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Progresso è consumare di più?

di Giancarlo Terzano - 22/01/2007

 
 
 
Una buona notizia viene dalla Svezia: il governo di Stoccolma ha deciso che entro il 2020 farà completamente a meno del petrolio. Preoccupazioni ambientali e la volontà di sganciarsi dal caro-petrolio già da anni avevano convinto gli scandinavi a puntare su altre fonti, nucleare, certo, ma soprattutto rinnovabili. Ora il taglio è netto e nei prossimi mesi un comitato composto da tutte le categorie interessate (tra gli altri, vi partecipano scienziati, industriali, produttori di auto e agricoltori) dovrà indicare al Parlamento svedese come realizzare l’ambizioso progetto di fuoriuscita dall’oro nero. In vista anche di un progressivo abbandono del nucleare (già disposto da un referendum popolare), si punterà soprattutto sull’idroelettrico, sulla geotermia e sulle biomasse, grazie alle foreste e ai residui della lavorazione della cellulosa. Sono coinvolte anche le case automobilistiche svedesi, Saab e Volvo, chiamate a sviluppare motori ad etanolo. Il progetto è ambizioso, e merita un plauso: gli svedesi, almeno ci provano.
Al contrario degli italiani. Che da tempo hanno rinunciato a progetti ambiziosi (figuriamoci nel campo ambientale!) e che per i prossimi anni continueranno a dipendere, per un buon 90% del fabbisogno energetico, da fonti fossili: per il 35-40% dal petrolio, per un abbondante 40% dal gas (russi e arabi permettendo), e per il resto dal carbone, mentre le fonti rinnovabili non incideranno, nel medio-lungo periodo, mai oltre il 10% (scenari tendenziali descritti dall’ENEA, nel Rapporto Energia e Ambiente 2005).
Fa niente che il costo del petrolio sia in continuo aumento (60-70 dollari/barile nel 2005, contro una media di 30 nel 2004) o che le forniture di gas russo vengano tagliate: nemmeno l’estrema vulnerabilità del nostro sistema energetico sembra poterci portar fuori della strada delle fonti fossili.
E fa nulla per gli impegni di Kyoto, e per quelle emissioni di Co2 che annualmente, anziché diminuire, aumentano … l’ambiente, si sa, può attendere …
Come sempre, ci si rifiuta di guardare ai gravi problemi ambientali. Soprattutto a proposito della questione energetica, dove sono in ballo, su posizioni contrastanti ed inconciliabili, il nostro modello di sviluppo energivoro, che più consuma più chiede altra energia, e la catastrofe dei cambiamenti climatici, che quel consumo provoca. Da un lato, il nostro modo di vivere nel benessere, dall’altro, la possibilità stessa di sopravvivere.
Così, il problema energetico è quello dell’approvvigionamento, non quello della sostenibilità. Ci si preoccupa di come continuare a produrre energia, e semmai come aumentarne la produzione, non certo delle conseguenze ambientali che ne derivano. Stretti alla gola, si può anche decidere di ridurre di 1 grado la temperatura nelle nostre case: misura non certo draconiana, che finora nessun governo ha proposto per ridurre le emissioni di Co2. In nome dell’ambiente non si possono chiedere rinunce agli italiani!
Il sempre interessante Geminello Alvi parla di crisi dell’ecologismo (Ma l’ecologismo ha perso l’attimo, Corriere della Sera 24.1.2006). Accusando la pochezza, politica e culturale prima che di consensi, dei Verdi, che pure avrebbero dovuto portare l’ambiente al centro della politica.
In effettj, è vero, l’ambientalismo arretra. E’ assente dai dibattiti e dalle grandi scelte strategiche, come dimostra anche il penoso confronto pre-elettorale di casa nostra. Ed è lontano dalla gente, a parole sensibile ma le cui scelte quotidiane in tema di trasporti, consumi idrici e energetici, consumismo ecc. sono dettate da tutt’altre motivazioni. Certo, ci sono le proteste contro TAV, inceneritori, elettrodotti, … ma anche lì l’impressione è che a minoranze consapevoli corrispondano masse che non vogliono andare oltre la dimensione locale del loro problema.
L’ambientalismo arretra paradossalmente proprio mentre i problemi ambientali, lungi dall’esser risolti, si aggravano. Ma di essi ci si preoccupa solo fino ad un certo punto, solo finché non minano le basi di questa società, finché non limitano il sacro dogma dell’industrialismo, la crescita.
Altro che ambiente! La parola magica è crescita. Nei programmi elettorali, sui giornali, anche nelle preoccupazioni della gente, che assorbe acriticamente le parole d’ordine del sistema. Crescita del PIL, della produzione, delle auto circolanti, dei consumi, delle merci, dei rifiuti … E se il PIL aumenta dell’1% anziché del 2%, ecco il dramma …
Come se questo pianeta fosse il grado di sopportare senza limiti una crescita infinita. Come se non fosse già noto, tramite il calcolo dell’impronta ecologica, che se tutti gli abitanti della Terra vivessero come un italiano, ci vorrebbero due pianeti a disposizione; e se tutti vivessero come un americano medio, di pianeti ne servirebbero sei! E come se la qualità della vita fosse per definizione nell’aver più auto (magari SUV, perché si sa, da noi tutti vivono in lontani ranch…), più telefonini, più consumi. Come se i valori qualitativi (ambiente, salute, sicurezza, tranquillità, idealità …) non contassero nulla. Salvo poi accorgerci che depressioni e nevrosi sono in aumento, e che negli USA, che costituiscono la punta avanzata di questa società fondata sulla quantità, quasi la metà della popolazione è affetta da disturbi mentali.
Eccolo, il problema dell’ecologismo. Che non è tanto nell’aver “perso l’attimo” (di attimi, cioè di emergenze da “cavalcare” per far capire la serietà dei problemi, l’attualità ne offre, purtroppo, di continuo), quanto nel non aver saputo trasmettere la radicalità del suo messaggio. Che non è quello di dare un’imbiancata ambientale allo sviluppo (la favoletta dello sviluppo sostenibile, che finora si è solo tradotto in un impatto crescente sull’ambiente), ma di contestare l’ideologia stessa sviluppista.
Il limite di molti “ecologisti”, Verdi in testa, è di accettare la subalternità politica e culturale rispetto a tale sistema, di condividerne i miti fondanti, e di ridursi a proporre mere soluzioni tecniche, aggiustamenti che non vogliono far mutare la rotta al sistema.
Compito dell’ecologismo è invece quello di ripensare e mettere in discussione le fondamenta di questo sistema. Evidenziando sì la serietà dei problemi ambientali, ma indicando anche una diversa scala di valori, fondati sul meglio anziché sul più. “La felicità – ricorda Wolfgang Sachs - si trova più nell’agire sui desideri che nell’agire sulle cose possedute, nel desiderare di meno piuttosto che nell’accumulare di più”.