Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il risparmio e la corsa al consumismo

Il risparmio e la corsa al consumismo

di Carmelo R. Viola - 30/11/2006





In Italia, paese ormai attaccato dalla malattia a decorso fatale del liberismo selvaggio, come per commemorare l’origine animale dell’uomo, per 365 giorni, ovvero ininterrottamente, si persegue e si incentiva il “culto a chi consuma di più”: per un solo giorno - il 31 di ottobre - si celebra il risparmio.
Il fatto non è soltanto grottesco e ridicolo per sé stesso ma denuncia la gestione fraudolenta del potere monetocratico della piovra appunto monetaria, interna e internazionale, proprio quando il ben retribuito governatore di Bankitalia ci viene ad esortare al risparmio non dopo aver dato, alla maggioranza parlamentare, saggi consigli, come quello, per esempio, di mandare in pensione più tardi in un periodo in cui bisognerebbe ridurre il tempo lavorativo. Tutto questo significa prendersi gioco della gente, che crede di vivere in democrazia, in uno Stato di diritto e per lo meno autonomo.
Tutte menzogne, che vengono portate allo scoperto - ma solo per chi non si è definitivamente abituato ai paraocchi del sistema fino a non accorgersene - quando un personaggio della monetocrazia interna - che sa di potere mentire con gli onori del parlamento e delle istituzioni - esorta, per l’appunto al risparmio, nello stesso momento in cui innumeri spot pubblicitari, soprattutto televisivi, scorrono ininterrottamente negli schermi della TV, pubblica e privata, ad esortare ad una gara - puerile e soprattutto sociolesiva (come dire “antieconomica”) - a chi consuma di più.
Facciamo cenni di chiarezza. Diciamo anzitutto che il sistema, dentro cui siamo costretti a vivere, non è l’economia - come vorrebbe far credere un esercito di economisti convenzionali - ma la predonomia, l’artescienza di predare il prossimo secondo l’antico meccanismo della giungla ma, in quanto uomini, nel rispetto di alcune regole, tese a camuffare un comportamento di fatto predatorio, a ridurre l’uso della violenza fisica (a differenza della predonomia semiclandestina, paralegale “mafiosa”, che mostra il vero volto del capitalismo) e a legittimare i risultati: la disoccupazione, la povertà e la ricchezza senza limite.
In un sistema economico - l’economia avendo una funzione universale e non sperequativa - il risparmio è fondamentale: consiste nel con consumare senza misura fonti esauribili di energia, di alimentazione e di cura medica, nell’evitare lo spreco e nel destinare il superfluo a chi ne ha bisogno (fuori i confini del proprio paese) ma anche nell’evitare che il consumo eccessivo possa nuocere a sé stessi, alla natura e, di rimando, a tutta l’umanità (come purtroppo accade sempre più a causa della pratica della predonomia).
Al posto di tale risparmio ad effetto molteplice e combinato vige il culto del consumo fine a sé stesso, ovvero finalizzato, da una parte, a far credere ai consumatori di essere liberi e di diventare vieppiù importanti consumando beni sempre più sofisticati e più cari, dall’altra, a portare profitti (effetti predatori) alle industrie, insomma agli uomini di affari (i cui successi sono i valori ufficiale di uno Stato capitalista).
A “predicare a tappeto”, e con insistenza sfacciata, tale culto è la cosiddetta pubblicità. La pubblicità, ovvero l’industria della pubblicità, è una vergogna essenziale del sistema, una vera e propria attività criminosa, nascosta, ma non troppo, dietro regole ridicole che hanno lo scopo di legittimarla. Essa consiste in una sistematica-scientifica “pressione dei consumi” con l’utilizzo, questo davvero mostruoso, della psicologia e di ogni modo e mezzo atto a incidere nella psiche dell’ascoltatore. Essa comincia con una menzogna, che è la stessa parola pubblicità usata come se sottintendesse l’attributo “informativa” mentre nasconde la parola “consumistica”.
Tale vergogna-crimine del sistema è assurta al rango di scienza ed ha varcato la soglia dell’università. L’età adolescenziale - antropozoica - della specie umana spinge a tal punto il talento predatorio da abbandonarsi a comportamenti suicidi anche per coloro che al momento ottengono i maggiori profitti. La pressione dei consiste si attua attraverso una ripetizione incessante di immagini, situazioni e parole, spesso veri e propri slogan allo scopo di indurre gli ascoltatori non solo ad acquistare i prodotti pubblicizzarti, ma a tendere sempre più verso il meglio, il più lussuoso, il più costoso anche perché più capace di attribuire al possessore-consumatore una maggiore valenza nella gara a chi vale di più nell’inconscio collettivo di chi pensa secondo parametri borghesi. La pubblicità non risparmia niente e nessuno. Ci sono i prodotti per bambini e adolescenti e, come risposta, il fenomeno dell’obesità infantile, e non solo, causa di una serie di patologie e di danni sociali. C’è la pubblicità delle bevande alcoliche per poi sentirci riferire delle 30 mila vittime annue per alcolismo. Merita una menzione particolare la pressione consumistica dell’auto: mentre la civiltà si dibatte con i problemi dell’inquinamento atmosferico urbano (ma anche mondiale) e di tutta una serie di conseguenze patologiche, mentre le città sono sempre più deturpate da una coltre di motori inquinanti che ne fanno degli immensi posteggi a cielo aperto, la pubblicità spinge a fornirsene sempre di più potenti, più veloci, più straordinarie. E’ ben chiaro che la pubblicità non serve a far conoscere i prodotti nelle loro effettive “identità” e quindi a scegliere - secondo cognizione critica e bioetica - non solo fra i migliori in senso tecnologico ma anche fra i più compatibili con l’ambiente e con la salute.
Sul piano giuridico si può dire quanto segue: in termini di economia vera il semplice consigliare il consumo di un prodotto allo scopo di procurare profitti al produttore, è già un illecito. Ma il fenomeno è molto più grave. La pubblicità viene effettuata in “regime di assenza di diritto”. Questo dimostra come il potere legislativo, essendo esso stesso espressione del sistema di cui fa parte, può operare impunemente anche in fragranza criminosa per il semplice fatto che il diritto dell’intellighenzia borghese o predonomica non ha un riferimento naturale, ma “nasce da sé stesso” essendo semplicemente la legge emanata da un qualsiasi potere. Ci si chiede allora secondo quali parametri si richiama altri al rispetto dei “diritti umani” quando anche la legge coranica è legittima solo perché legge.
Noi ci riferiamo al diritto vero e diciamo che la persuasione al consumo di checchessia per soli fini di mercato è per sé stesso un crimine perché contravviene al diritto naturale di essere sé stesso. A tal crimine concorrono la persuasione semplice e la persuasione occulta. Non è facile dire dove finisca la prima se è vero che la sola ripetizione di uno spot può agire nel subconscio e produrre un’induzione subliminale cioè la vera persuasione occulta. La quale è un crimine non solo per le finalità predatorie dette ma soprattutto perché costituisce un atto di violenza a carico della psiche del soggetto. Dunque, la pubblicità è una serie di crimini – contro la persona, contro la società, contro la natura e, di rimando, contro tutta la specie umana, ma è legale e - per la mentalità borghese – legittima. Il che prova come per il sistema vigente il diritto non è il diritto ma solo le regole di un potere, esattamente come avviene nella dimensione collaterale della “mafia”.
A fronte della negazione totale dell’economia vera e dello scempio del diritto, il 31 di ottobre si leva la parola nazionale della piovra monetocratica - vera padrona dello Stato e degli Stati - ad esortare al risparmio. Ma anche qui si usa una sola parola per nascondere fini speciosi. Infatti, non si dice che esiste una vera e propria industria del risparmio, gestita dalla suddetta piovra, e né che il risparmio non consiste - come nella vera economia - anche nel differire il consumo del proprio potere di acquisto, ma nel portare danaro agli istituti di usura e ladrocinio che sono le banche in vista di un esiguo interesse di consolazione.
In uno Stato sociale e di diritto non c’è bisogno di giocare al ridicolo “debito pubblico” (che lo Stato ha con i propri cittadini e con la piovra bancaria), perché esso è padrone della propria moneta che usa passivamente per organizzare il lavoro, costruire le infrastrutture e distribuire i prodotti del lavoro stesso secondo equità e bisogno. Ma tale Stato è nel contempo padrone dei mezzi di produzione e, attraverso il circuito produzione-consumo, riprende la moneta non avendo bisogno delle manovre acrobatiche dell’annuale legge finanziaria.
Per concludere ricordo che la frode del risparmio del solo nostro paese - se non sono male informato- è di ben 140 miliardi di euro. Tale risparmio è precisamente una parte del potere di acquisto che il soggetto affida in “predazione assistita” a speculatori del settore.
Come volevasi dimostrare.