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Il regno della (sinistra) menzogna

di Gianfranco La Grassa - 18/02/2007

 

 

Stiamo vivendo in un mondo di menzogne; sempre più meschine e avvilenti e sempre più patrocinate dalla sinistra (ultragovernativa e paragovernativa). Mi viene in testa il premier ungherese (almeno mi sembra fosse di quel paese) che, qualche mese fa, non essendosi accorto che il microfono era ancora aperto, si fece scoprire mentre irrideva ai gonzi che credevano a dati e cifre forniti, per suo conto, dall’ufficiale istituto di statistica. Qui non riusciamo a beccare i nostri governanti “fuori onda”, mentre sicuramente ridono di noi; comunque, fuori onda hanno sicuramente il cervello, le loro furbizie vanno bene per un popolo ormai inerte e alla deriva come il nostro (e quelli europei in genere).

Malgrado tutto, le bugie hanno veramente le gambe corte. Da non meno di cinque anni, questi bei tomi ci raccontano di un’inflazione intorno al 2%, ma nessuno ci crede più; e perfino un “raffinato” economista del Corriere, poco tempo fa, ha ammesso che è inutile raccontar(si) balle e che l’euro vale ormai non più delle vecchie mille lire (non circa 2000 com’è ufficialmente); in realtà, credo che l’ammissione sia tardiva e che oggi il potere d’acquisto di tale moneta sia ben sotto le mille lire. Del resto, in Europa (dove in quasi tutti i principali paesi, dopo l’introduzione dell’euro, si è verificata una notevolissima inflazione), si forniscono dati sulla stessa ancora più bassi di quelli italiani. Eppure, con “estrema (in)coerenza”, la Banca europea continua a lanciare allarmi sulle pressioni inflazionistiche e alza ogni tot mesi il tasso di sconto. Ultimo episodio di questa ridicola saga: nemmeno una settimana fa l’Istat ha indicato un ulteriore abbassamento del nostro costo della vita all’1,9% (su base annua) nell’ultimo mese rispetto al precedente (2%). L’altro ieri, “puntualmente”, Draghi si è detto preoccupato di pressioni inflazionistiche (sic!).

La stessa pantomima si sta recitando con riguardo agli indici di crescita del Pil. Avevo già scritto sul blog che dovevamo aspettarci per fine anno clamorosi sintomi di ripresa (logicamente in sede di dati statistici fornitici da istituti asserviti ai dominanti). E puntualmente si sono verificati. Nella primavera scorsa si prevedeva una crescita dell’1,3%; in autunno si aggiornavano le stime a 1,6 e poi 1,7%. Adesso, si annuncia trionfalmente che, grazie ad un ultimo trimestre veramente eccezionale, siamo a circa il 2% per l’intero 2006. E in sede europea si è “notificato” lo stesso fenomeno; così pure negli USA. Si sono a questo punto scatenate in Italia destra e sinistra per assegnarsi il merito della ripresa. La sinistra fa particolarmente ridere, come sulla faccenda dei conti “disastrati” (che sapeva benissimo non essere tali!) poi miracolati da una “improvvisa” abbuffata di entrate fiscali. Esattamente come queste ultime, anche una ripresa economica – ammesso (e non concesso) che ci sia stata – non dipende certo da misure prese due-tre mesi prima del manifestarsi della stessa; e tanto più se queste misure sono rappresentate da una bastonata fiscale come quella assestata con la finanziaria di Prodi-TPS (e Visco-Bersani). Nemmeno è però lecito che si pavoneggi il centro destra, giacché la ripresa, sempre stando agli imbrogli statistici, è statunitense e mondiale; quindi, semmai, noi siamo stati “trascinati”.

Il nostro premier, che veramente si dimostra ogni giorno più sc….o, si è gonfiato il petto affermando che abbiamo fatto meglio degli USA. Una bugia. Gli Usa sono cresciuti del 2,7%, la Germania del 3% (ultimo trimestre 3,7% contro il 2,9 italiano); la Francia quasi come noi, l’Austria del 3,4%, l’Inghilterra del 3,3%, la Spagna del 4%. Del resto, Draghi, in “perfetta sintonia” con Prodi, ha affermato che, per quanto riguarda l’Europa (continentale evidentemente), il ruolo trainante spetta alla Germania. In ogni caso, sempre secondo i più che dubitabili dati statistici, lo sviluppo italiano al 2% (2,9 nell’ultimo trimestre) è al massimo un mero effetto (al ribasso!) del più generale (e più consistente) sviluppo dei paesi capitalistici avanzati. Di conseguenza, il nostro ceto politico, di qualsiasi parte sia, dimostra di non saper mai cogliere l’occasione per osservare un decoroso silenzio; e magari anche un po’ imbarazzato. Aggiungo, come ciliegina finale, che persino quell’essere “ilare e giulivo” che è TPS ha mostrato preoccupazione perché l’Italia continua a perdere quota (percentuale) nell’ambito dell’interscambio mondiale, è quindi sempre meno competitiva. Se a questo aggiungiamo che la produttività del lavoro aumenta di circa il 3% annuo – ed è perciò ovvio che, anche se ci si fosse sviluppati al 2%, vi è bisogno di un minor numero di lavoratori per ottenere il nostro prodotto nazionale – se ne deve necessariamente concludere che dovrà crescere la disoccupazione o quanto meno la fascia del precariato, dell’instabilità e provvisorietà, ecc.

 

Ormai le classi dominanti (ma non più dirigenti in senso proprio) hanno perso ogni decenza, che la vecchia borghesia (certo dura, perfino crudele) manteneva ancora. Questa società occidentale, americanizzata, vede al suo vertice dei “funzionari del capitale”, intendendo per questi una “classe” di “soggetti” che hanno certo ricchezza e potere, ma sono per altri versi dei fantocci, ripetitivi e banali, privi di qualsiasi decoro e coerenza, capaci di rendersi responsabili del massacro di grandi moltitudini senza particolare cattiveria né un “rigurgito” di coscienza; sono ipocriti e mentitori al limite della “sincerità”, perché dicono, in ogni singolo momento, ciò che conviene loro dire, smentendosi ogni mezzo secondo e dimenticando il precedentemente affermato, mai preoccupati di essere sbugiardati –  se è il caso, sostengono di essere stati fraintesi – perché il diaframma, costituito da potere e denaro, li rende lontani qualche milione di anni-luce da noi povera “gente comune”, e dunque impermeabili ai nostri dubbi, alle nostre difficoltà di vita, alla nostra ira per essere presi continuamente per i fondelli, ecc.

Questo cappello introduttivo per parlare brevemente di quelle altre facce di tolla della Fiat. Grandi miracoli nel giro di due anni! Da che erano moribondi a che non solo sono rinati, ma sembra debbano surclassare tutti i concorrenti. E’ vero che hanno avuto il “colpo di culo” con la GM e preso molti bei soldini. Ovviamente, però, non è questo che riesce a rimediare una situazione negativa in campo produttivo. Secondo me c’è molto da diffidare – e personalmente non comprerei azioni o obbligazioni di quel “gruppo” – ma non sono in grado di smentire alcunché. Comunque, accettiamo per il momento i “dati” che ci sono forniti, ammettiamo che non siano falsi come quelli relativi all’inflazione e anche, assai probabilmente, come quelli sulla crescita del Pil.

Si resta tuttavia sorpresi, dati i successi proclamati, che questa azienda abbia ancora bisogno di regalini statali (tipici del centrosinistra) del tipo della cosiddetta mobilità lunga, che è in definitiva un prepensionamento, ancora una volta della rottamazione, ecc. Divertente – si fa per dire – è la “pena” inflitta dalla Consob ai dirigenti dell’Ifil e dell’Ifi – multa di 16 milioni di euro e interdizione per alcuni mesi per quanto riguarda l’assunzione di cariche in società quotate in borsa – accusati di aver compiuto una serie di operazioni giudicate molto “scorrette” in termini di violazione della legalità. E’ inutile descrivere nel dettaglio le “manovre” in questione, queste equity swaps (scambi), in cui sono state implicate le due suddette finanziarie legate alla Fiat e la Exor, cassaforte degli Agnelli con sede in Lussemburgo (per cui “gli uomini” della Ifi e Ifil sono stati puniti, ma quelli della Exor no). Con abili mosse effettuate sotto il naso della banche creditrici (non sapevano nulla?) – che, ad una certa data ormai prossima, avrebbero potuto mutare i crediti in proprietà di una quota azionaria tale da consentire loro il controllo dell’azienda – si è riusciti ad evitare questo fatto, increscioso per gli Agnelli, che hanno così mantenuto detto controllo (mi sembra con oltre il 30% delle azioni).

In linea di principio, si potrebbe convenire che far cadere un’azienda industriale sotto la potestà di istituti finanziari è fondamentalmente negativo. Per questo, tutti, a sinistra come a destra, hanno alzato alti lai sulla condanna (non degli Agnelli, salvi con la loro Exor in “terra straniera”) di chi ha salvato le prospettive industriali di una così benemerita azienda, che ha sempre mantenuto buoni rapporti con il mondo anglosassone anche durante il fascismo (pur sfruttando le “doverose” amicizie coltivate in questo regime) e, al profilarsi della sconfitta delle potenze dell’Asse, ha saputo ben riciclarsi con i vincitori; e che poi, nei sessanta anni trascorsi dal 1945, ha goduto di continui privilegi. Per fare un esempio: in Italia, a differenza degli altri paesi europei, il trasporto merci su strada è quasi il 90% del totale, con la conseguente costruzione di tutte le infrastrutture viarie, e altre, a ciò necessarie; per non parlare dei continui finanziamenti (magari a fondo perduto per gli investimenti al sud), dei prepensionamenti e le rottamazioni, della fornitura di materie prime sotto costo da parte di imprese statali (ad es. le Acciaierie di Cornigliano Ligure), e via dicendo. Ricordiamo ancora il suo piccolo particolare “compromesso storico” relativo all’accettazione della scala mobile, che le ha garantito anni di relativo riguardo da parte dei sindacati. Infine, tale azienda ha goduto di una buona campagna “pubblicitaria” (ideologica in senso proprio) all’epoca delle balle sulla “qualità totale” (e il Robogate, il Lam, ecc.), per cui ha assoldato schiere di storici, sociologi, economisti, anche di sinistra, anzi di “estrema” sinistra del tipo dei “sempre pronti” (a tutte le stronzate) di parte “operaista” (ma non voglio nascondere che perfino il sottoscritto si è rimbecillito per qualche anno, pur non raggiungendo i livelli “stratosferici” degli operaisti).

Il futuro – non tantissimi anni – ci dirà se il capitalismo famigliare agnelliano, “condito” con un pizzico di bertinottiano “borghese buono” à la Marchionne, è veramente tanto migliore di un controllo da parte della finanza. Fin da subito va però fatta una considerazione molto precisa: il settore automobilistico, pur con tutto il suo “indotto”, non è più oggi quello trainante di un complessivo sistema-paese. Se è per quello, l’immobiliare ha un indotto perfino superiore a quello dell’auto, ma nessuno si sognerebbe di pensarlo quale settore di punta, “di eccellenza”, poiché esso non fornisce all’insieme dell’economia nazionale grandi impulsi né nel senso del progresso tecnico-scientifico né in quello “della potenza” di un paese, indispensabile per la sua maggiore autonomia, per una crescita non solo dipendente da altri.

Vogliamo considerare un esempio eclatante. Negli anni ottanta, il Giappone, con la sua industria automobilistica (veramente di qualità eccellente, con alla testa la Toyota, all’avanguardia in tema di innovazioni di processo, di spinta automazione, di just in time, ecc.), invase gli USA, mise quasi in ginocchio la corrispondente industria di tale paese; al seguito di tale invasione si scaricarono nel centro dell’impero enormi capitali immobiliari. Il Giappone si compra gli Stati Uniti, così si urlò in un impeto di ammirazione, mista a paura, per il Sol Levante. Ci fu chi vide ormai imminente – questione di anni – il “passaggio di testimone” dagli USA al grande paese asiatico per ciò che concerne la posizione di supremazia nel campo capitalistico, rimondializzatosi dopo il crollo del socialismo reale. Anche in simili “profezie” si distinsero gli immaturi della sinistra “estrema” con il loro “marxismo-leninismo” da scuola elementare. E ancora una volta, debbo io pure fare ammenda per un simile svarione; ma ancora una volta mi fermai almeno a mezza strada, cioè alla convinzione dell’affermarsi, dopo la “caduta del muro”, di un mondo tripolare: Usa, Giappone, Europa (in specie la Germania). Tutte sciocchezze. I settori veramente fondamentali – per la ricerca scientifica e tecnica, per le innovazioni di prodotto (le vere innovazioni fondamentali nel capitalismo, formazione sociale che non vive solo di nuove tecnologie per alzare la produttività del lavoro e quindi, secondo il marxismo degli scolastici, il saggio e la massa del plusvalore) e per, in ultima e fondamentale analisi, acquisire la potenza necessaria ad accrescere e mantenere le decisive sfere di influenza  sono ben altri che non l’automobilistico: biotecnologie, aerospaziale, elettronica, informatica e telecomunicazioni; e, fra poco, robotica, nanotecnologie, ecc. Inoltre, sempre importantissimo è tutto il campo delle fonti di energia: ancora quelle “vecchie”, per il momento, ma con la crescente attenzione prestata a quelle nuove (e di un futuro prossimo).

Gli USA si sono prepotentemente sviluppati in tutti questi settori; e in questi ultimi tempi, perfino sotto l’amministrazione “reazionaria” di Bush, stanno ponendo in primo piano il problema delle nuove fonti energetiche. Il povero Giappone si è così ingrippato, è entrato in un periodo di ben 12 anni di pura stagnazione, ha ritirato precipitosamente tutti i capitali immobiliari dagli USA, con perdite fino al 50%. Una débacle totale. Oggi tale paese sta ritrovando la via dello sviluppo, ma senza più trionfalismi, in piena alleanza subordinata rispetto al paese centrale. Sono altre le nuove potenze in nuce; e stanno spostando forti capitali dai settori decotti del crollato socialismo reale – come, ad es., le 3000 grandi imprese statali in Cina destinate, sia pure gradualmente per questioni sociali, ad essere liquidate e passate a ben altro tipo di management –  a quelli nuovi appena sopra indicati e ad una sempre più avanzata ricerca. Il nuovo mondo multipolare che si annuncia nei prossimi 20-30 anni – ma non sono affatto escluse ulteriori sorprese – sembra dover essere USA-Russia-Cina-India; credo di meno nel Brasile, ma le previsioni sono difficili.

E la povera Europa? E questa miserabile Italia in essa? Se continuiamo a gonfiare il petto (di Marchionne e di Montezemolo; o magari di John Elkann, tanto adorato, ad es., dalla stampa di ogni parte politica) con la “stupida” automobile, possiamo prepararci ad un futuro di sempre più stretto servaggio, magari un po’ più in là da Arlecchino (“servo di due padroni”). Per questo, fin d’ora, si può sorridere di fronte a tutti quelli che sbavano dietro alla sorte della Fiat, della famiglia Agnelli, di che cosa farà il Tribunale di Torino (ripeto: di Torino): darà ragione alla Consob o alla “meravigliosa” operazione Ifi-Ifil-Exor, che ha visto il “sacrificio” di questi nuovi “Enrico Toti” (Gabetti, Franzo Grande Stevens, ecc.). Il nostro è un paese che ha ritrovato la sua dignità nazionale rivendicando l’italianità dell’Istria e della Dalmazia; un paese, dunque, servile verso i potenti e arrogante con i più deboli, che stanno facendo la questua per entrare in questo caravanserraglio che è l’Europa. Un paese diretto (pardon, deragliato) da subdominanti che meritano solo ludibrio e disprezzo, assieme a questi clown di destra e di sinistra; nel mentre gli omuncoli della “estrema” sinistra si dimostrano ancora più disgustosi perché si vendono praticamente per niente, per un po’ di lustro delle cosiddette “alte” cariche, che non significano nulla rispetto ai dominanti veri.      

  

P.S. Poiché stiamo parlando del regno delle menzogne, debbo fare una coda per commentare il clamoroso annuncio di Bush di ieri, riportato in sordina da tutti i giornali (anche quelli di opposizione), salvo “Libero” e “Il Manifesto” (con qualche ambiguità). Ha “proclamato” Bush che a primavera verrà scatenata l’offensiva contro i talebani (cioè la guerriglia di liberazione nazionale) in Afghanistan [vedi notizie da Adn kronos riportate alla fine], ha ringraziato il Governo italiano per la sua collaborazione e ha allertato la 173.ma brigata (aerea) di stanza, guarda caso, a Vicenza. Non è proprio esatto che ha semplicemente affermato: “l’offensiva la condurremo noi” (in questo sta l’ambiguità del Manifesto). Ha anzi chiamato tutti alle armi, ha fatto chiaramente capire che le truppe Nato (fra cui quelle italiane), questa volta, non possono tirarsi indietro. A modo suo è stato serio e coerente; perché o si fa la guerra o si torna a casa. Il “partecipo ma non troppo” mette solo a maggior rischio i soldati e li inasprisce, li fa diventare ancora più cattivi perché sono loro a rimetterci le penne; mentre dimostra la viltà e l’ipocrisia di chi sta casa a fare i giochetti politici sulla pelle degli altri.

Antipatici certo i destri che ridanno fiato alle campagne patriottarde (“la Patria, l’ultimo rifugio delle canaglie”, parola di Samuel Johnson); del resto seguite da chiunque pronunci frasi incaute di stampo nazionalistico, da chi nemmeno si rende conto del veleno che certe “frasi coraggiose” instillano e lentamente diffondono nello stesso corpo della “sinistra”. Tuttavia, il massimo danno è provocato da chi mente, si contorce, tira il sasso e nasconde la mano, e non so con quali altre espressioni dipingere adeguatamente il vomitevole atteggiamento dei bugiardi. Vi sono tanti peccati capitali (sette, non è vero?), ma nulla è paragonabile al rinnegamento e all’ipocrisia. Chi si macchia di questi due “vizi” ha ormai perso gran parte del suo “essere umano”. Magari parla come gli umani, ha la loro stessa struttura anatomico-fisiologica, ma in realtà è ormai quasi del tutto estraneo al genere homo (che pure ne combina di tutti i colori). Perché il rinnegato e l’ipocrita (e la menzogna è lo strumento principe utilizzato da questi tipi extraumani) sono impermeabili ad ogni morale, ad ogni valore o principio. Spargono inchiostro di seppia ma non per la pura sopravvivenza (come questo non indegno animale), bensì per difendere bassi e meschini interessi puramente personali, ricchezza e potere, talvolta semplicemente l’immagine (Presidente o segretario o “responsabile” di “qualcosa”). E’ gravissimo il danno provocato da questi “animaletti” viscidi e ripugnanti. Queste “cose” (nel senso di Carpenter) si trovano proprio a sinistra (anche in quella ultra-ultra). Gli avversari o anche i nemici sono senz’altro più tollerabili; non ammorbano l’aria, stanno di fronte a noi e si fanno individuare senza atteggiamenti vili e untuosi, senza aggiramento alle spalle.

Di conseguenza, la sinistra (tutta) è il principale obiettivo di ogni possibile critica e di ogni radicale rifiuto. Se la destra segue “a ruota” è proprio perché non ha nulla del nemico degno di rispetto di cui ho appena detto. Ed essa va combattuta esattamente in quanto riflesso speculare della sinistra. Qualcuno si ricorda come e perché Berlusconi – non il “corruttore”, ma il prodotto di “un sistema”, alla cui creazione la sinistra ha contribuito a piene mani per decenni – è entrato in politica? Dagli USA – approfittando della fine del sedicente “Impero del Male” (URSS ecc.) – è stato dato l’impulso al mutamento di regime in Italia (DC-PSI) tramite un ben noto “pentito”, ottimamente sfruttato dall’operazione “mani pulite” (che qualcosa ha inventato, ma molto non ha fatto altro che “scoprire” quando i “registi” hanno voluto che si scoprisse). Solo che si è così liquidata la rappresentanza politica di 2/3 d’Italia, “moderata”, e solo un quarto all’incirca di essa (i votanti per i settori moderati del centrosinistra) ha accettato di seguire un’operazione che gli USA – come successivamente in Georgia, Ucraina, Repubbliche centroasiatiche, ecc. – hanno affidato ai rinnegati del PCI, vendutisi senza ritegno [è un fenomeno da studiare: una ideologia di grande rilievo politico e morale, che voleva creare una società migliore, ha invece prodotto, durante il suo sfacelo finale, il peggior “tipo umano” – direi subumano – il più pervertito e abominevole, cui la storia abbia mai dato vita]. Dal rifiuto di questa operazione da parte dell’Italia moderata – e tuttavia meno degenerata del ceto politico e intellettuale di derivazione “comunista” – è nato Berlusconi. Non il contrario, come si tenta di far credere: lo stimolo è venuto da quell’operazione di cambio regime, che in Italia gli USA non sono riusciti a far guidare, come negli altri più forti paesi capitalistici europei, da forze di lunga tradizione socialdemocratica o conservatrice. Da noi è stato un po’ – con analogia di larga massima, certo – come per le “rivoluzioni arancione”; ma qui la reazione è venuta dal vecchio elettorato DC e PSI, ed è nato Berlusconi. Se questi “fa schifo”, ancora più schifo fa chi l’ha prodotto, ed è di una pasta ancora peggiore e più degradata (appunto verso la “mutazione” in “creature subumane”). 

E adesso, grazie a queste “creature”, apprestiamoci a nuove avventure; che sia in Afghanistan, in Libano o altrove. Cerchiamo di essere però consapevoli che le peggiori e per noi più drammatiche si svolgeranno qui, all’interno! O ci liberiamo presto della sinistra (tutta, per favore; non deve restarne nemmeno un briciolo, ché si riproduce come il “verme solitario”!) – e da tale evento si produrrebbe, non dico subito e automaticamente, ma nemmeno in tempi troppo lunghi, la fine anche di questa destra, e in particolare di Berlusconi – oppure la pagheremo cara, ma tanto cara che è oggi ancora difficile immaginarselo.

 

16 febbraio

 

Appendice. Washington, 15 febbraio (Adnkronos) - "Gli alleati devono abolire le restrizioni sull'uso delle forze che forniscono". Così George Bush ha chiesto, nel discorso pronunciato oggi all'American Enterprise Institute, agli alleati Nato di inviare più forze in Afghanistan e soprattutto di abolire i 'caveat' nazionali che impediscono loro di inviare le loro truppe nel sud e nell'est del Paese dove sono in corso i combattimenti con i Talebani. Combattimenti che aumenteranno nelle prossime settimane, quando inizierà "l'offensiva di primavera" contro i talebani che Bush ha confermato.
Il presidente Usa ha ricordato che l'Alleanza Atlantica si fonda sul principio che "l'attacco contro un Paese è l'attacco contro tutti", ed ha invitato tutti i Paesi della Nato al rispetto degli impegni assunti in risposta dell'attacco dell'11 settembre, quando per la prima volta dalla nascita dell'Alleanza Atlantica è stato attivato l'articolo 5 della difesa collettiva. "Quando i nostri comandanti sul campo dicono ai nostri paesi 'abbiamo bisogno di più aiuto', i Paesi della Nato devono fornirlo", ha detto Bush che ha confermato l'invio di 3 mila militari inizialmente destinati all'Iraq, rinforzi che porteranno ad un totale di 27 mila soldati il contingente statunitense, il picco di presenze dall'inizio della guerra. "Allo stesso tempo - ha continuato Bush - gli alleati devono abolire le restrizioni alle forze che forniscono in modo che i comandanti della Nato abbiano la flessibilità di cui hanno bisogno per sconfiggere il nemico dovunque esso si presenti". "L'Alleanza è fondata su questo principio: un attacco contro un Paese è un attacco contro tutti e questo principio è valido sia se l'attacco avviene sul suolo nazionale di un paese membro - ha aggiuto il presidente riferendosi appunto all'11 settembre - sia contro forze alleate impegnate in un'operazione Nato all'estero". Un'azione incisiva in Afghanistan è poi nell'interesse della sicurezza nazionale di ciascun paese membro dell'Alleanza: "stando insieme in Afghanistan - ha concluso - le forze Nato proteggono i propri popoli".