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Ustica. Ragion di Stato è fatta

di Massimo Ortalli - 21/01/2007

 


Ormai, per noi con i capelli grigi, non è certamente una novità. Ma non riusciamo comunque ad abituarci, e soprattutto a rassegnarci. Ancora una volta un organo dello Stato, la magistratura, assolve vergognosamente un altro organo dello Stato, il corpo militare, in nome della ragion di Stato e del sacro principio che lo Stato non condanna, né può condannare se stesso. E ancora una volta per una delle più gravi tragedie che abbia colpito l'Italia repubblicana, in questo caso l'abbattimento, in tempo di pace, di un aereo civile sul cielo di Ustica, non solo non si trovano colpevoli e fiancheggiatori, ma si offendono, volutamente e cinicamente, le vittime innocenti, i loro famigliari e quanti ancora credono che il senso della giustizia debba avere diritto di cittadinanza in un paese che pretende di definirsi civile.
Come si sa, il 27 giugno 1980, la bellezza di 27 anni orsono, un DC9 dell'Itavia proveniente da Bologna e diretto a Palermo precipitava in mare causando la morte di 81 persone, fra equipaggio e passeggeri. Tra questi 13 bambini. Frettolosamente attribuito a un cedimento strutturale (cosa che fra le tante conseguenze portò al fallimento dell'incolpevole compagnia aerea), l'incidente sembrava ormai chiuso, se non fosse stato che una serie di circostanze, e soprattutto la tenacia dei famigliari delle vittime e di alcuni giornalisti, riuscì a impedire che prevalesse la ragion di stato e ad imporre nuove indagini.
Erano anni, quelli, nei quali una forte e diffusa coscienza civile, allenata a non credere alle verità ufficiali sulle innumerevoli stragi di stato che venivano continuamente smascherate da un lavoro di controinformazione serrato ed efficace, creò attorno alla Associazione dei Famigliari delle vittime di Ustica una fitta trama di solidarietà popolare, in grado, a tratti, di sfiorare anche pezzi di istituzioni. Solidarietà che consentì ai parenti di non cedere alla rassegnazione ma di intraprendere un tenace percorso di denuncia e informazione che permise, anche se faticosamente e a bocconi, di arrivare alla verità. Non certo alla verità dei tribunali o a quella "ufficiale" del governo, ma a quella che descriveva con esattezza la dinamica della tragedia: una battaglia in piena regola tra aerei della Nato, americani e francesi, e Mig libici per intercettare un aereo di linea sul quale si supponeva viaggiasse Gheddafi, allora principale nemico del libero occidente. Il DC9, seguendo correttamente la propria rotta, commise l'errore di "disturbare" le manovre di quei miserabili top-gun, e un missile (l'unica incertezza rimasta è se fosse americano o francese) tolse di mezzo l'incomodo. E pazienza per le vittime civili!
Come è facile immaginare, nessuno degli organi militari preposti al controllo delle rotte aeree e alla sicurezza dei cieli italiani, c'era. E se c'era dormiva. Dovevano dormire infatti i radaristi delle varie stazioni radio, dovevano dormire gli ufficiali dell'aeronautica responsabili di queste stazioni, dovevano dormire i generali e i capi di Stato maggiore responsabili dei loro sottoposti, dovevano dormire gli organismi parlamentari di controllo sulle attività militari, dovevano dormire, infine, governo e ministri. Tutti, dal primo all'ultimo di questa infame catena, mostravano, di fronte alle denunce sempre più articolate e incontrovertibili, di cadere letteralmente dalle nuvole. Insomma, un'ammucchiata di anime candide preoccupate che un sonno collettivo facilitasse, così, il sonno della verità.
Dicevamo che solo la tenacia dell'Associazione dei famigliari delle vittime - e in particolare quella del suo presidente Daria Bonfietti che nella tragedia ha perso il fratello e che da allora conduce una coraggiosa battaglia di denuncia civile – ha impedito il seppellimento della memoria non solo riportando continuamente all'attenzione delle coscienze il ricordo della tragedia ma anche svelando, una volta di più, i meschini e criminali meccanismi messi in atto dai più alti vertici civili e militari per preservare la ragion di Stato. È poca cosa, ma è pur sempre una piccola consolazione, pensare che i ritardi cronici di una magistratura che, salvo rare eccezioni, ha indolentemente portato avanti processi per decenni, hanno, se non altro, impedito ai responsabili dei depistaggi delle menzogne di Stato di dormire finalmente sonni tranquilli. O almeno così speriamo.
Oggi, infatti, con la sentenza della Cassazione che assolve definitivamente i vertici dell'aeronautica militare, gli ultimi imputati di "attentato contro organi costituzionali", equivalente all'alto tradimento, la partita, per quanto riguarda le loro responsabilità di depistaggio e insabbiamento, sembra essersi definitivamente chiusa. Opportunamente derubricato dal governo Berlusconi tale reato a semplice turbativa, qualora non commesso con violenza - e la menzogna non può essere considerata atto violento – la logica conclusione di questa lunga catena di vergognose menzogne è un'assoluzione perché il fatto non sussiste. E in effetti, ci mancherebbe anche che la ragion di stato fosse un reato perseguibile dal primo giudice che gli saltasse in mente di farlo!
Ha ragione la presidentessa dell'Associazione dei famigliari delle vittime quando afferma che "Ustica è un grande problema di dignità nazionale con il quale dobbiamo continuare a fare i conti". E infatti con questa tragedia, come con tutte le altre irrisolte tragedie italiane che hanno visto lo Stato o protagonista, o complice, o passivo osservatore, dobbiamo continuare a fare i conti. Per inchiodare i responsabili alle loro colpe, per denunciare la natura profondamente criminale della cosiddetta "ragion" di Stato. Anche perché il reato di strage, almeno quello, non può cadere in prescrizione né può essere "un fatto che non sussiste".