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Dov'è finito il freddo? Aspettiamoci le peggiori estati possibili...

di Gabriele Beccaria - 07/01/2007

 
«E’ gennaio e sembra aprile». E’ la battuta che circola in queste ore a New York e sta diffondendo l’Associated Press. Le massime a Manhattan si aggirano sui 10 gradi, fatto inaudito. E dall’Europa (che per il clima ha maturato un’ossessione che inizia solo ora a contagiare i cugini di oltreatlantico) arriva la conferma scientifica, orrida come una condanna a morte: il 2007 sarà l’anno più caldo della storia, da quando - da un paio di secoli - l’uomo si è preoccupato di prendere la temperatura al pianeta. La previsione è degli studiosi del Met Office, l’ufficio meteorologico britannico. Secondo i loro calcoli, c’è il 60% di probabilità che i prossimi 12 mesi battano il già celebre record del ‘98, quando le temperature medie superarono di 0,52 gradi centigradi le registrazioni storiche. «I dati - ammoniscono - rappresentano un ulteriore avvertimento sulla realtà del riscaldamento globale». Se gennaio sembra aprile, è ora che un brivido di paura scorra per la schiena di europei, americani, cinesi e indiani, il quartetto dei mega-inquinatori.

Nel gioco delle coincidenze, infatti, mentre da Londra partiva l’allarme, dalla Germania il professor Gerald Haug ha fatto sapere di avere trovato le prove geologiche del crollo in contemporanea di due imperi del passato, la dinastia Tang in Cina e i Maya del Centro America raccontati dallo sconvolgente «Apocalypto»: colpa in un caso e nell’altro di una catastrofe climatica globale tra il 750 e il 950 segnata da lunghissime fasi di siccità. Adesso, più di un migliaio di anni dopo, il caldo anomalo infierisce sul nostro emisfero, da New York a Mosca e da Berlino a Chicago, e inonda anche il Mediterraneo: da giorni, perfino nel grande Nord, le minime non riescono a scendere sotto lo zero e i casi più clamorosi - per ora vissuti con uno humor che neppure la visione del kolossal di Mel Gibson ha intaccato - sono i golfisti comparsi sulle rive del Lago Michigan (come se fosse primavera inoltrata), le avenue di Manhattan senza un fiocco di neve (non accadeva dal 1877), le fioriture inattese in Maryland, l’addio alle gare di pattinaggio e di pesca sul ghiaccio sul Mississippi, le piste da sci sulle Alpi ridotte a esili strisce biancastre, i pollini fuori stagione segnalati in molte aree d’Europa e - visto che è il momento di coincidenze e simboli - lo sconcerto dei turisti, che a Rovaniemi, il paese di Babbo Natale, trovano un panorama brullo che di natalizio non ha nulla: di neve neanche l’ombra. I motivi sono due, ha spiegato ieri Chris Folland del Met britannico. Uno è scontato e il secondo un po’ meno, per i non addetti ai lavori: «I gas serra alzano le temperature e si stanno intrecciando con gli effetti di surriscaldamento di el Niño».

Purtroppo è la peggiore combinazione possibile: continuiamo a sporcare l’aria come se niente fosse (siamo arrivati a 430 parti per milione di Co2 rispetto alle 280 degli albori della rivoluzione industriale) e intanto la natura ci beffa con il ritorno del fenomeno delle correnti calde nel Pacifico: appaiono periodicamente al largo del Sud America, ma - spiegano gli studiosi dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale - sono dotate di un potere globale in grado di alterare l’intero software del clima terrestre. Stavolta raggiungeranno il massimo entro aprile (ecco l’ennesima sinistra coincidenza) e scateneranno conseguenze a catena fino a buona parte del 2007, per esempio inondazioni nell’Ovest degli Usa e siccità in Australia. Nessuno vuole pensare al destino dei Tang e dei Maya, ma si stanno facendo i conti: l’aggravarsi dell’effetto serra costa soldi e vittime e costerà sempre di più. Almeno il 10% del pil dei cinque continenti - si dice alla Banca Mondiale - se staremo a guardare lo spettacolo inerti, come se fossimo al cinema con «Apocalypto».