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2035, il mondo è della «quarta età»

di Anna Maria Merlo - 04/01/2007

 
Secondo uno studio demografico, l'età media è destinata ad aumentare
Tra 29 anni anche nei paesi in via di sviluppo cominceranno a diminuire le nascite e la popolazione sarà sempre più anziana, con 143 milioni di persone che avranno più di 80 anni. Tra le possibili conseguenze dell'invecchiamento globale ci sarà anche la mancanza di manodopera



La mondializzazione non è solo economica, è anche demografica. Il mondo cioè tende ad uniformarsi molto in fretta anche in questo settore, comportando cambiamenti radicali che non sarà facile gestire. Politique étrangère, la più vecchia rivista di politica estera francese, festeggia i 70 anni di vita con un numero speciale, all'interno del quale è pubblicato un interessante saggio dei demografi Jean-Claude Chasteland e Jean-Claude Chesneais «1935-2035: un secolo di rotture demografiche».

Si tratta di un «secolo unico nella storia dell'umanità», già trascorso per tre quarti, nel quale la popolazione umana conosce un aumento senza precedenti, passando da 2 a più di 8 miliardi. All'inizio della nostra era gli abitanti della terra erano solo 250 milioni e il numero varia poco fino al XVIII secolo. Sarà la diminuzione della mortalità a cambiare la situazione, grazie alla rivoluzione sanitaria, prima nei paesi sviluppati poi estesa, in modo ineguale, a quelli in via di sviluppo. Ma dalla fine degli anni '60 si è verificata una decelerazione spettacolare della crescita demografica, prima nei paesi avanzati, a un ritmo più lento, poi nei paesi in via di sviluppo, a una velocità impressionante (per il momento, solo l'Africa sub-sahariana e la penisola arabica restano escluse da questo movimento). Cosa ci promette il futuro? L'estensione a tutta l'umanità della cosiddetta seconda transizione demografica, con un rallentamento della fecondità da un lato e un invecchiamento progressivo della popolazione dall'altro: oggi il tasso di crescita della popolazione mondiale è sceso all'1,2% e nel 2035 non sarà probabilmente che lo 0,7% (cioè sulla Terra ci saranno 8,5 miliari di individui). E questa crescita, che potrebbe anche essere l'ultima nella storia dell'umanità, sarà dovuta a tre fattori: il prevedibile calo della mortalità, malgrado la pandemia di aids, la sopravvivenza di alcune zone ad alta fecondità e, soprattutto, l'invecchiamento della popolazione, che riguarderà i paesi in via di sviluppo in particolare. « Su scala mondiale - scrivono gli autori - il nuovo orizzonte demografico è la fine della crescita, se non addirittura la decrescita, della popolazione e un invecchiamento generalizzato». Nel '70, l'età media della popolazione mondiale era di 22 anni, oggi è di 27, nel 2035 sarà di 34. Nei paesi sviluppati, dove questo fenomeno ha impiegato 150 anni a realizzarsi, l'età media passerà dai 39 anni del 2005 a 45 anni nel 2035 e il numero delle persone di più di 65 anni supererà per la prima volta nella storia quello dei giovani con meno di 15 anni. Tra il 2005 e il 2035 il numero delle persone con più di 65 anni passerà da 189 milioni a 296 milioni nei paesi industrializzati, ma triplicherà (da 131 a 336 milioni) nella sola Asia dell'est. Il numero delle persone con più di 80 anni, la «quarta età», raddoppierà nei paesi sviluppati (da 42 a 89 milioni), ma triplicherà nel terzo mondo (da 41 a 143 milioni). Sarà una popolazione, per di più, concentrata in una manciata di paesi : Cina, India, Giappone, Germania e Russia.

Fino al '14, l'allungamento della durata della vita (e quindi la crescita demografica) concerne quasi esclusivamente l'Europa, i paesi popolati dagli europei (America del nord e alcuni paesi dell'America latina, come l'Argentina o il Cile), il Giappone e i paesi asiatici dell'orbita giapponese (Corea, Taiwan). Tra le due guerre, gli effetti della medicina di Pasteur si estendono ai paesi in contatto con le zone avanzate: Brasile, Messico o Colombia in America latina, India, Indonesia, Cina, Africa del Nord e alcune colonie dell'Africa sub-sahariana. In India, per esempio, la speranza di vita è pressoché triplicata rispetto agli anni '20.
Negli anni '60, la crescita demografica mondiale tocca il suo livello massimo : 2,1% l'anno. Malgrado la seconda guerra mondiale, tra il '35 e il '70 la crescita demografica è stata costante. Ma a metà degli anni '60 ha luogo un avvenimento che allora è stata sottovalutato ma che si è rivelato essere un elemento-chiave della storia demografica contemporanea: la fecondità ha cominciato a diminuire simultaneamente in varie regioni del mondo. L'indice di fecondità mondiale passa da 5 nel periodo '50-'55 al 2,7 attuale (2,1 nelle previsioni per il 2030-2035).

Il fenomeno riguarda tutti, dagli Usa all'Australia, ma anche l'America latina, la Turchia e, a partire dagli anni '70, anche i grandi paesi dell'Asia e l'Africa del Nord. Secondo dei dati Onu, nel 2035 solo alcuni paesi, in Africa sub-sahariana o in Asia dell'ovest e del sud, avranno una fecondità di di sopra della soglia di rinnovamento delle generazioni (2,1 bambini per donna). Nei paesi industriali «c'è voluto più di un secolo perché la fecondità passasse da 5-6 bambini per donna a 2, mentre paesi come la Cina, il Brasile o l'Iran hanno impiegato solo una trentina di anni per fare lo stesso percorso». Inoltre, bisogna tener presente che in Europa, tra le due guerre, la fecondità aveva conosciuto un calo enorme, poi cancellato dalla memoria collettiva dal baby boom del dopoguerra. Oggi, siamo di nuovo di fronte a un crollo analogo : la media in Europa è di 1,4 bambini per donna, con paesi a maggiore natalità (come la Francia o la Svezia, che hanno adottato forti politiche di natalità), e altri (Italia, Germania, Spagna) al di sotto della media (1,3). In Russia e Ucraina siamo ormai all'1,1. In Europa 13 paesi sono entrati in una fase di depopolazione, con tassi di crescita negativi. Nel 2035 la struttura della piramide demografica dei paesi in via di sviluppo sarà simile a quella dei paesi sviluppati degli anni '80.

Questa situazione avrà conseguenze economiche importanti. A cominciare - anche se oggi sembra paradossale, vista l'alta disoccupazione - dalla mancanza di manodopera a tutti i livelli. «La questione della popolazione può diventare di nuovo una causa di tensione internazionale» scrivono i demografi, invitando a una gestione coordinata delle migrazioni, perché ci sarà concorrenza nell'attirare esseri umani tra qualche anno. E in questa gara, l'Europa ha tutto da perdere: ha una fecondità deficitaria (1,4) rispetto agli Usa (2,1) e «una più grande resistenza all'immigrazione».