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Il Brasile di Lula da Silva, nucleare e Terzo mondo

di Pier Francesco Galgani - 13/11/2005

Fonte: paginedidifesa.it

Secondo una recente notizia di agenzia il Brasile sarebbe riuscito a ultimare la costruzione di un reattore nucleare che dovrebbe essere usato per equipaggiare il primo sottomarino alimentato con energia atomica. Il progetto conosciuto con l'acronimo Snac-2 è stato lanciato nel 1979 in parallelo con lo sviluppo del programma Snac-1 rivolto alla produzione di sottomarini con motori convenzionali ed è giunto alla fase operativa solo oggi a causa di consistenti tagli ai finanziamenti operati in passato. I piani attuali prevedono la realizzazione della prima unità nucleare costituita da tre sottomarini entro il 2018. Secondo Leonan Guimaraes, responsabile del centro tecnologico della marina militare a San Paolo, il reattore non entrerà subito in funzione perché manca ancora parte del combustibile nucleare in corso di arricchimento presso la centrale atomica di Angra dos Reis.
La notizia ha destato una certa apprensione e molti osservatori hanno ricordato il lungo braccio di ferro tra il Brasile e l'Agenzia internazionale energia atomica (Aiea) del 2004. In quella occasione le autorità carioca negarono agli ispettori dell'agenzia l'accesso a un impianto di arricchimento dell'uranio situato a Resende, a nord di Rio de Janeiro. I responsabili sostennero di voler tutelare i diritti di proprietà intellettuale sulla tecnologia usata nelle centrifughe per l'arricchimento e di non aver alcuna intenzione di sviluppare un uso bellico delle proprie capacità nucleari.
La polemica si concluse poi con l'accesso degli ispettori. In passato le giunte militari che avevano governato il paese avevano tentato l'avvio di un programma nucleare a scopi non solo civili ma anche militari. Secondo quanto affermato da Josè Sarney primo presidente della Repubblica democraticamente eletto, in una intervista alla rete televisiva Globo, lo scorso 7 agosto, un anno dopo la sua elezione del 1986 venne a sapere che in base a programmi avviati dal precedente governo militare era in corso la perforazione di alcuni siti nella zona settentrionale del Parà per l'esecuzione di test atomici sotterranei. Venne deciso di bloccare tutti i lavori e nella Costituzione entrata in vigore nel 1988 il Congresso brasiliano dell'epoca stabilì che ogni attività nucleare avrebbe dovuto essere condotta solo a scopo pacifico.
Dieci anni dopo, nel 1998, il Brasile ha aderito al Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) anche con l'appoggio del PT (Partito dei Lavoratori) di cui era leader l'attuale presidente Luis Ignazio Lula da Silva. Questi, da candidato alla presidenza nel 2002, manifestò grande entusiasmo per il progetto della Marina di costruire un sottomarino a propulsione nucleare e pur senza disconoscere la partecipazione del suo paese al Tnp, sostenne che questo accordo non era riuscito a garantire l'effettivo disarmo delle nazioni già detentrici di un arsenale nucleare, con il risultato che coloro che disponevano di una capacità di distruzione illimitata impedivano alla maggioranza l'accesso a "certi armamenti".
Secondo il futuro presidente, tale disparità di potere nelle relazioni internazionali avrebbe dovuto essere corretta. Malgrado i toni forti usati in quella occasione (un discorso del settembre 2002 di fronte alla Fondazione alti studi e strategia di Rio), negli anni successivi Lula non ha ripetuto tali affermazioni ma ha continuato a dare grande importanza alla ricerca nucleare a scopi civili e come mezzo di trazione come dimostra il progetto Snac-2. Le ragioni di questa scelta sono molteplici. Prima di tutto facilitare l'approvvigionamento di energia. Nel corso del 2001 il Brasile venne colpito da una grave crisi energetica che comportò vasti razionamenti nelle forniture elettriche di ampie zone del paese. Il predecessore di Lula, Fernando Cardoso, venne accusato di non essere riuscito a evitare tale crisi e secondo molti osservatori queste critiche favorirono la vittoria elettorale di Lula.
Questi, non appena eletto volle evitare gli errori del suo predecessore e favorì l'adozione di una politica energetica diretta alla differenziazione delle fonti di energia, con particolare riguardo all'ulteriore sviluppo delle centrali atomiche. In ciò venne facilitato anche dalla relativa disponibilità di combustibile nucleare presente in Brasile: in base ai dati disponibili il paese latinoamericano è la sesta nazione al mondo per riserve di uranio possedute.
L'altra ragione alla base della scelta atomica brasiliana è il prestigio internazionale collegato allo sviluppo delle tecnologie nucleari. Sempre dalle parole di Lula, affinché un paese possa ottenere il rispetto delle proprie controparti sulla scena internazionale deve essere molto forte da un punto di vista militare, economico e tecnologico. A questo scopo appare coerente l'ulteriore approfondimento delle ricerche in campi ad alto contenuto tecnologico come il settore atomico di cui lo sviluppo del sottomarino a propulsione atomica rappresenterebbe la punta di diamante.
Le affermazioni di Lula indicano l'intenzione del Brasile di abbandonare la tradizionale posizione di media potenza per ricoprire un ruolo di maggior rilievo nel contesto internazionale. Le premesse per giocare un ruolo internazionale diverso esistono. Secondo un rapporto pubblicato dall'Economist il 5 novembre scorso, il Brasile si avvia a divenire una super potenza agricola: già oggi il paese latinoamericano è il maggior esportatore mondiale di carne bovina, caffè e succo d'arancia, mentre sta per raggiungere il vertice nell'export di soia, pollame e carni di maiale. Le sue coltivazioni si estendono per 90 milioni di ettari senza intaccare le foreste amazzoniche. Il commercio agricolo e l'indotto collegato rappresentano il 40% della bilancia commerciale brasiliana che nel 2004 ha raggiunto un surplus di ben 34 miliardi di dollari, un risultato vitale per una economia tuttora caratterizzata da una forte esposizione debitoria estera.
Non solo, lo sviluppo tecnologico brasiliano è strettamente collegato alle enormi potenzialità agricole del paese. Il concetto delle "conoscenze applicate alla natura" sono alla base di interessanti ritrovati scientifici del paese sudamericano come il progetto sviluppato negli anni 70 del carburante per auto costituito da alcool estratto dallo zucchero o il notevole sviluppo di plastiche biodegradabili. Attualmente l'economia brasiliana si trova all'ottavo posto tra i paesi maggiormente industrializzati (al primo tra le nazioni sudamericane) con una popolazione di 180 milioni di abitanti e un Pil di oltre mille miliardi di dollari. Cifre e risultati di rilievo che, pur se accompagnati da un diffuso livello di povertà tra le classi meno abbienti, hanno convinto le autorità brasiliane della necessità di compiere un salto di qualità sul palcoscenico internazionale.
La strategia carioca è simile alla visione dei tre cerchi che si intersecano, di churchilliana memoria, con l'America Latina al posto dei rapporti privilegiati con il Commonwealth britannico, il rapporto con gli Stati Uniti e i paesi di quello che oggi è conosciuto come "sud del mondo" al posto delle nazioni europee riunite negli organismi comunitari. Le relazioni con gli altri Stati facenti parte del Sud America costituiscono il primo cerchio della politica estera brasiliana, il più vicino ma anche il più importante per una inevitabile comunanza di valori e di esperienze. Il Brasile è membro del Mercosur, l'area di libero scambio nata nel 1991 con Argentina, Uruguay e Paraguay in cui entrerà anche il Venezuela e tra queste è l'economia più forte e in maggior crescita. L'intenzione del gigante sudamericano è trasformare la propria supremazia economica in forza politica per assurgere a un ruolo di guida del continente sudamericano.
Alla luce di questo obiettivo devono essere interpretati sia i buoni rapporti con il Venezuela di Chavez e la sua iniziativa denominata Alba (Alternativa Bolivariana per le Americhe) volta a favorire una maggiore integrazione tra i paesi latinoamericani per contrastare l'egemonia statunitense e permettere a tale nuova identità politica di contare di più sulla scena internazionale, sia il notevole impegno militare brasiliano nella missione Onu per la stabilizzazione di Haiti. Considerazioni simili valgono anche per il recente stallo nei negoziati panamericani per la realizzazione dell'area di libero scambio delle Americhe - o Ftaa secondo la dizione inglese - tenuti a Mar del Plata in Argentina tra il 4 e il 5 novembre scorsi. In quella sede il presidente Bush non è riuscito a convincere i Paesi membri del Mercosur della necessità di concludere le trattative per la costituzione di un'area di libero scambio estesa dal Canada alla Terra del Fuoco.
I rappresentanti argentini e brasiliani non hanno rifiutato a priori il concetto della liberalizzazione del commercio, come invece ha fatto Hugo Chavez che in Argentina ha dichiarato morto il progetto bushiano del Ftaa, ma si sono opposti alla sua versione statunitense. Come ha sostenuto il ministro degli Esteri brasiliano Celso Amorin, il suo Paese intendeva capire quali potessero essere i vantaggi di un simile accordo per il Brasile e gli altri Paesi del Mercosur. Questi, forti esportatori di prodotti agricoli, hanno chiesto agli Stati Uniti di non sovvenzionare gli agricoltori americani, distorcendo la concorrenza internazionale in cambio di concessioni su diritti di proprietà intellettuale e di accesso ai mercati. Di conseguenza, i colloqui di Mar del Plata si sono interrotti con un nulla di fatto, rimandando eventuali nuove trattative a un momento successivo ai negoziati del Doha Round, nell'ambito delle procedure della World Trade Organization (Wto) che si terranno il prossimo mese di dicembre.
Tali colloqui dovrebbero essere forieri di nuove regole del commercio, tali da riequilibrare i rapporti di forza economici e commerciali tra tutti i protagonisti internazionali, soprattutto in relazione agli interessi agricoli brasiliani e del Mercosur. Un accordo sul Ftaa senza Brasile e Argentina non avrebbe avuto grande significato. L'incontro di Mar del Plata e il confronto con Washington possono essere di aiuto per comprendere l'altro cerchio della politica estera brasiliana e cioè i rapporti con gli Stati Uniti. Come sostenuto nella conferenza stampa congiunta tenuta a Brasilia da Bush e Lula lo scorso 6 novembre il Brasile e gli Stati Uniti sono le due maggiori democrazie del mondo occidentale e sono legate fra loro da una relazione di mutua interdipendenza: gli Usa sono il principale partner economico del Brasile, il paese oggetto delle maggiori esportazioni brasiliane e la principale fonte di investimenti diretti esteri; per Washington il grande Paese meridionale rappresenta il principale mercato sudamericano.
Consapevole di ciò, Bush ha sostenuto che il suo Paese si sarebbe impegnato ad abbassare le tariffe americane sui prodotti agricoli del suo vicino meridionale - a patto che anche l'Unione Europea avesse fatto lo stesso - e a ridurre le sovvenzioni finanziarie agli agricoltori americani. Se le fortune economiche dei due Paesi sono strettamente legate l'uno all'altro, spesso però il loro rapporto ha assunto caratteri conflittuali. L'origine delle divergenze può essere rinvenuto nelle aspirazioni brasiliane a svolgere un ruolo di mediazione tra i paesi sviluppati e l'insieme di paesi conosciuti oggi come "Sud del Mondo", tra i quali rientrano le nazioni africane e gli Stati arabi. Nei primi tre anni della sua presidenza Lula ha compiuto una lunga serie di viaggi che lo hanno portato ad allargare gli orizzonti della politica estera brasiliana a nazioni lontane dalle sue tradizionali linee di sviluppo. Nel maggio scorso a Brasilia si è tenuto il primo summit congiunto tra Sud America e Paesi arabi sotto la presidenza di Lula allo scopo di incrementare i rapporti economici tra le due realtà. Lo stesso è accaduto con vari Paesi africani.
Tale grande fermento diplomatico sembrerebbe indicare la volontà del Brasile di incarnare il ruolo di interprete presso i Paesi occidentali più sviluppati delle istanze e delle necessità dei Paesi meno progrediti e rivendicare a loro nome un ruolo di maggior rilievo nelle relazioni internazionali, anche a scapito delle consolidate posizioni di potere europee e statunitensi. In un discorso tenuto nell'agosto del 2003 Lula sostenne che il Brasile avrebbe dovuto impegnarsi a impostare un nuovo tipo di politica estera per aiutare a costruire un ordine mondiale più giusto e più democratico, un mondo in cui porre fine all'anarchia finanziaria internazionale e alle pressioni che essa esercita sulle economie in via di sviluppo dove la fame, la disoccupazione e l'esclusione sociale avevano ormai raggiunto proporzioni allarmanti, sbarazzandosi del protezionismo palese e nascosto che avrebbe continuato a marginalizzare i paesi poveri. Un ordine fondato sulla difesa del multilateralismo che permetta sia il rispetto dei diritti umani sia del diritto internazionale.
Per fare ciò - concludeva Lula nel suo discorso - vi sarebbe stato bisogno di una ampia riforma degli organismi multilaterali comprese le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza dove il Brasile avrebbe dovuto ottenere un posto di membro permanente. Una prospettiva non gradita da Washington, che teme il pericolo di una possibile paralisi del massimo organo decisionale internazionale dovuta a eventuali diritti di veto esercitati dal Brasile in tutte quelle scelte che potrebbero riguardare i Paesi in via di sviluppo. Non a caso nella dichiarazione congiunta rilasciata dalle due delegazioni americana e carioca dopo l'incontro tra Bush e Lula dello scorso 6 novembre non vi è traccia della candidatura brasiliana al Consiglio di Sicurezza.