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San Valentino. Festa degli innamorati? No, commemorazione dell'amore romantico

di Carlo Gambescia - 14/02/2007

 

La festa di San Valentino più che festeggiare commemora l’amore romantico. Non è bello né simpatico asserirlo, ma purtroppo è così: al di là di quelle che sono le intenzioni individuali, i fiori, i cioccolatini e altri doni più costosi hanno essenzialmente significato mimetico e commerciale.
Mimetico, nel senso di ciò che riguarda le facoltà imitative dei singoli, e quindi il grado di conformismo sociale. Si compie un’azione perché la compiono anche gli altri: “Si fa così perché si deve fare così”. Ecco la riposta più comune della gente quando si indaga sui comportamenti rituali.
Commerciale, nel senso che la festa di San Valentino, così come la conosciamo, è un’invenzione dei pubblicitari per accrescere i profitti dei potenti interessi economici da cui dipendono. Insomma, uno dei tanti e succosi frutti (economicamente parlando) del consumismo moderno.
Ma perché commemora e non festeggia? Perché l’amore romantico (in senso sociale) è morto da un pezzo. Senza farla troppo lunga, si può ricordare che si chiama così, proprio perché nasce nell’Ottocento: il secolo per eccellenza del romanticismo. Certo, stando agli storici della cultura, le sue origini sono nell’amor cortese, nella donna “angelicata“, che i borghesi dell’Ottocento, più prosaicamente ridurranno ad “angelo del focolare”. O, se in vena di trasgressioni, a eroina disperata e pazza d’amore, che si piega al suo tragico destino sulle potenti note di Richard Strauss e Puccini. Vanno però ricordate anche le due figure maschili rispondenti: la prima è quella del marito, eroe romantico del lavoro, che trova rifugio dalle asprezze della vita nelle braccia materne dell’angelo del focolare. La seconda è quella dell’amante, eroe romantico del non lavoro (generalmente uno studente, un musicista povero, eccetera), che si insinua nel tranquillo ménage borghese, devastandolo. In ogni caso, l'amore è vissuto dai suoi protagonisti (mariti, mogli, amanti) come qualcosa di “eterno”, da condividere, “finché morte non separi”: che può capitare solo una volta nella vita, e purtroppo anche con la persona sbagliata, o quando è troppo tardi…
Sostanzialmente l’amore romantico è un impasto di normalità e anormalità, che, quando amore e matrimonio coincidono, ha nella famiglia borghese la sua consacrazione. Appena però questo tipo di famiglia è entrato in crisi sono iniziate le disavventure dell’amore romantico. Ed così cominciata la sua lenta agonia, prolugatasi per tutto il Novecento. E dovuta, piaccia o meno, all’incremento del lavoro femminile e al mutamento radicale dei costumi sessuali, frutto di un più generale processo di polverizzazione della vita sociale: di riduzione del sociale in minuscole particelle rappresentate da individui-desideranti, spesso egoisti per paura e cinici per scelta. Si potrebbe persino fissare simbolicamente la data di morte dell’amore romantico: maggio 1968. Sotto i colpi dei contestatori del sesso ( si pensi ai dreamers di Bertolucci, piuttosto che ai giovani dimostranti, manganellati nelle piazze dalla polizia...), cadono i mariti le mogli e gli (o le) eventuali amanti, e la stessa idea di un compagno ideale da amare per tutta la vita. Cadono certe menzogne e ipocrisie borghesi, ma cade anche quella purezza, o ingenuità di sentimenti, di chi giudicava naturale trascorrere la propria vita accanto alla “ persona del cuore“. Cade la famiglia, impasto di bene e di male, ma non l’individuo che ora può vivere, al di la del bene e del male, ma in una condizione di solitudine, spesso sofferta: come molti sanno, il peso della libertà assoluta, soprattutto se portato da soli, talvolta può essere più gravoso di quello della libertà limitata che offre la famiglia; una "semilibertà", che a volte consola, perché condivisa con gli altri membri...
Certo, le società cambiano lentamente, ci si continua a sposare e innamorare (magari meno di prima), ma da quel maggio, e non solo simbolicamente, un senso di precarietà si è insinuato nelle relazioni uomo-donna. Stranamente oggi solo i tredicenni (e neppure tutti...) continuano a credere se non nel matrimonio, almeno nell'amore eterno... E, tutto sommato, a godersi la festa di San Valentino.
E la purezza di sentimenti va sempre rispettata. Meno rispetto invece meritano quelli che “vendono” San Valentino, come festa degli innamorati, sapendo di mentire. Quelli del “diamante per sempre”, che non spiegano se il “per sempre” è riferito al diamante o all’amore.
In realtà, come è noto, poi finiscono per deciderlo giudici e avvocati