pieno appoggio di Parigi all’applicazione della risoluzione 1701 ed al Tribunale internazionale, Fuad Siniora ha espresso la sua ferma volontà di rimanere alla guida del governo, a suo dire come segno di rispetto verso tutti quelli che ha definito “i martiri del ‘14 marzo’”.
Galvanizzando la folla, giovedì, ai funerali del ministro falangista, Amine Gemayel, Walid Jumblatt, Saad Hariri e Samir Geagea hanno promesso delle azioni concrete per mettere fine alla crisi, lasciando intendere la volontà di destituire Emile Lahud.
Le associazioni economiche e industriali libanesi, per appoggiare il governo ‘liberal’ gradito a Washington, hanno indetto uno sciopero generale di due giorni con l’obiettivo di ottenere il ritorno dei ministri dimissionari, la convocazione del Parlamento per ratificare il Tribunale internazionale e la ripresa del ‘Dialogo’.
Da parte sua, il primo ministro ha convocato una riunione di governo per oggi, nella quale l’esecutivo dovrebbe firmare il protocollo del Tribunale speciale. Gli occidentalisti libanesi, quindi, forti dell’appoggio della comunità internazionale al loro esecutivo-fantoccio, forzano ancor di più la mano, imponendo al Paese, per seconda volta, una decisione che verrà sottoscritta da un esecutivo in cui è completamente assente la rappresentanza sciita.
Stavolta, però, Lahud dovrà anche controfirmare il documento istitutivo della Corte a carattere internazionale e, viste le premesse, è improbabile che l’attuale presidente sottoscriva l’atto di un esecutivo da lui stesso giudicato ‘incostituzionale’.
Se la reazione ad un gesto del genere fosse la destituzione forzata di Emile Lahud da parte del triumvirato Hariri-Jumblatt-Geagea, le conseguenze potrebbero essere drammatiche. Fino ad ora Hizbollah ed i suoi alleati non sono infatti caduti nella trappola della violenza, che pure ha lambito la capitale nelle ore successive al funerale di Gemayel. La maggioranza governativa contava in una piazza surriscaldata che magari avrebbe favorito il dilagare di scontri tra le diverse fazioni politiche libanesi. Ma la partecipazione popolare inferiore alle aspettative, che pare abbia creato molto disappunto tra le fila della maggioranza, non ha permesso alle minacce di Geagea – che riferendosi all’opposizione ha affermato “Vogliono lo scontro e lo avranno” – di tramutarsi in atti violenti. Questo perché il ‘Partito di Dio’ ed i suoi alleati hanno invece invitato alla calma i loro seguaci. Le voci che parlavano di due morti nei tafferugli scoppiati giovedì sera non sono state fortunatamente confermate, e il fatto che Hassan Nasrallah, nelle stesse ore, abbia richiamato alla calma ai suoi sostenitori, che avevano creato un blocco sulla strada per l’aeroporto, dimostra la volontà dell’opposizione nazionale di non cadere nella trappola tesa dalle menti che stanno dietro alle ‘forze del 14 marzo’.
Una precauzione che però non fa desistere il movimento di Resistenza dall’intenzione di opporsi all’arroganza degli attuali amministratori ‘per procura’ libanesi. Difatti, Ali al Moqdad, parlamentare di Hizbollah, ha avvertito ieri che, terminati i tre giorni di lutto nazionale, cominceranno le manifestazioni di piazza contro l’attuale governo rinviate in seguito all’attentato contro Pierre Gemayel. La concomitanza, oggi, della fine del lutto con la certa approvazione del documento Onu sul Tribunale internazionale, potrebbe quindi risultare una miscela esplosiva.