Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / 2007: Anno di mutamenti strategici?

2007: Anno di mutamenti strategici?

di Alessandro Lattanzio - 30/01/2007



Senza dubbio il 2007, salvo miracoli, sarà l'anno del 'Redde Rationem'. I movimenti dell'amministrazione Bush e quelle riguardanti le forze armate statunitensi non lasciano presagire nulla di buono. Innanzitutto, dopo le elezioni di mid-term, regolarmente perse, la banda Bush-Cheney ha reagito decidendo la sostituzione dei generali Casey e Abizaid con l'ammiraglio Fallon poiché, almeno apparentemente, i due generali erano favorevoli a una specie di Exit Strategy e contrari all'inasprimento delle tensioni nel Golfo Persico.

L'ammiraglio Fallon era a capo del Comando USA per il Pacifico, dove si era distinto nell'impiego di velivoli imbarcati e dei reparti speciali contro la guerriglia islamista delle Filippine. Avrebbe ottenuto dei risultati e, perciò, è stato nominato responsabile del più strategico Comando Centrale, che si occupa del delicato settore mediorientale (Iraq, Siria, Libano e soprattutto Iran).
Questa la spiegazione ufficiale; probabilmente è stato nominato
perché più pronto a rispondere ai desiderata dei burattinai di Bush (la junta petro-con di Cheney e dei suoi complici ultrasionisti).Tale giro di vite è stato preceduto dalla nomina di Negroponte, uomo degli squadroni della morte, ad ambasciatore all'ONU; e contemporaneamente veniva dichiarato segretario generale ONU, in pratica una nomina imperiale, il sudcoreano Ban Kymoon, gerarca della setta del reverendo Moon, a sua volta agente d'influenza di Washington, nonché amico della famiglia Bush. Con tali manovre il quadro diplomatico-politico, necessario all'attacco all'Iran, sembra completato. Sul piano militare, con il pieno consenso dei vertici del partito democratico, da sempre vicino agli interessi sionisti, vengono trasferiti in Iraq 21500 uomini; insufficienti a rafforzare seriamente la presa statunitense sull'Iraq. Tale contingente non servirà a 'stabilizzare' la situazione irachena, ma a destabilizzare quella dei vicini siriano, iraniano e turco.In effetti lo scopo dell'amministrazione Bush non è quello di imporre una 'pax americana' per 'stabilizzare' la regione mediorientale, (almeno non per ora). Difatti l'Iraq deve rimanere preda del caos, perciò agiscono gli squadroni 'salvadoregni', terroristi più o meno 'kamikaze' e le autobomba più o meno irachene. Perciò è stato compiuto il sacrifico umano di Saddam Hussein. Su quest'ultimo evento va aperta una parentesi. Il dilagare dei filmati video dell'esecuzione di Hussein sono, chiaramente, parte di una 'strategia della tensione' localizzata in Iraq. E non è un caso che a diffondere la notizia, secondo cui tra i boia dell'ex-raìs ci fosse Moqtada al-Sadr, siano stati organi del regime saudita. Tutto ciò rientra nella psyop strategica mediorientale che vede compartecipi, anche in territorio iraniano e libanese, parecchi movimenti 'd'opposizione', tipo il MeK, i kurdi di barzani o i separatisti baluchi, oppure le organizzazioni dei signori della guerra libanesi Jumblatt e Hariri; tutti più o meno foraggiati da agenzie d'intelligence israelo-anglo-franco-statunitensi e saudite. Il premio è costituito da tutto l'arco balcanico-himalayano. La base di appoggio dell'Eurasia, obiettivo da sempre della setta rodhesiana-rockfelleriana.Gli USA, perseguendo la loro linea di 'ridisegno' del Medio Oriente, vi hanno fatto rientrare la famiglia Saud, assieme agli hashemiti di Giordania e il non ben chiaro indirizzo egiziano, con il ruolo primario di puntelli 'arabi' e 'sunniti' della 'guerra di civiltà', interaraba e intramusulmana, studiata a tavolino dai circoli rodhesiano-rockefelleriani atlantisti (dalla RoundTable al CFR, da Brzezinsky ai Neocon)* e relativa appendice sionista. Il ruolo nefasto delle retrograde monarchie petrolifere, ormai completamente prostituitesi alla metropoli**, ben viene accompagnata dal ruolo, oggettivamente, altrettanto nefasto di chi insiste a inserire gli sciiti tra i mercenari che devastano l'Iraq (e impiccano leader arabi laici). Nel quadro dell'imminente aggressione anti-iraniana, è ovvio che alle satrapie 'sunnite' e 'moderate' sia stato affidato il compito di rompere la solidarietà panaraba, islamica e non, tra le nazioni e i popoli del Medio oriente e del Terzo Mondo. L'azione lungimirante svolta dal Venezuela bolivariano, dall'Iran e, se vere certe notizie, della Corea Democratica***, porta a rafforzare una sorta di comunità internazionale che fronteggi, in prima linea, l'azione dei circoli atlantisti e sionisti. E certo tale 'Fronte Antimperialista' costituisce un obiettivo da demolire, sul piano mediatico e politico, prima ancora che militare. Come accennato, il ruolo saudita ne è un tassello importante.Quindi, chi continua a non vedere l'abisso strategico esistente tra iraniani (e i loro alleati) e il fronte atlantista, persegue il ruolo che gli è stato assegnato dai propagandisti della 'guerra al terrorismo' e di altre tristi barzellette. Infatti sbalordiscono le affermazioni di coloro che 'consigliano' l'Iran di accettare le imposizioni del cosiddetto 'occidente'; come strabiliano le affermazioni di certi 'amici' degli oppressi e dei paesi del Terzo Mondo, cui consigliano moderazione, mentre altri cosiddetti 'amici' consigliano invece un suicida 'assalto frontale' contro l'Impero Usraeliano. Si tratta di 'consigli' non richiesti né, tantomeno, seguiti. E a ragione. La prima a non moderarsi è la fazione dominate a Washington: che uno 'stato bersaglio' si adegui o meno, non fa differenza, se 'deve' essere bombardato, lo sarà. Lo dimostrano gli ultimi dieci anni della politica estera statunitense****.Il fronte iraniano-venezuelano può contare su amici ben disposti. Checché ne dica un Blondet qualsiasi, la Cina popolare non può permettersi di perdere un alleato strategico importante quale l'Iran. Se il mercato statunitense ingoia le 'carabattole' cinesi, permettendo la crescita economica, tecnica e scientifica dell'Impero di Mezzo, ciò non impedisce il fatto che, alla lunga, ciò che permette lo sviluppo non è il mercato di sbocco, sostituibile, ma quello delle materie prime, insostituibile. Quindi è oggettivo il fatto che un eventuale attacco all'Iran, sia un attacco anche alla Cina Popolare. La logica degli equilibri geopolitici e internazionali è ferrea.Se si vuole indugiare sul fatto che la Cina sembri abbandonare i propri 'amici' mediorientali, si rifletta su una questione non secondaria. Appare una sorta di divisione dei ruoli: la Cina popolare 'cura' gli interessi con Pyongyang; mentre la Russia presta attenzione e assistenza agli affari con Tehran. Non credo che sia solo apparenza. È proprio una divisione di ruoli tra una potenza regionale che sta diventando potenza mondiale, e una potenza che sta lentamente riacquisendo, grazie all'operato dell'amministrazione Putin, un ruolo planetario. Non avendo, per ora, la capacità strategica di affrontare l'asse atlantista globalmente, ognuno l'affronta a livello regionale. Venezuela, Iran, Russia affrontano la metropoli nel campo delle risorse energetiche (gas, petrolio, ecc.). La Cina opera sul piano dei mercati e della finanza internazionali. Certo, tutto questo avviene in ordine sparso e ognuno, inevitabilmente, segue innanzitutto i propri interessi più immediati. Ma non deve essere dimenticato il notevole sforzo di coordinamento rappresentato dall'Organizzazione di Shanghai, né le aperture fatte dalla Cina nei confronti dell'India.**** Né i progetti di carattere strategico che riguardano il comune sfruttamento delle risorse energetiche da parte di importanti potenze eurasiatiche. Il gasdotto Iran-Cina che coinvolge anche il Pakistan e l'India, diverrebbe un fattore di sviluppo socioeconomico, ma anche di integrazione pacifica della regione. Prospettive che fanno accapponare la pelle ai suddetti circoli imperialisti e a relativi manutengoli associati (di centro, di destra, di estrema destra, di sinistra e di estrema sinistra).Sull'India va fatta una ulteriore considerazione. Arundathy Roy ha espresso la propria opposizione al progetto riguardante la costruzione di una rete di dighe sui più importanti fiumi del continente indiano. Certo, la popolazione deve essere tutelata nei diritti economico-sociali, non solo per ragioni di civiltà, per diritto inalienabile, ma anche per ragioni strettamente politiche. Ma comunque l'opposizione allo sfruttamento delle risorse idriche indiane, va respinta nettamente; uno stato-continente come l'India deve avere la possibilità di sviluppare una sua economia avanzata, di avere il progresso sociale che le è necessario, di poter affrontare la gestione delle risorse nel modo più razionale e meno dannoso possibile. Traguardi che non può raggiungere rimanendo su carri tirati da buoi.Infine, il quadro militare-strategico non va trascurato. Il campo delle tecnologie militari rimane centrale nello scontro tra l'aggressivo asse atlantista e le potenze eurasiatiche. L'ultima frontiera è rappresentata, da ormai 50 anni******, dal controllo dello spazio orbitale, suborbitale e, a quanto pare, della Luna e di Marte. Unione Europea, USA, Cina, Russia, India e Brasile hanno in cantiere diversi progetti che riguardano la gestione della risorsa 'Cosmo'. Rifioriscono i programmi di esplorazione spaziale, la progettazione di vettori spaziali, di navette e cosmoplani. Dopo l'exploit del primo volo cosmico umano cinese, gli USA si sono affrettati a proclamare lo spazio orbitale terrestre loro esclusiva zona di frontiera. Pronta la reazione di Pechino: l'11 gennaio veniva testato un missile antisatellite (ASAT) chiaramente basato su similari progetti sovietici. Al di là dei superficiali, e interessati, commenti degli organi di propaganda atlantisti, tale operazione dimostra la volontà della Cina popolare di garantirsi uno posto nello scenario globale; ma dimostra anche la simbiosi tecnico-scientifica nata tra Mosca e Pechino, oltrechè la volontà di affrontare la metropoli sul suo terreno; e quindi di non accettare posizioni subalterne che, in maniera malintesa, vengono attribuite alle capitali d'Eurasia. Semmai sono altri poli, pretesi antagonistici a quelli atlantisti, che si pongono volontariamente in posizione di prona subalternità. E le figure di Merkel, Royale, Sarkozy e altri epigoni, nazionali ed europei, non fanno ritenere possibile un prossimo mutamento di rotta.

Alessandro Lattanzio, Catania 27/1/2007

www.aurora03.da.ru


Note
*In Italia solo la rivista Nexus ha pubblicato degli ottimi articoli, a firma di Will Buniyan, sul pensiero imperiale di questi circoli atlantisti. Materia su cui riflettere, viste anche l'influenza che le idee, chiare derivazioni del pensiero rodhesiano, di un certo 'cattivo maestro' purtroppo esercitano negli ambienti accademici e pseudo-alternativi italiani.
** In tale ricomposizione delle alleanze mediorientali va inserita la vicenda somala. All'affermarsi del movimento nazional-religioso delle Corti islamiche, non solo l'imperialismo centrale ha istigato il subimperialismo etiope ad aggredire, per destabilizzare il Corno d'Africa, il nascente stato somalo; ma anche ha convinto la putrefatta casta saudita ad abbandonare i suoi locali alleati
islamisti. Senza dimenticare tutta la faccenda della creazione del mito di al-Qaida, la 'Spectre' che è la scusa buona per ogni guerra passata, presente e imminente.
***Secondo un quotidiano inglese, la Corea Democratica e l'Iran starebbero lavorando su un comune test nucleare. Difficile capire se sia un dato di fatto o sia solo una manovra propagandistica tesa a creare un 'casus belli'.
****Senza andare a scomodare i voluminosi tomi di Kolko sulla centenaria storia di aggressioni yankee.
*****Sebbene non manchino spiriti 'indipendenti' che guardano alle frizioni tra stati eurasiatici, contingenti, tattiche e dal carattere fisiologico, con il quasi speranzoso desiderio che si tramutino in conflitti tra stati 'totalitari'. Per fortuna sono solo vaneggiamenti. Non è soltanto in Europa che si è instillato un sano orrore per le guerre autodistruttive.
****** Il 4 ottobre la cosmonautica compirà 50 anni di vita.